Preti e laici piemontesi nella tempesta della guerra

A conclusione del 70° della fine della seconda guerra mondiale (1945-2015) è giusto ricordare gli eroi torinesi e piemontesi, colpevolmente dimenticati dagli storici perché agirono da cristiani. Così il Piemonte santo si arricchisce delle splendide testimonianze degli eroi di bontà e mitezza, misericordia e perdono, fede e carità.

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Preti e laici piemontesi nella tempesta della guerra

Secondo Pollo (1908-1941) - Alba di Santo Stefano, 26 dicembre 1941, in Montenegro. Gli Alpini del 3° reggimento, battaglione «Val Chisone», ricevono l’ordine di liberare la località di Grahovo. Si mettono in marcia sprofondando nella neve ma a Dragali cadono in un’imboscata dell’esercito jugoslavo. Un alpino viene ferito e il cappellano militare don Secondo Pollo, incurante del rischio, va in soccorso: percorre pochi metri e una raffica di mitragliatrice lo colpisce e gli maciulla le gambe. Esorta i soccorritori a non occuparsi di lui ma a mettere in salvo i commilitoni. Secondo nasce il 2 gennaio 1908 in una cascina tra Caresanablot e Varallo, in mezzo alle risaie vercellesi. Prete il 15 agosto 1931, lauree in filosofia e teologia, insegna italiano e latino nel Seminario minore e fa il cappellano di un piccolo borgo di contadini. Si dedica all’insegnamento ed è assistente dei giovani di Azione Cattolica. Per restare vicino ai suoi giovani chiamati alle armi, chiede di andare cappellano militare, sul fronte francese e poi in Montenegro. Alla vigilia del Natale 1941 regala la sua scatoletta di carne a un commilitone. Divampa un terribile combattimento. Si prodiga tra feriti e morti; incoraggia e prega; assolve i moribondi. Un ferito lo chiama, una mitragliata lo abbatte. È beatificato a Vercelli il 23 maggio 1998 da Giovanni Paolo II.

Giovanni Gheddo (1900-1942) a Rosetta Franzi (1902-1934) – I due giovani  vercellesi Rosetta, maestra elementare, e Giovanni, geometra si sposano il 16 giugno 1928. Hanno tre figli: Piero, sacerdote missionario del Pime e scrittore, Francesco e Mario. Rosetta muore di parto e di polmonite. Giovanni resta vedovo con tre figli ed è spedito in Russia come punizione per il suo antifascismo. Dalla Russia non torna più, muore a 42 anni per un atto di eroismo: prende il posto di un commilitone. Un gesto di carità eroica. La causa di beatificazione nasce anche dalla pubblicazione, nel 2002, delle lettere di Giovanni «II testamento del capita­no». Ora la causa è alla Congregazione per le cause dei santi a Roma.

Giuseppe Bernardi (1897-1943) e Mario Ghibaudo (1920-1943) - Nel marasma provocato dall’armistizio dell’8 settembre 1943, a Boves (Cuneo) il parroco don Giuseppe Bernardi e il viceparroco don Mario Ghibaudo rimangono accanto ai parrocchiani fino al sacrificio della vita. L’ultimo ricordo di don Bernardi è la sua benedizione da un’autoblindo. Don Ghibaudo è colpito a morte mentre assolve un uomo. L’eccidio di Boves è la prima rappresaglia dei nazisti in Italia e in paese nasce una delle prime formazioni partigiane, composta da militari italiani comandati dall’ufficiale Ignazio Vian. Divampa la battaglia e i partigiani incalzano i tedeschi: cadono un partigiano genovese e un militare tedesco, il cui corpo è abbandonato dai commilitoni. Il parroco don Bernandi e l’industriale Antonio Vassallo sono incaricati dai tedeschi di trattare con i partigiani che soddisfano le richieste ma le SS compiono ugualmente una strage e appiccano il fuoco: 350 case bruciate, 24 uccisi, tra cui Bernardi, Ghibaudo e Vassallo, che vengono giustiziati con due colpi di pistola, cosparsi di benzina, posti sulla catasta di legno a cui viene dato fuoco. Giuseppe Bernardi, nato a Caraglio (Cuneo) il 25 novembre 1897, combatte nel primo conflitto mondiale e ne esce convinto che la guerra «è un’inutile strage»: sacerdote dal 1923, arriva a Boves come parroco nel 1938. Mario Ghibaudo, nato a Borgo San Dalmazzo il 19 gennaio 1920, sacerdote nel giugno 1943, giunge a Boves due mesi prima della strage e muore a 23 anni. Per i due  è in corso la causa di beatificazione.

