Pio XII analisi di un pontificato

Analizzando, in profondità, il volume "Le Spie del Vaticano. La guerra segreta di Pio XII contro Hitler" di Mark Riebling, storico, saggista e analista politico americano

Parole chiave: hitler (1), pio xii (2), pacelli (1), nazismo (4), seconda guerra mondiale (3)
Pio XII analisi di un pontificato

"Pio XII è il papa più controverso del Novecento: tenacemente esaltato dagli uni, fino a ignorare fatti che possono essere variamente interpretati ma che impossibile negare, e duramente condannato dagli altri, fino ad attribuirgli colpe che oltrepassano i limiti oggettivi delle sue possibilità di azione, è da cinquant'anni al centro di una querelle che non accenna a spegnersi". E ancora: "Sullo sfondo della discussione che riguarda Pio XII torna spesso a delinearsi uno scontro tra diverse ecclesiologie, a cui non sono stati del tutto estranei neanche i laici: anche molte delle loro posizioni, infatti, riflettono implicitamente diverse idee di Chiesa […]. Ma proprio lo sviluppo del dibattito su Pio XII mostra che approfondire in modo veramente storico questo pontificato è necessario allontanarsi il più possibile dal condizionamento dei vari modelli ecclesiologici. Una storiografia veramente laica, infatti non può essere né pro né contro Eugenio Pacelli e, soprattutto, non può essere né pro né contro il modello di Chiesa che, di volta in volta, è stata identificata con la sua figura. Occorre, in un certo senso, rovesciare l'approccio e cercare, attraverso l'indagine storica su Pio XII, di comprendere meglio cosa sia stara veramente la Chiesa cattolica nel secolo scorso al di là dei diversi modelli che ne sono stati proposti" (A. Giovagnoli, Prefazione, in A. A. Persico, Il caso di Pio XII.

Mezzo secolo di dibattito su Eugenio Pacelli, Milano: Guerini e Associati, 2008, IX; XVI-XVII). Lo storico A. Giovagnoli così magistralmente introduceva un recente e approfondito studio sul complesso e controverso dibattito storiografico intorno alla figura di Pio XII. Dai summenzionati giudizi si evincono due punti fermi. Primo: l'attualità e l'interesse in ambito storiografico per il pontificato pacelliano, ma limitato, ancora e il più delle volte, ad un confronto ideologico tra leggenda rosa e nera. Secondo: la necessità di superare il binomio "pro-contro" a vantaggio di un'indagine storica su Pio XII e sulla Chiesa cattolica di fronte alle sfide dei totalitarismi del XX secolo. Infatti, le difficoltà nell'affrontare questo delicato momento storico non conseguono da una mancanza di fonti, anzi nel tempo è aumentata la possibilità di accesso agli archivi specifici, quanto piuttosto dalla loro interpretazione.

 Il volume Le Spie del Vaticano. La guerra segreta di Pio XII contro Hitler, Milano: Mondadori, 2016 (originale: Church of Spies. The Pope's secret war against Hitler, New York: Basic Books, 2015) di Mark Riebling, storico, saggista e analista politico americano, esperto in particolare di politica estera del Vaticano nella Seconda Guerra Mondiale e durante la guerra fredda, può essere annoverato tra i tentativi riusciti di indagine storica, principalmente sul pontificato pacelliano e sulla Chiesa Cattolica tedesca in relazione alla Germania nazionalsocialista, ma anche su molte altre personalità che hanno lottato con la vita nel tentativo di rovesciare la dittatura hitleriana.

Il testo in sé non ha nulla di sensazionale. In qualche modo si era già a conoscenza di una particolare attività di Eugenio Pacelli nel fronteggiare la minaccia del nazionalsocialismo di Hitler, già prima della sua elezione a Sommo Pontefice (1939), in qualità di Segretario di Stato del papa Achille Ratti (Pio XI). L'intervento di Pio XII si è sviluppato in due direzioni, innanzitutto con una sua diretta partecipazione, segreta e allo stesso tempo attiva, ad un eventuale colpo di stato contro il regime hitleriano. Una volta rovesciato quest'ultimo vi sarebbe stata una reale possibilità di una repentina ed efficace soluzione del secondo conflitto mondiale, mettendo fine così all'olocausto degli ebrei e al suicidio dell'Europa. In secondo luogo la diplomazia Vaticana, per volontà dello stesso pontefice, fu incoraggiata a svolgere un delicatissimo ruolo di intermediario tra gruppi di "resistenza tedesca" e le forze Alleate, specialmente quelle del Regno Unito.

