Fertilità e attualità di Felice Balbo

Un convegno a Roma a ricordato la figura dell'intellettuale e pensatore a cinquant'anni dalla scomparsa

Parole chiave: balbo (1), comunisti (3), dopoguerra (3), cattolici (72), politica (133), chiesa (665)
Fertilità e attualità di Felice Balbo

 

Cinquant’anni ci separano dalla morte precoce di Felice Balbo, filosofo di nascita e formazione torinese, profondamente impegnato nel passaggio dalla dittatura alla democrazia, tra i promotori del Movimento dei lavoratori cristiani, che costituì una presenza particolarmente attiva negli anni della Guerra di Liberazione e appena successivi.

Filosofo di straordinaria lucidità - come testimoniano i suoi scritti da “L’uomo senza miti” a “Il laboratorio dell’uomo” - egli ebbe maestri e interlocutori i filosofi che si posero il problema della persona umana, con grande ampiezza di orizzonte, come testimoniano la sua presenza ne “Il politecnico” di Elio Vittorini o il dialogo/confronto con Augusto del Noce.    Particolarmente significative e preveggenti - nel punto di vista da lui proposto - appaiono le sue riflessioni inerenti il lavoro, in un momento difficile ma felice per il Paese, come fu quello della Ricostruzione. Tutto ciò è stato oggetto di riflessione nel recente convegno a lui dedicato, tenutosi a Roma presso la Fondazione Gramsci.

Al termine della Guerra di Liberazione, Felice Balbo propose alcune idee che contribuirono all’orientamento delle politiche di rinnovamento industriale, nell’ambito della ricostruzione post-bellica, anche per quanto riguarda la crescita economica e l’esigenza di accompagnarla con adeguate azioni di formazione culturale e professionale, in particolare delle classi sociali che vissero in prima persona la trasformazione da paese agricolo a industriale.   Non a caso, in un momento di particolare impegno del Paese nell’articolazione di programmi di sviluppo che si rifacevano ai principi della cosiddetta “economia mista” di matrice privato/pubblica, Balbo fu determinante nella costituzione del sistema di formazione e orientamento professionale, che accompagnò il processo di industrializzazione.

L’istanza balbiana di vivere il lavoro come opportunità creativa e non come strutturazione dello sfruttamento, godette di felici coincidenze, la cui successiva fortuna e possibile integrazione fu purtroppo impedita dalla scomparsa prematura dei proponenti.     Infatti, la stessa istanza fu alla base dell’esperienza legata ad Adriano Olivetti e al modo con cui, nell’ambito dell’azienda eporediese, fu concepita e condotta la promozione del lavoro, cioè della valorizzazione delle qualità culturali e di capacità innovativa del singolo lavoratore: ma per entrambi purtroppo il percorso storico fu troppo breve per consentire la piena applicazione di tali idee.

La fase di trasformazione economica e sociale che stiamo vivendo (nulla di nuovo per quanto riguarda la continua dinamica evolutiva dell’umanità, ma tutto nuovo nei contenuti dell’evento e nelle sue implicazioni etiche, culturali, politiche, economiche e istituzionali) induce a una riflessione complessiva e approfondita sulle tematiche inerenti il lavoro, che ripropone l’attualità del punto di vista balbiano.

Sulla spinta di un secolo e oltre che ha visto metter in discussione profonda il senso del lavoro concepito eticamente come fatica ed economicamente come merce, sembra di essere ai margini di un percorso che presenta una svolta decisiva e che bisogna avere il coraggio di imboccare: il fondamento sta nel pensare il lavoro come espressione creativa della persona, che produce ricchezza e non solo merce.

Il lavoro sta evolvendo sempre più verso forme che richiedono alti livelli di formazione e profondo impegno intellettuale; ciò avviene – per ora – limitatamente alle regioni di più antica dinamica modernista, con tutta l’urgenza però causata dalla rapidità con cui grandi aree geopolitiche (asiatica e latinomericana in primis) stanno vivendo il cambiamento.

Si intravvede un orizzonte nel quale il lavoro si pone come momento di conferma, nella storia, della presenza di ciascuna persona come risorsa, attraverso la qualità delle sue azioni e della capacità di contribuire a orientare le dinamiche evolutive del mondo, dall’ambiente economico alle relazioni tra i popoli.   In questa visione, il lavoro che produce beni (indifferentemente sia materiali che immateriali) è frazione vendibile del bene complessivo, derivato della creatività e della cultura del singolo.

Tutto ciò, che oggi appare di particolare urgenza, fa già parte del fertile e ricco pensiero del filosofo torinese, consentendo di concludere con una sua frase: “E’ necessario affermare che serve all’uomo tanto la poesia, come la letteratura, come la scienza, come le automobili e così confermare sempre meglio che non vale il criterio distintivo di utilità per i programmi politici e le macchine e di teoreticità per la filosofia e la poesia, poiché tutte sono azioni, tutte sono unificate dal criterio di servire all’uomo.”

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