Con l'omicidio di Cusano il terrorismo in Piemonte

A Biella, quarant'anni fa, la prima vittima delle Brigate Rosse

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Con l'omicidio di Cusano il terrorismo in Piemonte

Più colpi di pistola, sparati a bruciapelo la sera del 1 settembre 1976, spensero gli occhi del vicequestore Francesco Cusano, da 20 anni in servizio a Biella, all’epoca non ancora provincia. Chi l’aveva ucciso? Un terrorista, era la risposta che si diedero immediatamente le redazioni dei giornali. Non che vi fossero le prove. Ma in quel declinare dell’estate, era netta la percezione che allo stragismo nero, da piazza Fontana a piazza della Loggia e all’Italicus, si stesse sostituendo un altro e terribile «ismo», il terrorismo di un colore, il rosso, che metteva a disagio sicuramente una parte del Paese per la sua storia e i valori che incarnava. E in un lampo, si diffuse la notizia che Francesco Cusano era la prima vittima in Piemonte per mano delle Brigate rosse..

E ad offrirne le prove, era stato proprio lo scrupolo professionale di Francesco Cusano, un campano di 51 anni, originario di Ariano Irpino. Lo stesso scrupolo che ne avrebbe decretato la morte. Mentre rientrava in commissariato, poco prima delle 20, attorno ai giardini Zumaglini, l’attenzione di Cusano si era concentrata sugli occupanti di una Fiat 131 gialla, cui aveva le patenti. Documenti contraffatti, ma contraffatti così male da insospettire doppiamente l’occhio esperto del poliziotto. Le patenti, intestate a Francesco Calippo e a Paolo Sicca, si sarebbe scoperto in meno di 24 ore che portavano le foto di Lauro Azzolini e di Calogero Diana, il primo militante delle Brigate rosse, l’altro un pregiudicato che in carcere si è ideologizzato. Il controllo di routine precipitò nel dramma quando Cusano chiese ai due di seguirlo in commissariato. Non ci fu una risposta, se per risposta intendiamo tre colpi di una pistola Parabellum. Così Cusano morì, stringendo in mano le patenti dei suoi assassini, un indizio che diventerà prova.

Non è l’unico indizio per i due specialisti dell’antiterrorismo che il ministero dell’Interno ha  catapultato a Biella. Sono i commissari Giorgio Criscuolo da Torino e Antonio Esposito da Genova. Esposito verrà ucciso dalle Br nel giugno del 1978, lo stesso giorno in cui a Torino la corte si ritirava in Camera di consiglio durante il processo ai brigatisti rossi. Criscuolo e Esposito controllano un quaderno dimenticato nell’auto abbandonata, riguardano il tagliando assicurativo che fa parte di un blocchetto rubato mesi prima ad una compagnia di assicurazione e non hanno dubbi: Brigate rosse. Mancano soltanto i nomi. Arriveranno a stretto giro di posta, dopo la pubblicazione delle loro foto, e daranno un senso alla nascita e al processo di reclutamento dell’eversione di sinistra. 

Lauro Azzolini, classe 1943, è nato a Casina in provincia di Reggio Emilia, una zona che ha dato i natali ad Alberto Franceschini, l’uomo che ha fondato con Renato Curcio le Br, con cui è stato arrestato l’8 settembre del 1974 a Pinerolo dagli uomini del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. In manette è finito anche un altro giovane di Casina, quel Loris Paroli sorpreso dalla polizia in un appartamento di Torino, mentre Prospero Gallinari e Roberto Ognibene, quest’ultimo per omicidio, sono ricercati dalle forze dell’ordine. Uniti formano quella nidiata di giovani reggiani che ha nel cuore il mito della Resistenza, nella mente la critica al riformismo del Pci e dal 1974 pratica la lotta armata.

Lo sgomento per l’uccisione di Francesco Cusano dura pochi giorni. Poi, si dissolve rapidamente nel tempo, come una storia di provincia. E l’immagine di un servitore dello Stato precipitato in un gioco più grande di lui rimarrà come schiacciata tra l’eco persistente dell’omicidio del procuratore capo della Procura di Genova Francesco Coco, avvenuta l’8 giugno del 1976, e la crescita esponenziale delle crudeltà terroristiche.

Che cosa ci facessero Azzolini e Diana a Biella non se lo domanderà più nessuno. La verità verrà a galla nella primavera del 1980 con le confessioni del primo pentito delle Br, Patrizio Peci, che disvelerà un alto livello di fiancheggiamento e complicità a Biella, con una quindicina d’arresti di persone insospettabili per detenzioni di armi, esplosivi e archivi. Le stesse persone che la sera del 1 settembre avevano aiutato i due, a Biella per preparare una rapina, prima a nascondersi e poi a raggiungere Milano. Ma l’oblio su Cusano era purtroppo già calato.

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