La vita oltre il cromosoma

Cun documentario che merita di essere valorizzato e promosso

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La vita oltre il cromosoma

Martedì 17 maggio sono stato all'anteprima nazionale del documentario "Elsewere - Altrove". Premiato al Bluenose-Ability Festival di Halifax in Canada, ha per protagonista Simone, 24enne milanese, portatore della Sindrome di Down. Scritto da Mauro Melgrati e diretto da Cesare Cicardini, il documentario racconta in agrodolce il mondo visto con gli occhi di Simone.

 

"Simone, ti faccio i complimenti". È la voce rotta dall'imbarazzo di un'altra ventenne con Trisomia 21, Silvia, che per qualche secondo ammutolisce gli spettatori immersi nel giocoso dibattito che segue la proiezione. "Hai rappresentato una vita ... grande. Bravo. Ti faccio però una domanda: come fai ad accettare tutto questo?  ... per me ... non è affatto così facile". 

Simone Brescianini sembra aver già pronta la risposta e dopo il sentito applauso per Silvia dell'intero CineTeatro San Carlo, attacca deciso: "È mia sorella Rachele che mi ha insegnato come si fa. Mi ha detto: tu non ti  devi vergognare di quello che sei. E così ho fatto. Sono così, e l'ho accettato". Seicento mani scrosciano. 

 

Ma, a quel punto, la mia mente, che il percorso umano di Simone e della sua famiglia lo accompagna da anni, è come se tornasse a "riavvolgere il film". Non per discutere la coraggiosa domanda di Silvia, né per confutare la sincera risposta di Simone. Se vogliamo, per andare un po' più a fondo. 

 

In breve, il docufilm mostra prima Simone nella vita di tutti i giorni mentre è intento nel suo scrupoloso lavoro addetto alle camere di un elegante hotel della metropoli lombarda, e poi alle prese con un viaggio da raccontare. Destinazione Malta, ma soprattutto il cugino Mauro. Un legame che vitalizza e colora la permanenza di tre giorni nell'isola. Il vero viaggio è un viaggio intimo, libero e personale, oltre i confini: fuori dall’Italia e oltre i luoghi comuni. Un giovane che si tuffa spensierato nel turismo critico (toccante il confronto con i silenzi parlanti dei siti megalitici) e nella vita divertimento, della musica, del mare e delle amicizie. Uno che così facendo sfida tutti i cliché sulla Sindrome di Down: il pregiudizio secondo cui chi ha una tale variante cromosomica sia fuori dalla realtà, non sia interessato ad imparare, non abbia energie per vivere intensamente, che sia una sorta di fanciullo imprigionato in un corpo da grande e, quindi, sia forzatamente infantile anche a riguardo della sessualità e degli affetti. 

 

La domanda di Silvia non è affatto stravagante. Come si riesce davvero a diventare grandi, a vivere una vita ... grande ..., a essere grandi nella rappresentazione del proprio punto di vista, nella realizzazione dei propri obbiettivi, nel confronto infine con la serietà degli impegni e delle responsabilità? Come vi è riuscito - se vi è riuscito - Simone?

 

Uno dei momenti clou del girato è senz'altro l'immersione nelle acque mediterranee (“Sott’acqua non si sentono i rumori del mondo, e io non mi sento più  diverso. Anche se sono down, sono anche altre cose”). È proprio un altro mondo rispetto alla frenesia meneghina attraverso la quale Simone si destreggia a modo suo ("Io cammino per strada e la gente mi fissa e mi viene un vaff..."). 

 

Nel film Malta, metà reale ma anche immaginaria, a mio avviso configura una sorta di Paese dei Balocchi. Ma a condurre in giro Simone è un Anti-Lucignolo: Mauro, il cugino grande, il normodotato (che guida l'auto, che vive e lavora in un posto da favola, che ha tanti amici) che, pur continuando la sua vita di sempre, la condivide aprendola completamente, senza riserve, alla disponibilità di Simone. E Simone, da avventuriero qual è, non si tira indietro. 

 

Simone ha avuto bisogno di Rachele, dei suoi genitori, degli amici dell'Associazione Genitori e Persone con Sindrome di Down (AGPD onlus), di un datore di lavoro intelligente, ma ha trovato il suo specifico fattore di resilienza in un legame un po' speciale: un legame fraterno sciolto dallo stretto vincolo della convivenza. Il legame con qualcuno che c'è, ma anche immagina, proprio perché non c'è sempre. Un qualcuno che mai ti abbandona ma insieme sceglie di stare con te.

 

Il cortometraggio non parla della Sindrome di Down, è evidente. Parla di uno spazio relazionale che ha bisogno di qualche frazione di indefinito, di vuoto, per sottrarsi alla tirannia del già tutto detto, del già tutto programmato. E, quindi, senza contraddizione, parla anche della Sindrome di Down, di quell'etichetta che anzitutto i genitori di Simone, 24 anni fa, si sono sentiti buttata addosso sbrigativamente e senza alcun reale sostegno. Di quel "non essere più una famiglia normale" che la sorella Rachele e il fratello Paolo, insieme a mamma e papà, hanno dovuto davvero digerire prima per stessi, alimentando la vicinanza a Simone e allo stesso rifuggendo le definizioni chiuse, strette (e patologizzanti) di disabilità. 

 

Se la relazione con Mauro è stata fattore di resilienza è anche perché Simone è riuscito a mantenersi a tutti i costi fedele al suo essere un po' "spudorato". Un po' Pinocchio quando sfida le regole e, con una dolcezza sua che conosco dai tempi in cui dedicava struggenti liriche amorose a varie compagne di scuola, è in grado di far dire al suo personaggio: "Tutti abbiamo bisogno di abbracci. Io un po' di più...".

 

Simone e Mauro, Pinocchio e il suo Anti-Lucignolo non si perdono nel miraggio edonistico; sono pronti a tornare, temprati dall'avventura condivisa, rinforzati dall'idea - trascesa in arte - che il film della vita non è né mio né tuo, è oltre il possesso e l'individualità, in un altrove che supera le categorie genetiche, familiari e sociali dietro le quali rischia di nascondersi pavidamente la nostra incapacità d'essere in tutto e per tutto donne e uomini integrali. 

 

* psichiatra e psicoterapeuta - Università Cattolica di Milano

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