«Stampa» 150, da marzo con «Repubblica»

Un appuntamento con la storia, dal 1867 a Torino, ma la fusione è all'orizzonte

Parole chiave: stampa (4), torino (730), giornali (47), anniversario (18)
«Stampa» 150, da marzo con «Repubblica»

Il quotidiano per eccellenza dei torinesi, «La Stampa», compie 150 anni e contestualmente conclude un ciclo storico: la proprietà della Fiat e degli Agnelli. A fine marzo la società editrice di via Lugaro confluirà nel Gruppo L’Espresso-la Repubblica dell’ing. Carlo De Benedetti e la famiglia Agnelli-Elkann manterrà una modesta presenza del 5% delle azioni.

È un altro segno del crescente disimpegno del Gruppo Fiat, sotto la guida di Sergio Marchionne, della metropoli che lo ha generato e cresciuto: presente prevalentemente a Detroit con Fca (consigliere ascoltato dei presidenti americani, ieri Obama oggi Trump), il numero uno dell’impero automobilistico ha lasciato la Mole per trasferire le sedi legale e amministrativa a Londra e all’Aja, rinunciando contestualmente alla significativa presenza nell’editoria italiana, dal «Corriere della Sera» a «La Stampa», mantenendo con la famiglia Agnelli-Elkann il solo controllo dell’autorevole settimanale londinese «The Economist».

Si è rovesciata la storica linea politico-imprenditoriale dell’avv. Gianni Agnelli, che ha speso centinaia di miliardi di lire per ˈsalvareˈ il «Corriere» dal fallimento della P2 di Licio Gelli e Tassan Din, mantenendo sempre «La Stampa» come prestigioso foglio nazionale, laico ma non anticlericale, moderatamente riformista, sostenitore della ˈsvoltaˈ di centro-sinistra e, in particolare, dell’area politica costituita da Ugo La Malfa. Quest’epoca è finita, con un ridimensionamento, anche nell’editoria, del ruolo di Torino e del giornale del sen. Frassati, padre del beato Pier Giorgio, protagonista di primo piano dell’antifascismo degli anni Venti.

Con la fusione «La Stampa» diverrà la capofila dei giornali regionali e locali del Gruppo De Benedetti; in altre parole assumerà le funzioni della storica «Gazzetta del Popolo», con un ridimensionamento del ruolo nazionale e anche degli organici (blocco del turn-over tra i giornalisti, trasferimento di personale amministrativo in Fca) mentre «la Repubblica» sarà l’ammiraglia della casa editrice, in concorrenza con «Il Corriere». Due grandi poli editoriali, a Roma L’Espresso, a Milano Rcs (Rizzoli-Corriere della Sera): Torino resterà importante, ma in seconda fila (ed è strano che le autorità istituzionali regionali e comunali siano silenziose di fronte a questa svolta storica, come se il futuro del giornalismo subalpino fosse meno rilevante di mostre, fiere, concerti…).

Accanto al disimpegno strategico di Marchionne e alla crisi generalizzata della carta stampata, sulla rinuncia degli Agnelli-Elkann ha pesato anche la mancanza di investimenti per un polo torinese multimediale, con editoria, tv, radio…, in grado di reggere la sfida dei social network.

In terra piemontese il giornalismo paga anche la crisi strutturale delle tv locali (ultimo caso il ridimensionamento del gruppo Telecity di Alessandria), per il permanere del duopolio pubblicitario Rai-Mediaset (parzialmente infranto da Sky); peraltro il servizio pubblico e il network berlusconiano continuano a gravitare anch’essi sull’asse Roma-Milano, con un ruolo minore dei centri di produzione storici di Torino e Napoli.

In questo panorama non esaltante reggono i fogli locali e diocesani (una sessantina in Piemonte) perché le voci delle comunità e l’informazione dal territorio sono ˈimbattibiliˈ anche nell’area del Web. Per queste essenziali espressioni di pluralismo, il Parlamento ha recentemente approvato la nuova legge sull’editoria, a quasi trent’anni dalla «Mammì». Si attende tuttavia che il nuovo governo vari i decreti attuativi, senza rinviare a dopo le elezioni. Alcune regioni, tra cui la Sardegna, hanno varato a loro volta misure impegnative per l’informazione regionale, con una valutazione etico-culturale del pluralismo. Perché il Piemonte non potrebbe fare altrettanto nel  momento in cui le scelte del Gruppo Fiat determinano nuove e non affascinanti prospettive per il mondo dei media?

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