Nonviolenza si scrive tutto attaccato

Giornalista, saggista, docente, torinese, da anni impegnato nello studio e nell'applicazione pratica di una vita basata sulla nonviolenza 

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Nonviolenza si scrive tutto attaccato

Messaggio di papa Francesco per la 50ª Giornata Mondiale della Pace (1 gennaio 2017, testo consultabile sul sito vatican.va), oltre alla nota freschezza e chiarezza del linguaggio, ha l'importanza di un passo storico. Non è solo una giusta esortazione alla pace, ma indica la nonviolenza interiore, attiva e politica come via alla pace. È importante che in un documento di questa levatura la parola sia stata scritta unita (nonviolenza) e non staccata (non violenza), per esprimerne il carattere positivo e non solo negativo. Non si tratta tanto di non fare violenza, quanto di gestire i conflitti naturali della vita con forze umane costruttive. Francesco ha sottolineato il carattere attivo e costruttivo della linea culturale-morale-politica nonviolenta.

Il Papa assume e propone questo concetto dinamico, euristico, della nonviolenza: una ricerca, un cammino verso la pace, «l’unica e vera linea dell’umano progresso» (citando Paolo VI, al n. 1 del messaggio). In questo Messaggio per il 2017 raccoglie e sviluppa decisamente lo spirito e la linea tracciata, elaborata e sperimentata da movimenti cristiani e non cristiani, prima e dopo le maggiori pronunce cattoliche nella «Pacem in Terris» e nel Concilio, e quelle del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Una recente espressione di questo lavoro di base è stato l'«Appello alla Chiesa Cattolica per promuovere la centralità della nonviolenza evangelica», rivolto dai partecipanti all’incontro su «Nonviolenza e Pace giusta» (Roma, 11-13 aprile 2016, convocato da Pax Christi International, dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Uisg/Usg e molte altre organizzazioni cattoliche internazionali). Nell’appello tra l’altro si leggeva: «Noi proponiamo che la Chiesa cattolica sviluppi e prenda in considerazione il passaggio a un approccio di Pace giusta basato sulla nonviolenza evangelica». Francesco risponde anche a questo appello. Il suo ministero cattolico si avvale anche della collaborazione dei laici cattolici e non cattolici.

foto peyretti

La pace giusta. Il concetto di «pace giusta», basata sulla giustizia, sta sostituendo positivamente l'antico concetto di «guerra giusta», o meglio giustificata a determinate condizioni, che per secoli è stato centrale nella riflessione morale cristiana sulla guerra, e abusato dalla volontà di potenza di sovrani e stati. La nonviolenza è stata a lungo vista come virtù personale – e certamente lo è, come ribadisce papa Francesco in questo messaggio, perché tutto comincia dal cuore – ma estranea alla politica, consegnata alla volontà di successo con ogni mezzo. La cultura della pace dell'ultimo secolo compie proprio il passaggio dalla mitezza privata alla nonviolenza attiva come carattere della politica giusta. E papa Francesco si pone esattamente in questa evoluzione di cultura e di etica politica, con l'indicare la nonviolenza come «stile» di una politica che lavori per la pace, per l'umanizzazione, per il bene comune e per la stessa sopravvivenza dell'umanità.

La nonviolenza positiva si esercita nei rapporti interpersonali, sociali, internazionali. Come nei conflitti micro, così anche nei meso e macroconflitti, tutti possono essere protagonisti, e non solo chi – stati, eserciti, potenze – ha forze materiali tremende per decidere e imporre soluzioni. Persino le vittime, dice Francesco! «Quando sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di costruzione della pace» (n.1 del testo). La loro forza è la forza della coscienza e dell'unità umana, che certamente ha bisogno di consapevolezza, cioè educazione e cultura, ha bisogno di coraggio, sostenuto dai cooperatori e dal clima morale, come hanno saputo fare i leaders citati dal papa nelle lotte nonviolente, più convenienti ed efficaci delle guerre e rivoluzioni armate. Qui possiamo ricordare che su 323 rivoluzioni del secolo XX, quelle nonviolente sono state un centinaio, e hanno avuto successo al 53%; quelle violente, invece, al 26%. Nel periodo 1975-2002, sono state 47 le rivoluzioni nonviolente, o per lo più non violente; su 18 condotte da forze nonviolente e coese, 17 hanno vinto e una sola ha avuto un successo parziale.

Nella «guerra mondiale a pezzi», si chiede il Papa, siamo oggi più consapevoli o più assuefatti? Perciò, nessun ottimismo, e invece tutto l'allarme che Francesco ripete sulla guerra mondiale fatta di varie guerre in corso nel mondo, causate dalla volontà di dominio e di speculazione.