 L'apporto più significativo e originale di Riebling è costituito sostanzialmente dal "monumentale" apparato documentario, del quale la maggior parte è stata solo di recente desegretata dagli archivi civili ed ecclesiastici. A questo fondamentale merito si devono aggiungere anche l'efficacia metodologica e l'accattivante narrazione dei fatti. Del saggio dello storico americano mi limito a mettere in evidenza soltanto due particolari contributi, di particolare valore storiografico.

 Il primo contributo di Riebling è costituito da una presentazione d'insieme dei protagonisti degli avvenimenti storici narrati. Questi, più o meno conosciuti, testimoniano l'esistenza di un immane sforzo per contrastare il nazionalsocialismo in Germania e i suoi tentacoli nel resto del mondo. Sono civili e militari, laici ed ecclesiastici, cattolici e protestanti, che hanno sacrificato la propria vita, non soltanto per la libertà della Germania, ma anche per la costruzione di una nuova Europa: il politico Joseph Müller, gli ufficiali militari Ludwig Beck, Wilhelm Canaris e Claus von Stauffenberg, i giovani fratelli Scholl della "Rosa Bianca", i padri gesuiti Augustinus Rösch e Alfred Delp, il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer. Sono soltanto alcuni nomi, forse i più noti, di una "resistenza tedesca", facilmente dimenticata, se non addirittura censurata da chi pensa e scrive la storia in senso manicheo. Indubbiamente, come osserva più volte Riebling, vi furono dei limiti: disorganizzazione, omissioni nell'attivare concretamente l'opposizione a Hitler, per molteplici motivi, interni ed esterni alla Germania, fiancheggiatori del regime, più o meno convinti, appartenenti purtroppo ad ambienti cristiani (il caso dell'Arcivescovo di Vienna, il Cardinal Theodor Innitzer e quello della Chiesa Luterana ufficiale).

Ma assolutamente non è sostenibile la tesi di chi difende una sottomissione totale ed assoluta al dittatore nazista da parte di tutti i cittadini tedeschi. Vi era anche dell'altro. "Bisogna – affermò risolutamente Pio XII – che in Gran Bretagna sappiano dell'opposizione tedesca" (Riebling, p. 73); Joseph Müller, principale mediatore tra Pacelli e la resistenza tedesca, colloquiando con il pontefice una volta terminata la guerra, ebbe a ringraziarlo: "Müller spiegò che aveva cercato di tenere a mente l'insegnamento del papa, secondo il quale «il bene e il male convivono e agiscono in tutti gli esseri umani», e lo ringraziò per aver dimostrato di credere davvero in quell'idea, distinguendo tra la Germania Perbene e il Reich di Hitler" (Riebling, p. 271).

    Il politico Müller, meglio conosciuto come Ochsensepp (torello, a motivo della sua conformazione fisica), tra tutti i personaggi elencati da Riebling, è certamente quello più emblematico. "La vita di Müller fu un pazzesco guazzabuglio di avventure. «Ochsensepp» condusse soldati, trasmise clandestinamente documenti, fece politica, pianificò un assassinio, scrisse sermoni, salvò ebrei, pagò un riscatto per la liberazione di vescovi, evitò la cattura, patì il tradimento, sopportò la tortura, confuse chi lo aveva catturato […]"(Riebling, p. 44). "Solo lui aveva l'influenza e la reputazione necessarie a promuovere la pace e a convincere gli Alleati che la resistenza tedesca non era, come affermato una spia britannica, «una creatura mitologica non meno del centauro o dell'ippogrifo»"(Riebling, p. 57). Ebbe salva la vita per un imprevisto, legato all'amicizia con Rattenhuber, capo della guardia personale di Hitler: "Doveva il salvataggio in extremis alla sua amicizia con il capo della scorta di Hitler, un'amicizia nata dal fatto che quando, il 9 febbrario 1934, era stato arrestato dalla Gestapo, Müller aveva avuto il coraggio di dire a Himmler di avere esortato Held [ministro bavarese] a metterlo la muro. Il «Torello» si era salvato la vita perché, in una circostanza dela passato, era stato pronto a perderla" (Riebling, p. 276). Il "Torello" dimostrò anche ampie vedute in ambito politico: "Müller convinse Beck [ex generale tedesco in pensione] che una «unione economica europea» avrebbe rappresentato «un passo fondamentale verso un'Europa unita, e reso impossibile l'eccessivo nazionalismo e la guerra tra distinti stati»" (Riebling, p. 124). Il novizio gesuita Alfred Delp, "cane sciolto –  così è definito da Riebling – in un ordine molto irreggimentato come quello dei gesuiti", fu tra i più attivisti della resistenza, tra quelli che vogliono fare la storia e non diventarne un oggetto. Eppure le sue riflessioni negli ultimi giorni della sua vita sono di una tale profondità da poter essere accostate a quanto negli stessi anni un suo confratello francese, il teologo Henri de Lubac, scriveva clandestinamente in quell'opera magistrale Il dramma dell'umanesimo ateo.

