Quando a Torino c'era la Fiat

A proposito della presentazione del volume del giovane ricercatore Davide Albertaro

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Quando a Torino c'era la Fiat

Diego Novelli, in collaborazione col giovane storico Marco Albertaro, ha realizzato un volume che  raccoglie alcuni scritti di Adalberto Minucci, storica figura di giornalista  dell’«Unità» edizione piemontese e poi segretario del PCI in provincia di Torino e in Piemonte (anni ’50 -’70).

Col titolo provocatorio “Quando a Torino c’era la FIAT” il ricordo di questa autorevole figura di dirigente comunista è centrato su una serie di suoi articoli–inchiesta sulla condizione lavorativa alla Fiat nel 1955 dopo una pesante sconfitta della Fiom–Cgil alle elezioni di Commissioni Interne.

La presentazione e discussione di questa pubblicazione ha avuto luogo il 15 dicembre scorso nella Sala Colonne di Palazzo di Città, promossa dall’Associazione ex consiglieri comunali di Torino presieduta da Giancarlo Quagliotti, con la partecipazione, oltre agli autori, di ex sindacalisti come Giorgio Airaudo, Giovanni Destefanis, il sottoscritto e di Lorenzo Gianotti già dirigente Pci.

In qualità di segretario Cisl negli anni ‘70 e ’80, ho contribuito alla valutazione e discussione sul periodo oggetto delle riflessioni di Minucci con le seguenti considerazioni. Questo ricordo di Adalberto Minucci, ci permette di ricostruire insieme un importante pezzo di storia torinese, in particolare di storia sindacale. Minucci fin dal suo arrivo a Torino (1954) si presenta come un giovane giornalista acculturato e appassionato alle questioni del lavoro e della realtà sociale.

La sua attenzione al progresso tecnologico lo porta ad approfondire la questione della dissociazione tra progresso tecnologico e progresso sociale, in una realtà capitalistica com’erano Torino e la Fiat negli anni Cinquanta, senza astrazioni ideologiche. Però, contemporaneamente, il suo giovanilismo è ancora avvolto nell’utopia gramsciana che l’automazione consentirà il passaggio alla produzione socializzata e conseguentemente a partire dall’URSS, dal socialismo al comunismo.

Conosciuto come intellettuale affabile e come dirigente del PCI attraente sul piano umano, intendeva la sua funzione di ascolto e ricerca sulle condizioni della classe operaia come attività educatrice, attraverso il metodo dell’inchiesta. Cioè portare il dibattito tra i lavoratori (perché le scelte di vertice partissero dalla base) sull’organizzazione del lavoro e in particolare sul supersfruttamento.

Occorre però inquadrare complessivamente gli anni Cinquanta cui si riferisocno i suoi scritti raccolti nell’attuale pubblicazione. Di fronte alla nascita del pluralismo sindacale, vengono elaborate teorie sul sindacalismo aziendalista (in particolare dal sociologo Franco Ferrarotti, originariamente comunista) che attecchiscono in Fiat, Riv, Olivetti.

A metà degli anni Cinquanta siamo negli anni cruciali per Cgil e Cisl (per la Uil lo saranno gli anni Sessanta). Per la Cisl ci sono tre passaggi fondamentali: la contrattazione aziendale per affrontare il problema salari-produttività, e cioè le condizioni di lavoro e della sua organizzazione; la rappresentanza sindacale in fabbrica perché le Commissioni Interne subiscono il “tentativo di asservimento aziendalistico e perciò più vulnerabili e condizionabili e talora più ricattabili” (Carlo Borra). Infine la battaglia per l’autonomia dal padronato che si risolve in due successive scissioni (1954 e 1958) alla Fiat, dove la componente cislina fin dagli inizi era nata sotto il segno della specificità, cioè con un’identità diversa dall’associazionismo solidale che animava la Cisl torinese, dopo alcuni passaggi difficili di cui fu attore principale Carlo Donat-Cattin, primo segretario dell’Unione Cisl.

Il 1955 è l’anno della ricucitura confederale con i fuoriusciti della Cisl quando quest’ultima guadagna oltre il 40% dei voti nelle elezioni di Commissione Interna, mentre la Cgil-Fiom scende dal 65% al 36,7% e progressivamente al 21% nel 1957. Donat-Cattin non è d’accordo con il riassorbimento e lascia la Cisl per diventare segretario della DC torinese. Ma malgrado i successi, la convivenza con il gruppo capeggiato da Edoardo Arrighi alla Fiat diventa conflittuale e per il guadagno dell’autonomia dal padrone la Cisl torinese (con Pastore, Macario e Storti) sacrifica 104 dei suoi 114 membri di Commissione Interna, dai quali nasce un nuovo sindacato filoaziendale Lld-Sida, che nel 1958 guadagna il primo posto come lista. “Nel panorama politico e sindacale del dopoguerra italiano non si rintraccia un gesto di autoriforma così nitido e così palesemente spericolato”( Mario Dellacqua).

 Per la Cgil il percorso riguardò invece una forzata maturazione (anche prolungata) dall’impostazione basata sostanzialmente sulle vertenze interconfederali e sui contratti nazionali di categoria alla contrattazione aziendale delle condizioni di lavoro. Sono questi passaggi cruciali degli anni Cinquanta che, caratterizzati prima dalle rotture e dagli insulti, permetteranno negli anni  Sessanta di risalire al dialogo e alla unità d’azione.

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