Dalla Resistenza alla nonviolenza

Il nuovo libro di Pietro Polito, direttore del Centro Studi Piero Gobetti, presenta 35 ritratti di padri della Democrazia repubblicana

Parole chiave: democrazia (17), costituzione (22), nonviolenza (8)
Dalla Resistenza alla nonviolenza

 

Una resistenza come punto di riferimento ma analizzata senza retorica, intesa “come pratica di vita, come un lavoro”. Una riflessione su questo passaggio storico senza smarrirsi in idealizzazioni ponendo al centro la concretezza dei principi e l’impegno per l’attuazione da parte dei protagonisti.

Questo è il tema del nuovo libro di Pietro Polito, direttore del centro Studi Piero Gobetti, ll dovere di non collaborare. Storie e idee dalla Resistenza alla non violenza, Edizioni SEB27, presentato al Polo del ‘900 in occasione dell’apertura del programma di iniziative culturali legate alle celebrazioni per il 25 aprile.

Il libro si compone di 35 ritratti di figure che a vario titolo parteciparono a quella esperienza. Una carrellata di uomini e donne per cui la lotta non si sarebbe conclusa con la Liberazione. Da Franco Antonicelli a Piero Gobetti, passando per Silvio Trentin, Piero Calamandrei, Claudio Pavone fino a Danilo Dolci e Pier Paolo Pasolini. Ai loro occhi infatti era necessaria una attenzione pedagogica con la nascente Costituzione punto di riferimento di progetti politici e di una nuova coscienza civile che trova manifestazione nella forma della resistenza contemporanea del rifiuto ad appoggiare iniziative che non si condividono ma sempre attraverso forme di disobbedienza civile e di non violenza che trovano in  Norberto Bobbio e Aldo Capitini figure centrali di questo percorso.

Il libro nasce infatti dalla scoperta di testi di Bobbio, custoditi nel suo archivio, recuperati, ordinati e studiati dall’autore, allievo e studioso del grande storico e filosofo torinese. Capitini, punto di riferimento delle teorie non violente, si pone la domanda del perché gli italiani si liberarono dal Fascismo con la violenza e non con forme pacifiste. Una possibile interpretazione andrebbe probabilmente cercata nel contesto italiano di quegli anni. Una nazione e un popolo distrutto da anni di guerra, senza cibo, lacerato negli affetti che ha trovato nella Resistenza (e in tutte le varie anime politiche e culturali che la componevano) una idea di speranza. La lotta di Liberazione come tutte le guerre civili ha avuto la sua scia di sangue, morti e situazioni controverse ma ha anche seminato in un terreno che pareva ormai arido e sterile dei nuovi semi di libertà e di democrazia che hanno trovato poi attuazione e rappresentazione nell’Assemblea Costituente e nella nuova Costituzione repubblicana del 1948.

La disobbedienza civile e la non violenza richiedono uno studio attento e dettagliato dei punti deboli dell’oppressore e una attenta analisi delle tecniche che possono essere attuate per logorare il regime al potere. Nell’Italia del 1943-1945 dilaniata da una guerra che aveva distrutto il tessuto connettivo sociale ed economico, con quasi metà del suo territorio occupato, con una alfabetizzazione molto limitata e senza guida politica non esistevano, probabilmente, le condizioni per intraprendere un percorso unicamente pacifista. La Resistenza ha coinvolto una parte, anche se minoritaria, della popolazione ad una ribellione che seppur con forme violente ha permesso di voltare pagina e iniziare una nuova fase storica e politica.

 

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