Come comunicare, l'importanza dell'eutico

In tempi di crisi come quella che stiamo vivendo, impariamo a unire le forze, a lavorare insieme senza aver paura del nuovo anche nel campo dell'informazione

Parole chiave: parola (9), linguaggio (3), messaggio (9), comunicazione (28), vangelo (36)
Come comunicare, l'importanza dell'eutico

Ha ragione il collega Andrew Graystone, anglosassone doc, già producer del dipartimento «Religion and Ethic» in BBC ed oggi direttore di «Church and Media Network» (associazione che si occupa di aiutare la community cristiana nel Regno Unito a ‘capire’ i media e viceversa), quando sostiene che la storia più bella della Bibbia, per chi si occupa di comunicazione, è quella di Èutico.

A questo punto, se siete tra quelli che non la conoscono, vi starete aspettando che vi racconti di che si tratta. Ed invece, non solo resisterò alla terribile tentazione di farvi il riassunto, ma, in memoria della mia prof di filosofia del d’«Aze», vi invito a mettervi con slancio alla ricerca della ‘fonte’ originale, godendo così del testo che trovate in Atti 20, 9-12. Confido, naturalmente, che una Bibbia in casa da qualche parte ce l’abbiate: se il leggere questo foglio - che proprio un foglio qualunque non è - significa qualcosa e se le statistiche raccontano anche solo un po’ di verità, una Bibbia per casa dovreste avercela.

Bene, torniamo a Eutico ed alla sua storia che, nel frattempo, avrete letto. Èutico è, a mio parere, l’emblema dell’uomo contemporaneo, quello che, tra mille alternative e proposte, si avvicina ancora al messaggio cristiano e a chi lo diffonde, intuendone la forza, desiderando conoscerne la sostanza e lasciandosi attrarre dall’(in)credibile storia del Protagonista, predisponendosi, così, in ascolto della Sua parola.

Durante il discorso di San Paolo,però, Èutico si annoia, non ce la fa e si addormenta. Non me ne voglia San Paolo (quando arrivo di là, ne parliamo, prometto!) ma un cristiano che fa comunicazione per professione e, a qualsiasi titolo si trovi a dover parlare di Dio e del suo meraviglioso messaggio all’uomo, non può permettersi il lusso di annoiare chi viene ad ascoltarlo. Oggi più che mai.

E le ragioni sono almeno due.

La prima è che Dio per primo ci ha usato il garbo di un messaggio chiaro ma attraente al tempo stesso fin dal primo istante, dimostrando così, una volontà precisa di sintonizzarsi con noi nel modo più limpido e a noi comprensibile possibile. Dio, ricco di una straordinaria e imperscrutabile complessità, si è reso accessibile alle sue creature con modi e linguaggio interessanti.

Pertanto, essendo noi chiamati a imitarlo, dobbiamo imitarlo.

La seconda ragione per cui è vietato annoiare, è che chi dedica tempo ad ascoltare oggi la parola di Dio non lo fa certo per tradizione, abitudine, folklore o mancanza di alternative, come poteva capitare al tempo dei nostri nonni. Con rispetto parlando, naturalmente, per i cari nonni (quando arrivo di là, dopo San Paolo, passo anche da voi…).

Chi decide di incontrare Dio, oggi, partecipando ad una Messa domenicale, leggendo un certo tipo di contenuti, guardando un certo tipo di programmi lo fa o perché sceglie di farlo o perché è alla ricerca di un senso e di risposte. Un’occasione da non sprecare, un momento da gestire con grande cura per lasciare il segno, fare la differenza nello spazio-tempo di pochi minuti. Come faceva Gesù: non era solo quello che diceva che colpiva ma come lo diceva; era il Suo come a generare cambiamento.

La domanda allora è: come ce la stiamo giocando la partita della comunicazione, oggi?

In un mondo plurale e secolarizzato come quello che ci circonda, usiamo la creatività di Dio per arrivare all’uomo di oggi, sintonizzandoci su modi e linguaggi che può comprendere? Oppure replichiamo pigramente format del tempo dei nostri nonni, ma che con Eutico non hanno nulla a che fare? Perché in gioco c’è, da una parte, l’incredibile fortuna di avere un ‘prodotto’ che non invecchia mai, un ever green per dirla all’anglosassone, e dall’altra, il serio rischio che finisca nel dimenticatoio perché ‘venduto’ in modo obsoleto.