L'illusione delle armi. A che scopo la grande violenza militare? Permette forse di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene è scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali, e enormi sofferenze e danni, ma benefici solo a pochi «signori della guerra, scrive chiaramente il Papa (cfr n. 2). «Grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane (…) della grande maggioranza degli abitanti del mondo» (n. 2). «La forza delle armi è ingannevole» (n. 4).

Il pensiero della pace, da sempre (Erasmo, Kant, Simone Weil, ...), denuncia la tragica illusione che le armi omicide possano ottenere vera difesa, liberazione e giustizia. Le armi comportano un alto rischio di disumanizzazione per chi le usa, sia pure come tragica necessità contro una più grave violenza. Le armi, o stabiliscono al potere nuovi violenti, o impegnano ad un lungo lavoro di purificazione chi si è sentito obbligato dalla situazione ad usarle. Il cammino della nonviolenza non condanna, per esempio, la Resistenza al nazifascismo, anzitutto perché fu in gran parte una alta reazione morale, con mezzi nonviolenti, e non fu unicamente armata, e poi perché è progredita la coscienza ed è cresciuta la conoscenza dei metodi e delle esperienze nonviolente . «Se facessimo la resistenza come l’abbiamo fatta ieri, con l’animo di oggi, saremmo in  peccato» scriveva già nei primi anni '50 Primo Mazzolari

Dunque, al male (dominio, ingiustizia) si deve anzitutto reagire, e poi si deve scegliere tra i mezzi violenti e i mezzi nonviolenti della risposta. La nonviolenza è tutto l'opposto della rassegnazione passiva, è parte attiva nel rifiutare la prima violenza, ed è l'alternativa di valore morale e pratico alle reazioni violente che imitano (e così confermano) la violenza precedente. Questa violenza non è solo quella delle armi, diretta, materiale, è molto più spesso una violenza strutturale, nelle divisioni sociali, nelle leggi discriminanti, nell'economia che non serve alla vita ma al profitto. Parlando di Madre Teresa il Papa afferma che i potenti della terra, devono «riconoscere le loro colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! – della povertà creata da loro stessi» (n. 4). C'è una violenza statica esercitata delle enormi diseguaglianze che causano povertà e offesa. A questa violenza economica sistemica è giusto opporsi con metodi e mezzi nonviolenti. In questo impegno inventivo e costruttivo lavorano, con una miriade di esperienze molecolari non clamorose, i movimenti nonviolenti di base. È  importante che l'informazione faccia conoscere queste esperienze per incoraggiare (la disperazione è cattiva consigliera) le popolazioni sulla via della giustizia nonviolenta. La nonviolenza ha una storia e una presenza, non è solo utopia (cfr. in rete «Difesa senza guerra»).

Gesù leader nonviolento. Anche se noi cristiani,  suoi seguaci nei secoli, abbiamo concesso troppo, per poca fede, nel giustificare i metodi violenti, Gesù di Nazareth è un vero precursore dei leaders moderni della nonviolenza, che lo riconoscono come tale. È di grande importanza che il pensiero cristiano, dopo un lungo tempo di spiritualismo rassegnato alla violenza del mondo, ritrovi proprio nel Maestro lo spirito di amore forte e resistente contro il male, senza concessioni alla fatalità della violenza in un mondo irrimediabilmente malvagio.

Papa Francesco rivendica alla Chiesa di essersi impegnata per la promozione della pace in molti Paesi, con strategie nonviolente «sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace giusta e duratura», ma riconosce apertamente che «questo impegno a favore delle vittime dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa Cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose». Ecco come la conoscenza, il dialogo e la collaborazione tra le religioni è un forte fattore di pace giusta. Francesco ribadisce con forza: «Nessuna religione è terrorista». «Mai il nome di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è santa, non la guerra!» (n. 4).

Pace in casa e nel mondo.

Poiché la pace si fonda nei cuori, essa passa attraverso le relazioni più prossime, come la famiglia, per impregnare i popoli e arrivare ad essere pace nel mondo. Con la stessa urgenza, perché donne e bambini valgono come tutto il mondo, e viceversa, egli rivolge «un appello in favore del disarmo, nonché della proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo di etica» (n. 5). 

Tutto ciò è anche «un programma e una sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo, (…) una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad ogni costo» (...). Infatti, la pace giusta è plurale, non fa deserto, non livella e non assorbe, non è la pace imperiale schiacciante, ma favorisce l'armonia delle differenze, che sono la ricchezza della vita. 

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