Teresa Bracco (1924-1944) - Sugli Appennini tra Piemonte e Liguria infuriano i combattimenti tra i partigiani e i nazisti con rastrellamenti, rappresaglie e violenze.

A Santa Giulia di Dego vivono i coniugi Bracco e i loro sette figli. Penultima, il 24 febbraio 1924 nasce Teresa. Bella, molto religiosa, ha come modello Domenico Savio e il suo motto «La morte ma non peccati». Ripete spesso a parenti e amici: «Piuttosto che cedere al male, preferisco farmi ammazzare». Nel pomeriggio del 28 agosto 1944, insieme a due amiche, viene sequestrata in un rastrellamento dai tedeschi. Fedele alla promessa, non si piega: la terribile lotta contro gli energumeni che tentano violentarla si conclude con due colpi di pistola. Per il suo amore a Dio, per il suo gesto di eroismo, per la fedeltà alla dignità di donna e alla purezza, è beatificata – insieme al torinese don Giovanni Maria Boccardo e all’alessandrina Teresa Grillo Michel – il 24 maggio 1998 in piazza Vittorio Veneto a Torino da Giovanni Paolo II.

Don Giuseppe Rossi (1912-45) – Il giovane parroco ucciso barbaramente il 26 febbraio 1945 dai nazifascisti per rappresaglia, in seguito a un attentato dei partigiani,  salva la vita del paese Castiglione Ossola. Nato il 3 dicembre 1912, è ordinato sacerdote il 29 giugno 1937. Destinato a Castiglione Ossola, il parroco intrattiene una fitta corrispondenza con i suoi ragazzi al fronte, si spoglia del poco che ha per aiutare le missioni e i suoi poveri per i quali compra il riso a borsa nera: di giorno in canonica si cuociono pentoloni di minestra che a sera, con il favore del buio, distribuisce di casa in casa. La mattina del 26 febbraio 1945 i partigiani tendono un’imboscata ai «Muti», legione autonoma mobile Ettore Muti della Repubblica Sociale Italiana. Sono le 9 del mattino e il campanile scocca le ore: i rintocchi sono interpretati dai fascisti come un segnale ai partigiani. Il parroco rifiuta di fuggire: per rappresaglia i fascisti incendiano alcune case e rastrellano 45 persone, tra i quali il pastore buono che conforta, incoraggia, assolve: i fascisti lo prelevano e lo trascinano fuori paese. Il 4 marzo 1945 i parrocchiani lo trovano sepolto in una buca in un vallone. Nel 2002 inizia il processo di beatificazione.

Luigi della Consolata (Andrea) Bordino (1922-1977) - Durante la prigionia nelle gelide steppe russe e siberiane impara a servire gli ammalati in ginocchio. Racconta un alpino: «Andrea veniva nella baracca, mi passava una mano sotto la schiena e una sotto le ginocchia e mi portava al gabinetto di peso, servendomi meglio che poteva». Settant’anni dopo l’«inferno di ghiaccio», il 2 maggio 2015la Chiesa lo ha proclamato beato. Nasce il 12 agosto1922 a Castellinaldo (Cuneo), un’adolescenza tra famiglia e scuola, parrocchia e Azione Cattolica. Nel gennaio 1942 è arruolato nel 40° reggimento artiglieria alpina della divisione «Cuneense». Prigioniero in Siberia, fame e gelo, stenti e sofferenze lo riducono a una larva. Torna a casa nell’ottobre 1945. Entra nella Piccola Casa della Divina Provvidenza e nel 1948 emette i voti, assumendo il nome di fratel Luigi della Consolata. Per quasi trent’anni lavora in sala operatoria come anestesista e nei reparti ortopedico e chirurgico. Dopo una giornata faticosa, dedica la serata ai «barboni» che lava e cura in ginocchio. Professionista di alto valore e di grande bravura, i medici ne rilevano le doti. Il suo segreto? Prega ed è sempre unito al suo Signore. Donatore di sangue, nel giugno 1975 scopre dai risultati degli esami del sangue di essere colpito da una leucemia mieloide. Spira il 25 agosto 1977.

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