Sindaco di Torino: ai candidati chiediamo un confronto di idee

Un analisi sul voto di domenica 5 giugno e le prospettive per la città

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Sindaco di Torino: ai candidati chiediamo un confronto di idee

Se si fa politica in odio all'avversario, chiunque esso sia, meglio stare a casa a meditare. Partiamo da quest’affermazione crediamo necessaria, per indicare cosa noi intendiamo per politica e come la sua dimensione di confronto anche serrato e senza sconti tra idee contrapposte debba essere sempre orientate al bene comune. Come afferma padre Francesco Occhetta, scrittore de «La Civiltà Cattolica»: «Nel voto da esprimere nei Comuni prima di chiedersi con chi devo stare, il sogno e lo sviluppo di città che vogliamo avere, bisognerebbe inserire anche i grandi principi che la Chiesa ci insegna come la sussidiarietà, lo sviluppo del bene comune e l’attenzione ai deboli. Perché da queste nuove classi dirigenti che stanno nascendo dovrebbe nascere anche una nuova classe dirigente per il Paese».

Anche per questo nell’alveo del franco e corretto confronto democratico, il secondo turno che coinvolgerà Torino e molti centri della nostra Diocesi,  auspichiamo possa essere un momento di riflessione e confronto di idee sulla città futura. Lasciamo agli analisti ed esperti di flussi elettorali, le valutazioni sulla migrazione di voti da una lista all’altra, i focus sul consenso nei quartieri popolari e in quelli più ricchi.

Nonostante l’incredibile numero di liste e candidati che si sono presentati nel primo turno, la nuova geografia del voto è anche determinata da una scarsa considerazione dell’opinione pubblica dei partiti tradizionali, con le eccezioni del Partito Democratico e il Movimento «Pentastellato». Nonostante l’ottimismo sulla situazione economica e politica italiana del premier Matteo Renzi, il voto amministrativo ha espresso un segnale di disagio e certificato le troppe incertezze sull’avvenire, anche a causa della crisi strutturale della mancanza di una classe dirigente. La  politica anche quella amministrativa, senza false generalizzazioni, è ovunque in sofferenza.

Se il 42,8 dei torinesi non si è recato alle urne, non bastano giustificazioni superficiali fondate sull’idea di un fisiologico fenomeno di massa dovuto all’allontanamento progressivo e irreversibile dalla dimensione dell’impegno civico. L’astensione, favorita anche dal lungo ponte e da un solo giorno di voto, ha radici più profonde e preoccupanti anche nella nostra città.

Si tratta di un’indifferenza radicata che considera inutile il confronto democratico anche quando decide le sorti del proprio borgo, quartiere o città. In ogni caso la maggioranza ha votato e il nuovo Consiglio comunale di Torino presenterà, al di là della vittoria di uno dei due candidati,  due blocchi di rappresentanza.  Da un lato questo risultato semplifica il quadro politico, dall’altro impoverisce e indebolisce il confronto politico-amministrativo con l’uscita di componenti storiche della vita politica cittadina: il crollo del centrodestra, con la sola eccezione di singoli successi personali e il dissolvimento della sinistra radicale. 

Il sindaco uscente, Piero Fassino, con il  41% dei voti è considerato il favorito per la rielezione. Il sostegno di una parte consistente della città è anche il riconoscimento del lavoro realizzato in questi anni.

Appendino ha un precedente illustre il sindaco professore, Valentino Castellani capace di ribaltare il voto nei ballottaggi del 1993 e 1997. Altri tempi. In ogni caso il voto al Movimento 5 Stelle va ascoltato e tenuto in seria considerazione e non derubricato con lo stereotipo della  «protesta anti sistema». E’ un consenso di un elettorato giovane e trasversale, che va conosciuto e analizzato.

Sentiamo anche l’esigenza di chiedere al movimento fondato da Grillo di rendere comprensibile e lineare il proprio programma: la sua idea di città, il progetto e le strategie che oggi sono ancora troppo indefinite e alimentate dalla pur nobile ma insufficiente volontà di cambiamento.

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