Pier Giorgio Frassati, nasce dalla fede la militanza politica

Il beato torinese e la scelta di campo negli anni Venti  

Parole chiave: fascismo (1), popolarismo (1), frassati (15), azione cattolica (26), cristianesimo (33)
Pier Giorgio Frassati, nasce dalla fede la militanza politica

«Sei un bigotto?» chiedono un giorno a Pier Giorgio Frassati: così massoni-liberali,  social-comunisti e fascisti scherniscono i cattolici. La risposta è netta: «No. Sono rimasto cristiano».

Primogenito di una famiglia della illumi­nata borghesia liberale piemontese, Pier Giorgio è un autodidatta della fede. Il padre Alfredo, biellese di origine, è amico di Giovanni Giolitti, è proprietario e direttore de «La Stampa», senatore del Regno e poi ambasciatore italiano a Berlino. Religiosamente indifferente ma tolle­rante, comunica al figlio il senso della libertà e l'apertura agli orizzonti nazionali e in­ternazionali. La madre, sensibile ai valori cristiani, affida lui e la sorella Lu­ciana a don Antonio Cojazzi, esperto educatore salesiano. Cresciuto nell’onestà e nel lavoro, la passione per il Vangelo lo porta a vivere la fede in modo profondo. La sua formazione culturale e spirituale è segnata anche dall'incontro con i Gesuiti dell'«Istituto Sociale». Il suo curriculum scolastico non è brillante. Frequenta il «D'Azeglio», poi il «Sociale» e il Politecnico per ingegneria mecca­nica, con specializzazione mineraria «per essere vicino ai lavoratori più sfruttati: i minatori». 

È un giovane sveglio e pieno di vita, appassionato di sport e montagna. La preghiera, la Messa con Comunione quotidiana, l’adorazione eucaristica notturna gli danno la carica, lo rendono attento agli altri, amico dei poveri: «Io sono povero come tutti i poveri». Da una spiritualità serena e consapevole nasce la partecipazione all'Azione Cattolica - fonda il circolo AC nella sua parrocchia della Crocetta - e alla Congregazione mariana dei Gesuiti, al Terz'Ordine domeni­cano, all'Apostolato della preghiera e alla Conferenza di San Vincenzo; sgorga la militanza nel circolo «Cesare Balbo» della Fuci e nel Partito popolare; partecipa al congresso di «Pax romana», organizzazione di stu­denti cattolici. Matura un’acuta sensibilità verso la Chiesa e verso la Città e un forte impegno ecclesiale e civile: è nella Chiesa non per dovere e convenienza, ma per coscienza e convinzione. Ciò lo rende capace di assumere posizioni coraggiose. Vive e testimonia la fede in tutte le situazioni: famiglia, studio, lavoro, politica, divertimento, attività caritativa, vita affettiva, amicizia, sofferenza.

Dalle sue lettere traspare la semplicità, l'immediatezza, l'alle­gria di un temperamento schietto e simpatico: fonda la «Compagnia dei tipi loschi, industrie turistalpinistiche e affini, società con capitale interamente versato, tanto versato che non esiste più». Scrive alla sorella: «Finché la fede mi darà forza, sempre allegro. La tristezza è una malattia quasi sempre prodotta dall'ateismo». Il suo motto è «Vivere, non vivacchiare». La gaiezza dell'anima si sfoga nel goliardismo fucino ma non gli impedisce un tenace impegno sociale e politico.

Nella Torino di Antonio Granisci e Piero Gobetti, Frassati manifesta la concretezza di un at­tivismo cristiano non alieno dalla contemplazione. Rappresenta la componente più rigidamente antifasci­sta del Partito popolare. Nell'autunno del 1923 si dimette dal circolo fucino per protesta per­ché il «Balbo» ha esposto il tricolore per la visita di Benito Mussolini a Torino: non tollera che i cattolici rendano omaggio all'assassi­no di don Giovanni Minzoni di Giacomo Matteotti e al nemico della libertà e della democrazia. Nel Ppi condivide gli orientamenti più progressisti e socialmente aperti fino ad auspicare, con quarant’anni di anticipo, l’alleanza tra popolari e socialisti in chiave antifascista. Nel 1922, anno della marcia fascista su Roma, anche il senatore Alfredo, propone la coalizione popo­lari-socialisti come diga alle Camicie nere. La fermissima opposizione nasce dalla sensibilità per la vita democratica.  

Antifascista per ispirazione religiosa, col­labora a «Pensiero popolare», organo della sinistra Ppi. È tra i promotori dell'agitazione per la riforma universita­ria, che parte da Torino e si diffonde in Italia. Caldeggia le proteste contro la riforma di Giovanni Gentile e aderi­sce all'alleanza universitaria antifascista. Lotta contro il dispotismo mussoliniano con lo stes­so sprezzo del pericolo, con cui nel settem­bre 1921, al congresso nazio­nale a Roma per il cinquantenario della Gioventù Cattolica, difende la bandie­ra del circolo contro la teppaglia fascista.

L’opposizione si manifesta anche nelle lettere: «Il fascismo esercita la violenza e il popolo è oppresso». Dopo il delitto Matteotti parla di «co­se mostruose, che capitano in Italia. Si vi­ve agitati non sapendo a che cosa si andrà incontro. Solo la fede ci dà la possibilità di vivere». In «Appunti per un discorso sulla carità» de­scrive le rovine materiali e morali della guerra e auspica la rigenerazione della società «affinché possa spuntare un'alba radiosa, in cui tutte le nazioni riconosceranno per loro Re Gesù Cristo». Al trionfo del fascismo, se la prende con­tro «questi girelli, che quotidianamente si vendono al fascismo, come ha fatto “Il Momento”», il quotidiano cattolico diventato fascista.

Gli ultimi mesi sono segnati da una forte sofferenza per la tensione tra i genitori mentre la sorella si sposa e si trasferisce in Polonia. Si innamora di Laura Hidalgo, laureata in matematica, «una ragazza di Azione Cattolica», che però trova scarsa considerazione dalla famiglia che la giudica socialmente non all’altezza di Pier Giorgio: per lui sogna un matrimonio di prestigio. Colpito da poliomielite fulmi­nante, sul letto di morte l’ultimo pensiero va ai poveri. Muore il 4 luglio 1925 a un passo dalla laurea. Ai suoi funerali partecipano migliaia di torinesi e di poveri e anche tanti non credenti. Questa partecipazione popolare colpisce al cuore papà Alfredo.

Il catto­licesimo piemontese lo venera come il giovane ideale; l’Azione Cattolica addita come modello questo alpinista coraggio­so. Nel 1928 esce in 17 lingue la biografia di don Cojaz­zi. Il cardinale arcivescovo di Torino Maurilio Fossati apre e chiude apre e chiude (2 luglio 1932-23 ottobre 1935) il processo diocesano. Tra le due guerre un elevato il numero dei circoli giovanili sono intitolati a Pier Giorgio.

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