"Contro l'Isis", con un volume in italiano la condanna delle autorità islamiche al califfato

A seguito delle pubblicazione del testo «Contro l’Isis» abbiamo intervistato Ibrahim Gabriele Iungo, docente alla Cattolica di Milano, figura di spicco nel panorama islamico torinese. Una riflessione sull'Islam e il rapporto con il nostro Paese

Parole chiave: condanna (2), Islam (60), Isis (33), terrorismo (74), dialogo (74), Ibrahim Gabriele Iungo (1)
"Contro l'Isis", con un volume in italiano la condanna delle autorità islamiche al califfato

Nella recente manifestazione del Sermig lei ha annunciato la pubblicazione del libro “Contro l’ISIS” come una significativa fonte di chiarezza sulle posizioni della autorità islamiche rispetto agli attentati compiuti dal sedicente stato islamico. Può spiegare perché questo testo è così illuminante?

Questo è il primo testo di condanna in lingua italiana esposte da sapienti musulmani e pertanto va a colmare un vuoto. È significativo inoltre che a promuoverlo siano stati musulmani italiani. Il testo va a chiarire la posizione dei sapienti in merito al terrorismo.

Nel testo si cercano di risolvere le generalizzazioni che spesso accompagnano i discorsi sull’Islam e più in generale sugli stranieri. Secondo lei da cosa dipendono queste generalizzazioni e come si possono arginare?

La generalizzazione parte in origine da una prospettiva rovesciata, che da un lato è naturale perché ognuno vive nel proprio contesto e assume il punto di vista del contesto in cui è nato ma dall’altro vi è una fortissima miopia verso quello che succede nel resto del mondo e in particolare in quello musulmano. Per tanti italiani è addirittura difficile collocare geograficamente il territorio musulmano, quando dicono “Tornatene in Islam” dimostrando una forte ignoranza e un deficit culturale alla base di queste questioni. Ciò è strano per l’Italia che storicamente ha relazioni molto forti con il resto del Mediterraneo rispetto ad altri paesi e anche una tradizione di studi più avanzata. Abbiamo una tradizione di arabismo e islamologia che si sta inaridendo e quindi ci troviamo di fronte ad una forte ignoranza, che non riesce a vedere che la maggior parte del mondo mussulmano è estraneo al terrorismo e anzi è la prima vittima di quest’ultimo. Per arginare questo fenomeno noi tentiamo di fare informazione corretta e diffondere cultura a riguardo (come questa pubblicazione).

Secondo la sua opinione Torino come si pone rispetto alla fede islamica?

Diciamo che politicamente sicuramente Torino in un certo senso è un’isola felice, nel senso che c’è una lunga storia di dialogo tra le istituzioni e le comunità islamiche locali e in linea più generale vi sono iniziative comuni, comprensioni e scambi anche con la società civile. Di fronte agli attentati e alle campagne islamofobe c’è una risposta forte e significativa a Torino; basti pensare alla recente iniziativa del Sermig che ha portato ad una forte mobilitazione. C’è da dire che più in generale nel rapporto tra cultura, territorio italiano e mondo arabo-mussulmano il sud sicuramente ha delle prerogative che al nord mancano, perché lì ci sono certe tematiche che non c’è neanche bisogno di sviscerare, ovvero se si va in Sicilia a parlare di Islam, non c’è bisogno di parlare di integrazione più di tanto, perché la popolazione siciliana è molto simile alla popolazione araba e questo non solo per la storica dominazione araba, ma per una somiglianza e una similitudine fondamentale che va oltre le relazioni politiche è proprio un sentire comune di tipo culturale e spesso anche spirituale; infatti al sud è ancora presente una comunità ortodossa che ha una sensibilità ancora più prossima all’Islam di quanto abbia il cattolicesimo e lo stesso cattolicesimo è più sentito al sud che al nord. Probabilmente il sud in prospettiva è una realtà più feconda per la formazione di un islam italiano.

Quindi a suo parere la secolarizzazione unita ad un imborghesimento del mezzogiorno trasferito al nord sono i maggiori limiti per l’Islam nel nord Italia?

Diciamo che a monte di quella che possiamo definire “secolarizzazione” c’è la questione dei ritmi di vita: al sud il ritmo di vita è molto più vicino a quello naturale di quanto sia nel nord industrializzato, legato al commercio, la finanza e le banche. Le culture tradizionali sono strettamente legate ai ritmi naturali e l’Islam non fa eccezione ad esempio con le cinque preghiere quotidiane, che legano in un certo modo il credente, anche dal punto di vista cosmologico, al ciclo della natura. Ciò non toglie che anche in un contesto industriale come ad esempio Torino, le comunità islamiche possano trovare una sistemazione ed una relazione positiva.