Quale rimedio, allora, per ‘agganciare’ Èutico?

Prima di tutto, il recupero di una sana autostima. Funziona così: comunico bene, trasmettendo energia che genera movimento, se so che valgo, che quello in cui credo è qualcosa di potente, di straordinario. Impariamo, allora, a amare la nostra fede e chi ce l’ha trasmessa, ad essere orgogliosi della nostra tradizione che ha sostenuto la società in questi due millenni di continua metamorfosi con un saldo alla fine più positivo che negativo. Con buona pace di Marx, la religione non è l’oppio dei popoli ma l’endorfina dei popoli, come sostiene una mia cara amica medico e psicoterapeuta!

In secondo luogo, apriamoci e guardiamoci intorno. In alcuni Paesi occidentali in cui il pluralismo è una realtà da sempre (Stati Uniti per un verso, Europa del Nord per un altro) hanno sviluppato modalità e linguaggi interessanti per agganciare Èutico. Al festival dei programmi religiosi delle Tv europee che si è tenuto a Hillversum a metà Giugno di quest’anno, la giuria ha avuto una menzione speciale per The Passion, format originale BBC e riproposto da altre Tv europee, che fonde contenuto e intrattenimento, spettacolo Tv ed evento live in modo potente, così da far arrivare il messaggio del Venerdì Santo, nella modalità utile a Èutico per comprenderlo ed apprezzarlo , proprio come se sessant’anni di esposizione a Tv e mass media avessero cambiato qualcosa...

Quest’anno, The Passion ha portato in strada 10.000 persone a Groningen, in Olanda, Paese in cui, è bene ricordarlo, ogni settimana due chiese chiudono i battenti. In questo modo, per la prima volta, la storia della Passione ha raggiunto olandesi che hanno candidamente ammesso di non averne mai sentito parlare prima (!). Sempre grazie a questo spettacolo, un momento tipico della tradizione cristiana è stato occasione di aggregazione e di raccoglimento anche per musulmani, buddisti e non credenti. Un miracolo nel miracolo.

Con ciò, non stiamo dicendo che tutto deve diventare spettacolo, sempre. Stiamo dicendo che anche un contenuto difficile ma straordinario come quello della Passione può oggi trovare nuovi modi per arrivare alla gente e piacere immensamente. Se lo merita il messaggio. Se lo aspetta la gente.

Terzo e ultimo traguardo: impariamo a unire le forze, a lavorare insieme senza aver paura del nuovo. In tempi di crisi come quella che stiamo vivendo, ha senso guardarsi intorno per fare insieme di più di quanto finora la storia ci abbia spinto a fare. Disponiamoci, con umiltà intelligente, a valutare il buono degli stimoli che ci arrivano dall’esterno e lavoriamoci su in modo nuovo, per trovare modi nuovi di (r)esistere e portare Dio al mondo. Usiamo la rete, e le vie della rete, per vedere come si muovono i nostri amici delle Diocesi americane o tedesche o a Honk Kong.

Investiamo in formazione qualificata, sperimentiamo modalità nuove di ideazione e di collaborazione, creando, ad esempio, spazi di condivisione e di discussione in fase di progettazione di progetti importanti anche con bambini e ragazzi, ‘antenne’ preziose dei tempi in cui viviamo. Frequentiamo ambienti qualificati anche non direttamente pertinenti al nostro ambito professionale ma da cui percepiamo possa arrivare una ‘contaminazione’ interessante. Rinnoviamo le nostre modalità di comunicazione senza vivere come una perdita ciò che è stato finora ma che oggi funziona poco.

Ultimo, ma non ultimo: smettiamola di affidare al volontariato il presidio di ambiti culturali che richiedono tempo qualificato e professionalità elevate. Le condizioni storiche oggi sono altre da quelle che ieri lo permettevano.«Sursum corda», dicevano i nostri antenati. Possiamo e dobbiamo fare la differenza. Il caso Groningen lo insegna. Eutico se lo aspetta.

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