Politiche per l'immigrazione - LE NOSTRE DOMANDE

Diciassette candidati a Sindaco per Torino. Rispetto a ciascuno, in vista delle elezioni di domenica 5 giugno, pubblichiamo brevi interviste su temi di primo piano per il futuro della città. Iniziamo con approfondire il tema dell'immigrazione e dell'emergenza profughi. Leggi tutte le interviste ai candidati sindaco

Parole chiave: candidati (9), domande (2), 5 giugno (13), elezioni (53), amministrative (13), Torino (730)
Politiche per l'immigrazione - LE NOSTRE DOMANDE

Immigrazione, accoglienza profughi, campi nomadi: le cronache descrivono spesso una città in emergenza. Quale risposte nel programma del futuro sindaco di Torino? Sul sito www.lavocedeltempo.it è possibile confrontare le risposte a questa prima domanda posta ai candidati.

Torino è una delle città italiane che sta operando con più decisione sul fronte dell’accoglienza ai migranti messi in fuga dalle guerre, dalla miseria. Siamo all’avanguardia nei programmi di integrazione. Pare normale che la campagna elettorale dia spazio anche ai problemi e alle contraddizioni dell’accoglienza. Molto meno corretti ci sembrano certi slogan semplicistici, certe promesse elettorali di far piazza pulita dei migranti: uno slogan che, purtroppo, fa presa nella politica spettacolo.

Esistono nodi problematici, eccome se esistono. Ma vorremmo che fossero oggetto di ragionamento, più che di slogan. Un tema che fa molto discutere: la difficile gestione degli 8 campi nomadi, 4 dei quali autorizzati dalla Città. È possibile discuterne pacatamente, concretamente, superando le barricate? Per la sorveglianza del campo nomadi autorizzato in via Germagnano sono impegnati a Torino decine di uomini di polizia. all’interno non entra nessuno, fatta eccezione per pochi operatori dei servizi sociali. Bisognerebbe ridurre gli uomini armati e moltiplicare gli operatori sociali, gli insegnanti, gli educatori, tuttavia non accade. La questione dei Rom sconta la fragilità dei bilanci comunali, ma anche una crescente fatica a gestire la complessità con scelte decise, sfidando le contestazioni e, appunto, gli slogan. La strada dell’integrazione - insieme a quello della legalità – ci pare l’unica percorribile, anche se è lenta, impegnativa; solo su questa strada ha senso cercare interlocutori quando vogliamo ragionare (le elezioni) sul futuro.

È centrale, parlando di integrazione, proprio il tema degli interlocutori. In vista della scrittura del prossimo programma di governo per Torino sarebbe logico attendere qualche ragionamento sulla frammentazione degli uffici nella macchina comunale: da una parte l’Assessorato all’Assistenza con l’Ufficio Stranieri e Nomadi, dall’altra l’Assessorato alla Cultura con il Centro Interculturale, dall’altra ancora l’Assessorato all’Integrazione, dalle funzioni opache. La diversificazione degli uffici fu voluta a suo tempo per favorire un approccio articolato ai problemi: oggi i numeri sempre calanti del personale in servizio presso l’Ufficio Stranieri rivela che il meccanismo sta inceppandosi; l’interlocutore pubblico deve riorganizzarsi se non vuole limitarsi a cercare appoggio, come accade sempre di più, nel volontariato e nel privato sociale; se non vuole lasciare a metà certi importanti piani di integrazione, messi i cantiere per esempio nelle zone multietniche di Porta Palazzo, Barriera di Milano e non nei quartieri intermedi, dimenticati.

I tempi annunciano sfide impegnative per la città, da preparare con realismo. Il Comune di Torino è uno di quelli che sta cimentandosi con più determinazione nel difficile, storico dovere di gestire localmente problemi mondiali, com’è quello delle migrazioni. Ha aderito, volontariamente, al Sistema nazionale di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) nel quale sta garantendo l’accoglienza di 450 profughi in attesa di asilo politico. Di fronte alla tragedia delle guerre consideriamo questo impegno un fiore all’occhiello della città e vorremmo che anche su questo punto la campagna elettorale rinunciasse alla semplificazione degli slogan. Le comunità cristiane stanno facendo la loro parte nell’accoglienza di secondo livello. Occorre dire con forza che la questione dei profughi, al di là di certe cronache emozionali, non sta per ora incidendo sensibilmente sul tema generale delle migrazioni, non ha numeri esagerati: 350 mila sbarchi in due anni, 8 mila profughi attualmente ospitati nei centri di accoglienza piemontesi.

Ciò che gli enti locali devono chiedere allo Stato centrale, battendo i pugni, è di non essere lasciati senza risorse nella doverosa accoglienza: bisogna chiedere e ottenere denaro. Gli stessi pugni devono essere battuti per affrontare l’altro nervo scoperto – molto dibattuto - degli edifici occupati da abusivi italiani e profughi di guerra, per esempio nell’ex Villaggio Olimpico Moi di via Giordano Bruno. In mancanza di strutture alternative, qualcuno davvero pensa praticabile lo sgombero di 1000 occupanti con operazioni di polizia? Fattibile l’analogo sgombero degli edifici occupati dai somali in corso Chieri, dai sudanesi in via Paganini? Sgomberare per trasferire dove? Agli irregolari spetta il rimpatrio, ma i profughi godono di tutela internazionale. Occorre strutturare l’accoglienza, il resto è propaganda.

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