Quando i bambini sono i veri adulti

Da un film premiato con l’Oscar, l’esempio di figli più forti dei genitori e con un’idea di famiglia solida e tenace. Quale attinenza con la realtà?

Parole chiave: adulti (1), bambini (21), infanzia (4), genitori (4), film (67)
Quando i bambini sono i veri adulti

Più forti dei genitori. Capaci di reagire con inaspettata maturità in situazioni complesse e, talvolta, drammatiche. Con un’idea di famiglia, al contrario di padri e madri spesso distratti o inadeguati, solida e tenace. I bambini hanno grandi risorse. Sottovalutate. Il cinema, come il recente film «Room», premiato con l'Oscar, attingendo alla fantasia ma portando sullo schermo esempi plausibili di coraggiosa personalità, ce le sta svelando. Bambini piccoli, quelli del grande schermo, o adolescenti introversi, eppure già dotati di sorprendente saggezza, intraprendenti e risoluti nell’affrontare le incertezze della vita. Un’immagine complessiva molto diversa dell’infanzia che esce dalle pagine di cronaca, dove invece parlare di minori significa, in troppi casi, raccontare di vittime indifese di fronte all’egoismo e alla cattiveria degli adulti.

Questa “visione” cinematografica ha un’effettiva attinenza con la realtà? Sono i figli che, paradossalmente, possono correggere i limiti e le fragilità dei padri? Passa anche dalla loro “procacità valoriale” la spinta a prendere coscienza delle derive a cui il modello famiglia è oggi sottoposto? «I bambini sono pieni di risorse», conferma Elena Besozzi, ordinario di Sociologia dell’Educazione all’Università Cattolica di Milano, «hanno la mente libera da pregiudizi, guardano il mondo con occhi semplici e desiderosi di scoprire e conoscere cose nuove. I bambini hanno molta fantasia e spesso riescono a vedere cose che gli adulti non riescono a scorgere, perché troppo presi dai loro problemi, dallo stress del lavoro e talvolta anche da insicurezze o condizionamenti che hanno avuto da esperienze passate».

Dunque un “salvagente” a cui possono aggrapparsi genitori in difficoltà?

E perché no? Nei primi tre anni di vita si pongono le fondamenta della sicurezza socioemotiva, si raggiunge il controllo delle funzioni del corpo, si scoprono e si possono imparare a rispettare le regole fondamentali del vivere insieme, il piacere dell’esplorazione, si può consolidare la voglia di conoscere. Per tutto questo è necessario tempo, rispetto dei ritmi di ciascuno, sostegno all’attenzione, protezione della concentrazione. Il figlio ha un proprio carattere e una propria personalità, che emerge nel periodo dell’adolescenza. Se però una volta i genitori erano più autoritari, erano anche più aiutati dalla società. È come se in passato fosse stato dato loro dall’ambiente sociale il compito di educare e crescere buoni cittadini, di dar loro regole e di ammaestrarli.

Oggi, invece, i genitori non osano più interpretare questo ruolo?

No. E hanno perso anche l’atteggiamento di comando che li aveva caratterizzati in passato. Da un lato è meglio, perché prima erano troppo autoritari e talvolta incutevano paura ai ragazzi. Dall’altra parte, però, il non intervenire del tutto è sbagliato. Essere padri e madri è difficile. Quello che manca nel nostro Paese sono le scuole per genitori, corsi tenuti da psicologi ed esperti dell’educazione che possano aiutare gli adulti a capire i ragazzi e insegnare loro come comportarsi in questa età. È giusto che i genitori siano guide per i loro figli, che diano loro imposizioni e che insegnino loro a prendersi cura di sé stessi fin da piccoli: altrimenti è chiaro che nell’adolescenza ogni intervento dell’adulto verrà rifiutato. È importante, infine, che i genitori abbiano un buon rapporto comunicativo con i ragazzi, che parlino con loro, che li conoscano, che passino con loro del tempo e che condividano i loro interessi. E che sappiano capire anche i loro silenzi, perché non sempre per un ragazzo è facile parlare quando ha un problema.

leggi l'intervista completa su il nostro tempo di domenica 20 marzo

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