Torino città vecchia, il futuro è nel terziario

La popolazione fino a 24 anni è scesa al 16,4%, 5 punti al di sotto della media regionale e di 9 punti al di sotto di quella nazionale. Nel prossimo biennio la ricchezza sotto la molte crescerà meno del 1%

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Torino città vecchia, il futuro è nel terziario

Per i giovani torinesi la possibilità di trovare un’occupazione  se possibile stabile ma quanto meno dignitosa dipende da molti fattori. Uno di questi è il contesto socio economico in cui vivono da cui dipende, in prima battuta, la capacità o meno di offrire occasioni di lavoro.

L’attuale contesto  è il risultato di profonde trasformazioni  intervenute negli ultimi 20 anni   i cui effetti sono stati  molto più intensi a Torino rispetto ad altre aree.

Oggi i giovani torinesi vivono in una città dove la popolazione si riduce  e  invecchia molto rapidamente come dimostra inequivocabilmente  l’indice di vecchiaia dato dal rapporto tra gli ultrasessantacinquenni e il numero dei giovani fino a 14 anni: esso è pari a 201,9; due anziani per un giovane Secondo le ultime rilevazioni  Torino    ha  889 mila residenti; in quattro anni ne ha persi  23 mila, il 2,5%. Altre città come Milano , Bologna, Genova li hanno aumentati, sia pur di poco.

I giovani sono sempre meno. A Torino la popolazione fino a 24 anni di età è scesa al 16,4%, 5 punti al di sotto della media regionale e 9 punti al di sotto di quella nazionale.

Una lettura del trend demografico per generazioni mette in evidenza i cambiamenti intervenuti nei percorsi verso la  vita adulta. Il più significativo è la prolungata permanenza dei giovani nelle famiglie di origine. Un fenomeno che coinvolge la generazione dei «millennials» che comprende i nati negli anni Ottanta fino alla  fine degli anni Novanta. Secondo l’Istat in Italia il 70% dei giovani di 25-29 anni e il 54,7% delle loro coetanee vive ancora nella famiglia con il ruolo di figli. Il fenomeno è dovuto a molteplici fattori tra cui  l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi; le difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà; gli ostacoli a trovare un’abitazione. L’effetto di tali fattori è stato amplificato negli ultimi anni dalla congiuntura economica sfavorevole che ha spinto sempre più i giovani a ritardare ulteriormente rispetto alle generazioni precedenti le tappe verso  la vita adulta tra cui quella della formazione di una famiglia. Tenuto conto di questi fattori c’è da presumere che a Torino la situazione non si discosti molto da quella nazionale.

Oggi i giovani torinesi  vivono in un contesto  che  ha vissuto negli ultimi 15 anni   fasi alterne  sotto il profilo economico con un bilancio finale fortemente negativo. In una prima fase che va dal 2001 al 2008 il valore  aggiunto  è cresciuto del 4% nonostante la leggera flessione registrata nel periodo 2002-2003. All’aumento ha contribuito in misura significativa l’evento olimpico che ha comportato un esborso complessivo  di 21 milioni di euro concentrati per l’80% nel periodo 2000-2006  e riferiti per circa due terzi ad interventi infrastrutturali. Il maggior prodotto accumulato è rapidamente svanito  negli anni successivi al 2008 e fino al 2014 a causa della profonda crisi solo in parte mitigata dal rimbalzo registrato nel periodo 2010-2011. Nell’intero periodo di tempo  il valore aggiunto è diminuito dell’11,3%. A distanza di 15 anni l’economia torinese si è scoperta più  povera. Il gap da riempire per riportarsi  ai livelli di reddito prodotti nel 2001 è pari a 7,8 punti percentuali.

La performance di questi anni hanno cambiato solo in  piccola  parte la geografia economica del Piemonte. La provincia di Torino fornisce più della metà della ricchezza prodotta, ma il suo contributo è leggermente sceso passando dal 55,3 al 54,2%. Un calo compensato dalle dinamiche positive del cuneese e dell’Alessandrino il cui contributo è salito rispettivamente dal 12,7 al 14% e dall’8,6 al 9,3%. Perdono colpi aree tradizionalmente forti come il Novarese e il Biellese. Quest’ultimo in particolare ha ridotto il suo peso dal 4,2 al 3,6%.

