Talent e reality: la tv siamo noi

Capacità e senso della sfida, ma anche esibizionismo e ricerca di audience: lo specchio riflettente e deformante della società 

Parole chiave: talent (1), televisione (6), format (2), società (56), giovani (205)
Talent e reality: la tv siamo noi

La vetrina del mondo che ci circonda. Lo spazio dei nostri sogni e desideri, dove ad ognuno spettano almeno i proverbiali 15 minuti di celebrità. Fatti di cronaca e cronaca che in breve diventa Storia (con la maiuscola), spettacolo e intrattenimento (anche troppo) che riempiono, occupano il flusso ininterrotto di immagini che esce dalla tv. Di queste, talent e reality sono parte ormai non trascurabile che occupa tutti i canali, in chiaro e a pagamento, grandi e piccoli delle emittenze. Quando la televisione aveva rinunciato da tempo alla sua funzione didattica (specchio, ad esempio, della Rai che fu), quando lo show, che può essere anche arte perché affidato a professionisti dello spettacolo dalla lunga e qualificante gavetta, ecco arrivare l’intrattenimento delle persone comuni. Un «saranno famosi» istituzionalizzato e all’ennesima potenza, dove, alla fine, la fama forse arriva ma non è detto che sia duratura.

Sul passaggio dei due secoli, tra gli anni Novanta e il Duemila, si fa largo e si consolida in tv la concezione moderna dei talent e dei reality show. La ricerca dei talenti, come all’ora del dilettante, in una qualsiasi sagra paesana, e lo «spettacolo della realtà». La codifica del genere è, naturalmente, di provenienza anglosassone, quando, per i reality, attorno alla metà dei Novanta, fu prima creato e poi, nel 1997, ha debuttato «Survivor», ovvero come un gruppo di persone «comuni», catapultato su un’isola deserta, possa riuscire a sopravvivere in condizioni ostili. Per i talent, si tratta di ricerca dei talenti (artistici o meno), con persone, anche qui comuni, con più o meno spiccate attitudini, soi disant, in competizione tra loro e sottoposte al giudizio di vip noti al pubblico. Qui si inizia con «Pop Idol», nel 2001, in Inghilterra, alla ricerca delle nuove promesse della musica pop. Non dimenticando, naturalmente, che i concorrenti di reality e talent vengono sottoposti al «televoto del pubblico da casa», che decide chi si ferma e chi procede verso la vittoria finale.

Negli anni, da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, i due generi si sono evoluti e sono mutati adattandosi alle singole realtà televisive e culturali. Il nostro piccolo punto di vista italiano ha visto il moltiplicarsi dei titoli e dei marchi, le abitudini si sono consolidate e di talent e reality si parla spesso nelle conversazioni quotidiane. Li si osserva con occhio clinico e sguardo talvolta anche cinico, appassionandosi alle gesta di vip (very important person) e nip (not important person), che arrancano, cascano, steccano, sbagliano o sorprendentemente eccellono, tutti (consapevoli o meno, ‘giocatori’ e pubblico) intrappolati nell’implacabile meccanismo dell’audience televisiva.

Reality. Si deve partire, inevitabilmente, dal «Grande Fratello», nato in Olanda nel 1999, arrivato in Italia, su Canale 5, nel 2000. Un gruppo di persone non famose vive chiuso in una casa per mesi. L’occhio delle telecamere scruta tutto, continuamente. È il George Orwell (è noto, il titolo della trasmissione è tratto da «1984», un suo celebre romanzo del 1948) reso pop e ‘normalizzato’. La curiosità è padrona, la casualità sembra completa ma, in realtà, gruppi di autori ’manovrano’ le dinamiche che si creano all’inizio nella casa, ‘scrivendo’ gran parte degli sviluppi delle storie, utilizzando (e accentuando) i tratti caratteriali di ognuno, perché confliggano e si crei un racconto che si faccia seguire dagli spettatori. Una specie di soap opera involontaria e di base che, ultimamente in Italia, dopo quattordici edizioni, risentendo di una certa stanchezza negli ascolti (e ti credo…), nell’autunno dello scorso anno è stata presentata nella variante vip, con persone famose (qualità interpretata molto estensivamente) chiuse a convivere nella casa.