Durante la manifestazione del Sermig è intervenuto anche l’Imam di Torino Abdellah Mechnoune (mescnuni –pronuncia-) ha dipinto una situazione preoccupante, spiegando che tanti musulmani (riferendosi anche a coloro che vivono in Italia) fanno parte dell’Islam violento. È d’accordo con l’analisi dell’Imam?

L’Intervento era di carattere generale quando invece andava reso più dettagliato. C’è una problematica interna non solo all’Islam ma ad ogni tradizione, che è quella del rapporto con la modernità. Ogni tradizione si pone la problematica di affrontare una vita consacrata al divino in un contesto largamente sconsacrato. Nell’Islam sono state date molte risposte in merito a questo tema e una di queste riguarda l’irrigidimento letteralistico che effettivamente ha una certa diffusione, ma di base non porta a reazioni violente ma è terreno di coltura per altre forme di radicalizzazione di carattere estremistico. L’equilibrio è uno dei caratteri fondamentali della tradizione, ma d’altra parte ci sono dei fenomeni estremistici. Questi ultimi sono però circoscritti sia scientificamente che numericamente. Il testo “Contro l’ISIS” è il primo studio in merito ma ne verranno altri per discutere e confutare le basi teoriche dell’estremismo.  

Sono fenomeni che avvengono soprattutto in ambiente arabo o più in Paesi europei?

La problematica alla base è il distacco dalla tradizione. L’Islam è una tradizione trasmessa di generazione in generazione fino all’avvento di movimenti riformisti dal 700’ in poi che hanno predicato il distacco dalla tradizione in favore di un ritorno come direbbero i cristiani “alla sola scrittura”. Loro hanno detto “Ritorniamo ai testi fondativi senza il filtro sapienziale” su questa base di carattere teorico si innestano diversi fenomeni. Questa teoria viene predicata in Arabia Saudita dal Salafismo e il Wahabismo, ed è molto diffusa grazie alla capacità economica data dal petrolio. Fenomeni che sono nati anche grazie alle civiltà europee (vedi il regno saudita che si è fondato sull’aiuto inglese). Da questi fenomeni nascono gli estremismi, che però non sempre portano alla violenza, ma anzi, la maggior parte dei fondamentalisti predicano la pace, ma danno adito ad ulteriori forme di estremizzazione che in alcuni casi si traducono in movimenti armati (come successo ad esempio in Egitto, Pakistan e Cecenia) e in altri si traducono in movimenti individuali (come il caso europeo). A proposito del caso europeo, esso è significativo perché ragazzi non legati alle moschee e alla comunità islamica, attraverso un indottrinamento molto rapido e superficiale di carattere fondamentalista, ritengono poi di poter valutare personalmente se agire con violenza, essendo distaccati dalla tradizione.

Si è andata quindi a fondare quella zona grigia tipica delle religioni più antiche, che vede sì una linea centrale da seguire ma nel contempo tante scelte individuali incontrollate che non si possono gestire e pertanto rischiano di arrivare alla violenza

In realtà non è mai stato così, però questo tipo di distacco ha dato adito a questi fenomeni, nel senso che nell’Islam anche sunnita esistono delle autorità, non come il Papa ma più sapienziali riconosciute tramite un curriculum specifico, che assume funzioni specifiche. Pertanto non è vero che ci sono principi generali ma ognuno fa quello che vuole. Generalmente queste figure dipendono da un autorità di tipo politico, ovvero il capo di stato che prende la responsabilità di appuntare i giudici, i giurisperiti e così via. In assenza di una figura politica di riferimento come avviene in Europa o come avviene in alcuni paesi mussulmani come la Tunisia, emergono più facilmente queste figure di carattere fondamentalista. Abbandonando la tradizione che si basa su quattro scuole di giurisprudenza, si cerca un approccio di tipo monolitico o totalitario, con la presunzione di avere un’interpretazione legittima contro tutte le altre. In questa situazione nascono soprattutto quelli che si sentono in dovere di correggere gli altri, fino al punto di sentirsi legittimati ad intervenire con la forza per far cambiare idea. Il distacco dalla tradizione spezza il legame con le figure di autorità e allo stesso tempo spezza quella base comune di comprensione delle differenze che nell’Islam tradizionale c’è sempre stata.

Fin dove si ferma l’ideologia dell’ISIS e inizia l’interesse economico? O meglio ancora secondo lei parliamo più di una guerra di religione o di interessi?