Così Riebling riporta di padre Delp alcuni stralci : "«Le cose  appaiono più chiare e nel contempo più profonde. Si colgono i più svariati e imprevisti aspetti»"(Riebling, p. 231). E ancora: "«Naturalmente alla fine si dimostrerà che il papa ha fatto il suo dovere e anche qualcosa di più, […] Ma, perlopiù, tutta questa attività benefica … non porta da nessuna parte e non ha alcuna reale speranza di sortire un effetto. È questa la vera radice del problema: tra tutti i protagonisti del tragico dramma del mondo moderno, non ce n'è uno a cui importi nulla di che cosa dice o fa la Chiesa. Abbiamo sopravvalutato la macchina politica della Chiesa e l'abbiamo lasciata funzionare molto tempo dopo che il suo fondamentale carburante aveva smesso di alimentarla. Per quanto riguarda la possibilità della chiesa di avere un'influenza benefica, non importa affatto che uno Stato mantenga o no le relazioni diplomatiche con il Vaticano. L'unica cosa che conta davvero è il potere intrinseco della Chiesa come forza religiosa nei paesi in cui essa conta dei fedeli. È da qui che è scaturito l'errore: la religione è morta di varie malattie e l'umanità è morta con essa»" (Riebling, p. 232).

     Pio XII, ovverosia il suo presunto silenzio di fronte agli eccidi nazisti e la partecipazione personale al complotto contro Hitler, costituisce il secondo, ma di fatto il principale contributo del saggio di Riebling. Il cosiddetto "silenzio" pacelliano rappresenta l'argomento più controverso per la storiografia recente: "Il 20 ottobre Pio XII promulgò un enciclica intitolata in latino Summi Pontificatus […]. Il mondo giudicò l'enciclica un attacco alla Germani nazista. […] Il papa si impegnò addirittura a pronunciarsi di nuovo, se necessario. […] Era un promessa valorosa e vana. Pacelli non avrebbe più pronunciato la parola ebreo o giudeo in pubblico fino al 1945. Durante la guerra le agenzie di stampa alleate ed ebraiche continuarono a salutarlo come un antinazista, ma col tempo il suo silenzio rese più tesi i rapporti tra cattolici ed ebrei e ridusse la credibilità morale della religione cattolica. Le cause e il significato di quel silenzio, di cui si continuò a dibattere anche nel secolo successivo, avrebbero costituito il principale enigma sia della biografia di Pio XII sia della storia della Chiesa moderna" (Riebling, p. 33-35).

Riebling affronta fin dai primi capitoli il problema, rivelando con estrema chiarezza la sua ipotesi di lavoro: "Se si giudica Pio XII in base a quanto non ha detto, non lo si può che condannare. Davanti a all’orrore di mucchi di cadaveri scheletrici, di donne bambini costretti sotto tortura a uccidersi a vicenda, di milioni di innocenti gettati in carcere come criminali [...] avrebbe dovuto parlare. Avrebbe avuto quel dovere non solo come Pontefice, ma anche come uomo. Dopo la sua prima enciclica fece di nuovo, per iscritto, generiche distinzioni tra l’odio razziale e l’amore cristiano; tuttavia, come rappresentante di un’istituzione morale come la Chiesa, si rivelò avaro di pronunciamenti. Verso quel che in privato definiva «forze sataniche», si dimostrò pubblicamente moderato; là dove nessuna coscienza avrebbe potuto mantenere un atteggiamento neutrale, la Chiesa lo mantenne. Durante la più grande crisi morale del mondo, il più grande leader morale parve ammutolito. Ma il Vaticano non operava solo a parole. Il 20 ottobre 1939, quando firmò l’enciclica Summi Pontificatus, Pio XII era invischiato in una guerra dietro la guerra. Coloro che in seguito analizzarono il labirinto delle sue mosse politiche senza sapere nulla delle sue attività segrete si chiesero perché, pur sembrando così ostile al nazismo, si fosse chiuso nel silenzio. Ma quando le sue operazioni clandestine furono ricostruite e confrontate con i discorsi pubblici, emerse una netta correlazione. L’ultimo giorno in cui, durante la guerra, Pacelli pronunciò pubblicamente la parola ebreo è anche il primo in cui la storia documenta la sua decisione di partecipare a un complotto per uccidere Adolf Hitler" (Riebling, p. 35).