Ma i famosi (e i non famosi) possono anche essere mandati su un’isola deserta: ecco allora «L’isola dei famosi», in onda in Italia dal 2003, versione nostrana di un format svedese del 1997. Prove di sopravvivenza, necessità di procurarsi il cibo, quando c’è, in loco. Invidie, dispetti ed alleanze che presto si mettono in moto, anche qui pilotate ad arte da autori ‘invisibili’, sullo sfondo l’isola sfolgorante di sole, mare e natura, equatoriale quanto basta per accogliere i novelli Robinson. Qui il compiacimento sottilmente (inconsciamente) crudele degli spettatori si esercita: «Vediamo fino a che punto ‘sto tizio (‘sta tizia) andrà avanti…». Sapendo che nel momento di apparente difficoltà, tutto si ferma (in fondo è sempre fiction), un bell’applauso e si passa alla puntata successiva.

«Pechino Express», più recente per noi italiani, è iniziato nel 2012, il modello è un format belga-olandese del 2004: famosi e non famosi, divisi a coppie, percorrono chilometri da turisti on the road alla scoperta di popoli e abitudini di popoli distanti dall’Italia: in India, Nepal e Cina per la prima edizione, in Vietnam, Cambogia, Laos e Thailandia per la seconda, e così via. Va da sé che i viaggiatori preventivamente non abbiano la minima idea di usi e costumi e non conoscono quasi mai la lingua del posto che visitano. E via con prove, zaino in spalla e un euro al giorno per soddisfare i bisogni primari.

Talent. In Rai nei Cinquanta c’era «Primo applauso», nei Sessanta «Settevoci», nei Novanta «Gran premio». Ma la nostra attuale percezione dei talent inizia dagli anni Duemila, quando dalla patria di Albione arriva «Pop Idol». Per noi italiani sarà subito una proliferazione canterina, coreutica e d’arte varia che genererà «Amici di Maria De Filippi», «Operazione Trionfo», «Music Farm», «X Factor», «Italia’s Got Talent», «Ti lascio una canzone». E l’elenco potrebbe continuare. Da questi particolari bisognerebbe dedurre che l’Italia sia ormai, oltre che un Paese di santi, poeti, navigatori, anche una terra di cantanti. Del resto, «pizza, sole e mandolino» è un altro motto che ci portiamo appresso. È l’attuazione quotidiana, settimanale di quanto si vedeva in «Saranno famosi», film e successiva serie tv celebri negli anni Ottanta. C’è un’occasione anche per te per raggiungere le luci del proscenio, se credi di avere talento, determinazione e un pizzico di fortuna ti accompagna. Peccato che tra i molti che passano, e che si illudono, e che vincono anche questi talent, molti, poco dopo, scivolano nel dimenticatoio. E implicitamente si trasmetta l’idea che, anche nell’arte, non servano (o servano molto poco) studio e costante educazione e allenamento del (presunto) talento performativo. Ad ogni modo, qualche nome uscito da questi talent è rimasto: Alessandra Amoroso, Emma Marrone, Marco Mengoni, Il Volo.

Poi ci sono le varianti del talento cercato in altri rami dell’entertainment: la danza sportiva di «Ballando con le stelle», dove un famoso (talvolta un po’ in disarmo) dello spettacolo, inesperto in materia, si cimenta in gare di ballo, contro altri neofiti, in coppia con campioni della danza sportiva. O la variante gastronomica: come in «Masterchef», dove aspiranti chef (più o meno conosciuti) si confrontano, a colpi di ricette e piatti succulenti, sotto gli occhi impassibili e crudeli di star della cuisine internazionale.

Format, cliché, scrittura sotto traccia, suspense indotta, polemiche create ad arte per rialzare l’audience, divi e divetti che possono durare lo spazio di un mattino, chiacchiere e pettegolezzi. Talvolta raro divertimento. È l’entertainment mainstream, che piaccia o no. Ma non deve sostituire la voglia e la curiosità di cercare altro: un libro, un quadro, una musica suonata dal vivo, un film al cinema, uno spettacolo a teatro. Qualcosa di non mediato, necessariamente, dalla tv.

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