Noi da un punto di vista oggettivo non possiamo sapere di cosa si tratta. Possiamo presumere che l’ISIS e fenomeni analoghi siano pesantemente infiltrati da servizi segreti di ogni tipo. Ci sono molti aspetti oscuri, ma noi possiamo parlare solo di ciò che sappiamo. Da un lato è evidente un certo interesse di carattere economico e politico ma dall’altro possiamo dire che l’ISIS è l’ultima espressione di un ideologia che ormai data decenni o addirittura è presente dai tempi del Profeta. L’ideologia khawarig nacque nel 657 d.C. e raccoglieva “gli uscenti” dalla comunità accusandola di miscredenza. Dagli anni 60’ e 70’ questa ideologia ha preso il nome di Takfirismo che accusò la maggior parte dei mussulmani di miscredenza arrivando al punto di distaccarsi geograficamente dal resto della comunità e attaccando i così detti “apostati”. Da questa ideologia è nato l’estremismo deviante che ci ha portati fino all’ISIS nei giorni nostri. Quindi la religione c’entra e noi siamo i primi a poter parlare contro di loro e ad avere gli strumenti per controbattere questi fenomeni. Ricordiamo che spesso i fenomeni estremisti nascono da giovani disorientati che avrebbero bisogno di una guida positiva.

Le faccio un doppio parallelismo: il primo tra ciò che hanno vissuto gli Stati Uniti con al-Qaida rispetto a quello che sta vivendo l’Europa in questo momento con l’ISIS, se secondo lei è plausibile vedere poche differenze tra il periodo attuale europeo e quello statunitense; il secondo, parlando dei giovani,  se quel senso di disorientamento di cui parlava in merito ai giovani mussulmani che diventano estremisti, può avere un legame con i giovani europei, che trovano sensato compiere azioni violente come bruciare un barbone, perché sono abbandonati dalla società e dai propri familiari.  

Parlando del primo parallelismo, possiamo dire che sono fenomeni diversi ma contigui: se tra al-Qaida e gli Stati Uniti il rapporto economico pareva più stretto, non si può dire lo stesso dell’ISIS con l’UE. Parlando invece del parallelismo tra i giovani mussulmani che diventano terroristi e i giovani europei che compiono azioni violente ed insensate cito il professore di Giurisprudenza di Modena Vincenzo Pacillo che ha accolto questo parallelismo legandolo al film “Arancia Meccanica”. C’è questo scoppio di violenza insensato e esagerato che nel terrorismo può avere però una valenza e un significato.

Vorrei chiudere con questa domanda: lei ha vissuto entrambe le realtà a confronto: ovvero sia quella Europea che quella Araba, essendo nato in Italia e poi successivamente essendosi trasferito per un periodo in Arabia Saudita, dalla sua esperienza accumulata in questi anni, ci aspetta un futuro prossimo di integrazione o le divisioni prevarranno ancora per molto tempo?

Qui torno al mio intervento al Sermig. Noi dobbiamo capire in che epoca ci troviamo e secondo me si può verificare sia da un punto di vista laico che religioso che l’epoca in cui ci troviamo è la così detta “fine dei tempi”. Questo non vuol dire essere apocalittici, però diciamo che ci sono tutta una serie di segni spirituali e materiali che danno questa idea e in linea di massima finché non si toccherà il fondo questa epoca è destinata a peggiorare. Questo non è pessimismo, perché esso porterebbe a stare fermi nell’attesa del peggio, mentre noi diciamo che c’è una direzione dell’epoca e poi c’è un agire all’interno di essa. Goethe disse che “il futuro dell’Europa sarebbe stato un Islam temperato dai pomeriggi di Grecia” e noi potremmo dire temperato dai pomeriggi mediterranei, io ho visto già un’Islam italiano sia di persone emigrate dall’estero, sia di persone nate e cresciute in Italia che in quanto italiani vivono naturalmente il loro Islam nel nostro paese e vogliono crescere la loro famiglia e far vivere la loro famiglia in Italia. Le premesse ci sono tutte, perché a differenza di ciò che dicono i media l’Islam è la tradizione che più si adatta a tutti i contesti a differenza del cristianesimo che ha una difficoltà di inculturazione molto maggiore, esiste un’Islam africano, asiatico e oggi anche europeo e americano. Bisogna puntare ad una integrazione positiva che rispetta l’integrità islamica cercando di formare degli europei musulmani, come ci sono gli europei agnostici, buddisti, cristiani o più in generale di diverso orientamento. Se sapremo riconoscere le diversità e metterle a cultura rispettandole, allora avremo tutti gli strumenti per produrre e coltivare delle comunità sane all’interno delle nostre città che avranno tanto da trasmettere alle generazioni successive.

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