Chi sono e che fanno i filosofi?

I filosofi sono quelle persone che parlano tanto e di tutto nei talk show o hanno una specificità e una professionalità loro propria?

Parole chiave: diego marconi (1), filosofia (6)
Chi sono e che fanno i filosofi?

Eccezion fatta per gli insegnanti di filosofia di scuola secondaria, che cosa fanno veramente i filosofi? Esercitano forse una professione? Hanno davvero il diritto di continuare a svolgere le loro attività (e di percepire una qualche forma di retribuzione per il fatto di svolgerle) o non sono altro che praticanti di una «disciplina annidata nel sistema accademico», destinati a perdere le loro fonti di sostentamento non appena qualche accorto responsabile delle istituzioni si accorgerà di star sprecando utili fondi per sfamare così tante bocche improduttive?

A queste e ad alcune altre domande si preoccupa di rispondere Diego Marconi, docente di filosofia del linguaggio e filosofo di professione, ne Il mestiere di pensare, edito per Einaudi nella collana Vele.

L’opera può essere divisa in tre parti.

Nella prima, costituita interamente dal capitolo I (La filosofia nell’epoca del professionismo), Marconi parte dal dato statistico dell’enorme incremento, rispetto al passato, di coloro che dichiarano di fare della filosofia il proprio mestiere. Dopo aver analizzato le conseguenze di questo cambiamento sociologico e le strategie escogitate dalla comunità filosofica per adattarvisi (diventare storici della filosofia, ermeneuti o filosofi analitici), l’autore mette in evidenza quello che a suo parere è il vero problema: la necessità di divulgare le proprie scoperte, ponendosi in dialogo con un «pubblico colto», sempre più incapace di apprezzare i risultati della ricerca filosofica, che pure esistono e sono degni di nota. La parte finale di questa prima sezione si occupa quindi di individuare una cattiva soluzione al problema, quella costituita dai cosiddetti «filosofi mediatici», poco filosofi e molto abili nell’arte della chiacchiera, e una buona (e originale) soluzione: la presentazione di teorie, e degli esperimenti e delle osservazioni che le confermano, sul modello di quanto avviene nelle scienze naturali.

Nella seconda e nella terza parte, costituite, rispettivamente, dai capitoli II e III, e dai capitoli IV e V, Marconi si occupa invece di due domande riguardanti la struttura «interna» della comunità filosofica. Primo: che cosa distingue un filosofo che possa dirsi «analitico», e davvero chi pratica questo tipo di filosofia risolve dei problemi così come un professionista è solito fare nel suo campo di specializzazione? Secondo: può esserci un rapporto proficuo tra ricerca filosofica teorica e storia della filosofia, o gli interessi di chi si occupa dell’una o dell’altra sono destinati a rimanere distinti e reciprocamente incompatibili?

Le tesi di Marconi sono esposte in modo chiaro e si presentano corredate e supportate da un ricco corredo di esempi. Il discorso si svolge su un piano abbastanza didascalico da risultare comprensibile a quel «pubblico colto» che l’autore individua come interlocutore privilegiato dei filosofi di professione, ma abbastanza specialistico da non sfociare nella chiacchiera. Poche sono le prese di posizione sdegnate e molte le categorie e i modi di concepire la filosofia con cui ci si pone in dialogo, analizzandone pro e contro.

L’impressione che se ne trae è che il libro sia esso stesso un esperimento volto a mettere in pratica le tesi dell’autore sulla divulgazione filosofica, e che, a meno che non si assuma l’atteggiamento del «giovane schiavo distratto» al quale nemmeno Socrate sarebbe riuscito ad insegnare alcunché, non ci sia bisogno di essere «colleghi» di Marconi per trovarlo coinvolgente.

  • Marconi Diego, Il mestiere di pensare, Einaudi, Torino 2014, pp.160, euro 10.
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