Salone del libro, cultura e business

Intervista con Ernesto Ferrero, direttore editoriale della kermesse torinese, in programma al Lingotto dal 12 al 16 maggio

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Salone del libro, cultura e business

Sarà il ministro dei Beni culturali e del Turismo, Dario Franceschini, a inaugurare la 29ª edizione del Salone del libro di Torino, dal 12 al 16 maggio, a Lingotto Fiere. Cinque giorni affollati di personaggi di primissimo piano, tra i quali il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi. La kermesse, che ha come tema «Visioni», superati i guai finanziari, come rimarcato dalla presidente Giovanna Milella, si presenta con «uno sterminato programma culturale», per ammissione del direttore editoriale, Ernesto Ferrero, e mille editori, di cui 70 new entry. Ferrero, 78 anni indossati con eleganza, nell’editoria dal 1963, quando divenne responsabile dell’ufficio stampa della casa editrice Einaudi, autore di saggi, libri, articoli su vari giornali, Premio Strega 2000, è alla direzione editoriale del Salone del libro da diciannove edizioni.

Il successo del Salone dipende dalla disponibilità economica e dalle idee. C’è chi sostiene che le idee pesano più dei finanziamenti . Cosa risponde?

Le buone idee sono fondamentali, ma senza risorse non si va da nessuna parte. Non so come abbiamo fatto quest'anno ad allestire tanti eventi con meno di 60 mila euro per le spese di ospitalità. È qui che è diventato decisivo il contributo degli editori. Eppure il Salone crea una ricaduta economica enorme. Ogni euro investito ne produce almeno trenta, coinvolge allestitori, trasportatori, alberghi, ristoranti, negozi, taxi. La fortuna nasce dalla formula quadripartita: è una grande libreria di 45 mila mq, un festival, un padiglione per bambini e ragazzi, un momento di incontro per professionali giunti da tutto il mondo per comperare e vendere diritti d'autore.

Ad ogni edizione del Salone del libro di Torino si dibatte sulla sua sopravvivenza. La fiera mondiale del libro di Francoforte, nata nel 1949, non è mai stata in discussione. Quali le diversità, oltre il fatto che l’evento tedesco è riservato per lo più a operatori del settore, ha 300 mila visitatori specializzati e 9 mila espositori?

Francoforte è soprattutto una Fiera di compravendita di diritti editoriali. Ci vanno editori di ogni Continente, anche se negli ultimi anni l'affluenza è scesa e sono stati chiusi interi padiglioni. Il pubblico generico può entrare solo sabato e domenica. Non ci sono spazi per bambini, né momenti di spettacolo. La frequento da cinquant’anni, posso dire che gli incontri con gli autori sono pochi, circa cento. Tutto il contrario di Torino, dove autori e relatori sono più di mille, con incontri distribuiti in trenta sale.

Lei si occupa del Salone da anni. Come viene stabilito il programma?

Il programma viene costruito con gli editori. Gli incontri cominciano in autunno. Si decide quali autori siano più adatti a Torino. Lavoriamo artigianalmente. L’obiettivo è un prodotto per studiosi e grande pubblico. Giusto avere Francesco Guccini o altre star dello spettacolo, ma poi occorrono eventi di alto profilo culturale, sempre frequentatissimi. Al Lingotto arriva un pubblico motivato, competente, selettivo, tra i migliori d'Italia. E chiede qualità e valori. Voglio aggiungere che si può fare il Salone perché c'è una squadra piccola, ma eroica. Per la parte del programma, parlo di Marco Pautasso, Andrea Gregorio e Maria Giulia Brizio. Un trio colto, esperto, capace di incredibile dedizione, apprezzato dagli editori e che fa il lavoro altrove svolto da venti persone. Il futuro del Salone è garantito anche perché ci sono loro. Può arrivare un direttore artistico con qualche idea brillante e spiritosa, ma la macchina c'è, è solida, collaudata. Funziona. 

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