Tra le eredità lasciate dalle alterne vicende degli ultimi  20 anni merita  attenzione il consolidarsi dei processi di terziarizzazione dell’economia: un fenomeno in atto da alcuni   decenni e comune alle maggiori aree  sviluppate.  In Provincia di Torino il peso dei «servizi» nella produzione del valore aggiunto  si avvicina al 75% : punto di arrivo di una costante evoluzione se si considera che nel  1951 i «servizi» fornivano solo il 28% del valore aggiunto mentre l’industria contribuiva con poco meno del 70%. Se si restringe il periodo di osservazione  si rileva che tra il 2000 e il 2015 nell’area torinese il maggior contributo all’aumento del peso del terziario è venuto dal comparto dei servizi alla persona (istruzione, welfare, cultura ecc.) il cui peso è cresciuto di 3,5 punti percentuali.

Dopo la crisi iniziata nel 2008 la situazione economica torinese è migliorata  a partire dal 2015; la ripresa tuttavia non si è consolidata, non interessa tutti i settori, permane l’incertezza e il rischio di una inversione di tendenza  non è fugato.

Nel terzo trimestre 2016 la produzione industriale è cresciuta del 5,3% dopo il +1,3% del primo e del secondo trimestre Il «rimbalzo»  del terzo trimestre è stato trainato dagli ordinativi esteri (7.7%) mentre quelli interni sono cresciuti  molto poco (+1,1%).

La ripresa degli ordinativi esteri è un segnale importante  soprattutto  se contribuisce a compensare la forte caduta dell’export torinese registrata nei primi 6 mesi del 2016. Nella manifattura torinese la produzione industriale è cresciuta più della media  nazionale  grazie alla buona performance dei mezzi di trasporto  che hanno fatto registrare  l’incremento più elevato della domanda interna(+13,3%)  mentre la performance migliore sui mercati esteri  l’hanno fatta registrare le industrie meccaniche (+22%).

Non tutte le imprese hanno beneficiato o stanno beneficiando delle schiarite del quadro economico: le più penalizzate sono le più  piccole ancora troppo legate all’andamento asfittico della domanda interna per consumi e investimenti. Ad alimentare  l’incertezza per il futuro  ci hanno pensato le ultime indagini previsive che registrano una battuta di arresto nelle  aspettative delle imprese  per i primi mesi di quest’anno. I pochi dati disponibili non consentono di avere un quadro dell’andamento della congiuntura nei settori diversi dal manifatturiero. Le informazioni disponibili segnalano la perdurante crisi delle costruzioni ed un peggioramento del clima di fiducia   nel settore dei servizi alle imprese.

Che cosa possiamo  attenderci per i prossimi mesi? Le previsioni di crescita della nostra area sono in linea con quelle nazionali. Anche da noi il prossimo biennio si preannuncia meno prolifico di quelli che ci siamo lasciati alle spalle: la ricchezza  di noi torinesi crescerà meno dell’1%(tra lo 0,7 e lo 0,9%)  a causa dell’aumento assai contenuto dei consumi e degli investimenti  compensato solo in parte dal risveglio delle esportazioni dopo la pesante caduta del 2016. Non è molto ma dobbiamo accontentarci se si considerano le molte incognite che gravano sullo sviluppo dell’economia mondiale e della politica internazionale.

Se il contesto  in cui vivono i giovani torinesi è quello  delineato c’è da chiedersi che  cosa è in grado di offrire   alle nuove generazioni che si affacciano al mondo del lavoro. Torino sta cambiando pelle. Da città della fabbrica a città dei servizi da dove già oggi proviene la maggior domanda di lavoro. Una diversificazione  fortemente auspicata  ma che al momento  non rappresenta ancora una valida alternativa  all’industria. Per esserlo il terziario deve diventare più ricco per essere in grado di  offrire una domanda di lavoro più qualificata. 

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