Camus rivolta e nostalgia

Uno schema semplificante riduce l'opera creativa di Albert Camus al facile paradigma esistenzialistico: l'esistenza umana nei suoi dati oggettivi, la rivolta contro l'umana condizione, il mito di Sisifo come immagine di tale inesausta volontà di opporsi a una condizione disumana. E, sul piano biografico, il rapporto non facile, di collaborazione ma anche conflittuale, con Jean-Paul Sartre.

Camus rivolta e nostalgia

Tale visione riduttiva va ormai corretta: si riscontra in Camus una sorta di bipolarità che potremmo definire in termini di rivolta e di nostalgia, rivolta contro l'assurdo e nostalgia di un senso spirituale. La sua voce, pur così presente nella cultura novecentesca, è rimasta in fondo inascoltata: inviso alla destra, era accusato da sinistra di inclinazioni reazionarie o per lo meno, come qualcuno disse, di un «socialismo facile..., quel socialismo che non comporta nessun rischio e assicura dividendi».

Oggi, che la realtà culturale e politica si è aperta a prospettive molteplici e che nuovi popoli e nuove ideologie (o la fine di ogni ideologia) si affacciano alla ribalta della storia, il messaggio di Camus torna a farsi attuale, specie se si pensa alla sua difesa dei diritti umani. Sferzante contro quanti, come egli diceva, «dispongono la loro poltrona nel senso della storia», limpidamente Camus condanna ogni forma di intimidazione terroristica: non c'è giustizia senza libertà, egli afferma, ma la mia libertà trova un limite nel diritto dei miei simili a una libertà pari alla mia.

Sul piano esistenziale, inoltre, c'è in Camus qualcosa che conquista, qualcosa di riservato, di solitario, di pensoso, una sorta di virile malinconia che quasi sembra preannunzio della terribile fine (Camus muore, come si sa, nel '60, in un incidente d'auto). Seducono, in lui, l'intensità contenuta degli affetti, il senso amaro dei mali del mondo e, insieme, il vibrante richiamo all'umana solidarietà e al culto della bellezza.

A Firenze egli scrive nei suoi «Taccuini» di aver scoperto che dietro la sua rivolta avvertiva l'affiorare di un consenso. Varie volte, del resto, lo scrittore ritorna sulla bellezza anche disumana del mondo, ad esempio della sua terra africana. L'assurdo ci attanaglia, sembra dire Camus, proprio perché ci sconvolge una nostalgia di trasparenza e di armonia: «Il pensiero di un uomo è innanzi tutto la sua nostalgia». Alcuni suoi titoli sono, in proposito, altamente significativi: se il droit non può scoprirsi che nella trama dell'envers, l'esilio presuppone il rimpianto di un regno. A volte, nelle sue pièces di teatro, i suoi personaggi dicono: «Il mio regno non è di questo mondo» e tutto il suo teatro può definirsi un «teatro dell'esilio».

E' quanto dice François Livi in un suo brillante saggio sull'autore de «La peste», «Albert Camus. Alla ricerca della verità sull'uomo» (ed. Leonardo da Vinci), un saggio che fornisce un contributo fondamentale ad una migliore conoscenza del nostro autore e che traccia un profilo del tutto persuasivo della sua ardente personalità. Livi è oggi il più apprezzato italianista francese, sulla linea dei grandi nomi del passato, da Henri Bédarida a Paul Renucci: docente emerito alla Sorbona, è autore di un saggio fondamentale, dal titolo «Dai simbolisti ai crepuscolari» (1974), in cui da esperto comparatista ha fatto luce sul rapporto insospettato e strettissimo che lega i simbolisti e i decadenti francesi e i crepuscolari italiani.

Egli ha anche diretto l'edizione delle «Poésies complètes» di Pierre Emmanuel (2001), una delle voci più alte della poesia novecentesca d'ispirazione religiosa, e di Emmanuel ha anche curato l'edizione italiana di un libro di grande bellezza, «Alla ricerca dell'assoluto. Il destino della poesia da Villon a Claudel» (1986). Oggi, inoltre, è appena uscita una sua silloge di impareggiabile ricchezza, «Italica. L'Italie littéraire de Dante à Eugenio Corti», in cui si susseguono saggi mirabili su Dante e Leopardi, Manzoni e Carducci, Montale e altri autori del nostro Novecento (ma su Dante va anche ricordato il suo volume «Dante e la teologia»). Di Montale, in particolare, Livi studia le giovanili letture francesi, e questo alla luce di una conoscenza delle lettere francesi dell'Otto-Novecento, di cui questo saggio su Camus è valida testimonianza.

Lo studioso ha innanzi tutto il merito di prospettare l'idea di uno sviluppo storico: esso esclude che per Camus possa parlarsi di una posizione univoca, lo studioso fa vedere infatti come a una fase di pura negazione succeda il periodo della rivolta e infine l'approdo a posizioni conciliative. Pur nella sua estraneità ad ogni dogmatica religiosa, Camus è vicino, non può negarsi, a un orientamento spiritualistico: il binomio esilio/regnoad esempio, non ha forse una precisa connotazione religiosa? Non dice forse san Paolo che se abbiamo coscienza e soffriamo della nostra condizione di esuli è perché è in noi la traccia del mondo ideale per il quale siamo stati creati? E' in Camus, dice Livi, una perpetua tensione, pur scevra da facili illusioni: il suo rifiuto della trascendenza non esclude un'assidua ricerca della salvezza, al centro della sua opera, sono parole dello stesso Camus, c'è un sole invincibile, essa intende proporre, aggiunge, non imprecazione o denigrazione, ma ammirazione. E' vero che il suo interesse per il neoplatonismo nasce da una sorgente anticristiana, come è vero che si riscontra nell'«Etranger» il rifiuto di un altro mondo o che ne «La Peste» si è colpiti dal “silenzio di Dio”: ma sono vere anche altre cose, ad esempio che il suo interesse per Simone Weil tradisce una sensibilità che indubbiamente è di natura religiosa; Camus non crede in Dio, ma rifiuta di definirsi ateo ed è interessante che si richiami a Constant quando trova nell'atteggiamento antireligioso qualcosa di volgare e di scontato.

Tante altre cose potremmo dire di questo denso libro: Livi fa vedere come l'opera di Camus sia ricca di impasse più che di soluzioni, o come per lui constatare l'assurdità della vita non possa essere una fine ma solo un inizio, oppure insiste con ragione su quella che chiama la «vocazione mediterranea» del nostro autore, A una lettura monocorde dello scrittore Livi sa sostituire una visione poliedrica cui non manca, per altro, un sollecitazione spirituale che fa il fascino di queste pagine e le rende, nel panorama pur così vasto della bibliografia camusiana, assolutamente esemplari.

Cultura e società

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