Ma le parole non furono del tutto assenti: lo storico americano ricorda giustamente la protesta contro il genocidio, contenuta nel messaggio del Natale del 1942, e anche una sua particolare recezione: "[Pio XII] denunciò le «centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o ad un progressivo deperimento». Anche se non pronunciò la parole ebrei, usò, al posto di etnia, il termine stirpe, che all'epoca, in Italia, era un eufemismo per indicare gli ebrei. [...] Il pastore protestante François de Beaulieu, sergente radiofonico a Zossen, fu arrestato perché, invece di distruggere il messaggio di Natale di Pio XII, ne aveva distribuito copie clandestine. Un tribunale militare lo accuso di aver diffuso un «documento sovversivo e demoralizzante» […]. In seguito Beaulieu […] avrebbe dissentito da coloro che dicevano che Pio XII avrebbe dovuto fare un gesto più audace. «A che sarebbe servito se il papa si fosse dato fuoco davanti al Vaticano? Sarebbe stata necessaria, semmai, la rivolta di tutti i sacerdoti cattolici e di tutti i pastori protestanti di Germania»" (Riebling, p. 148-149). Pacelli, osserva Riebling, non recedette mai dalle sue intenzioni, neanche difronte alle pressioni da parte degli Alleati, che lo invitavano a mantenere un atteggiamento prudenziale: "«Sir D’Arcy [Osborne] osserva che bisognerebbe adoperarsi per dissuadere il papa dal fare l’appello [a favore degli ebrei d’Ungheria], giacché un simile atto avrebbe ripercussioni politiche molto gravi.» I britannici temevano infatti di irritare Stalin, in quanto condannare specifiche atrocità avrebbe potuto indurre qualcuno a parlare anche del massacro di ventiduemila ufficiali polacchi perpetrato dai sovietici nella foresta di Katyn. Combattuto fra contrastanti pressioni che gli arrivavano da ogni parte, Pio XII aveva deciso non tanto di tenersi al di sopra delle parti, quanto di starne al di sotto per operare nell’ombra" (Riebling, p.  275).

L'elemento più interessante, ampiamente analizzato e documentato dall'autore, rimane la partecipazione a titolo personale ed insistente di Pio XII alla congiura contro Hitler: "«In tutta la storia, un papa non aveva partecipato in modo così scabroso a una cospirazione per rovesciare un tiranno con la forza» avrebbe commentato in seguito uno storico della Chiesa" [il riferimento è a O. Chadwick, Gran Bretagna e Vaticano durante la Seconda Guerra mondiale, Cinisello Balsamo (MI): San Paolo, 2007, 142] (Riebling, p. 72-73); inoltre, "Pio XII voleva che, quando avessero discusso dell'autorità cui fare riferimento per la trattative di pace, loro [i cospiratori dell'esercito] citassero il «pontefice» e non il «Vaticano»" (Riebling, p. 84).

Al termine della lettura del saggio di Riebling non si troverà nessuna sentenza su Pio XII: né condanna né assoluzione, come se la storia ogni volta debba forzatamente costituirsi in un "tribunale moralizzante", all'interno del quale gli storici distribuiscono torti e ragioni. Nel 2008 quasi mille storici di differenti paesi del mondo sottoscrissero un appello (Appel de Blois) contro la riduzione della storia a tribunale e a moralismo. Questo non significa in nessun modo cedere alla sospensione di giudizio o, al contrario, a forme di revisionismo negazionista o apologetico. Riebling, proponendo un riesame delle fonti già conosciute e introducendone delle nuove, riapre la discussione sul complesso pontificato di Pacelli, nel contesto specifico del confronto con il nazionalsocialismo, offrendone soprattutto una nuova ottica di lettura.

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