Assemblea Costituente, Costituzione in Italia e in Piemonte

In occasione dei settant'anni dalla Carta Istituzionale una riflessione

Parole chiave: Carta (7), costituzione (22), italia (221), Assemblea (16)
Assemblea Costituente, Costituzione in Italia e in Piemonte

Nell’Assemblea costituente «ci furono anche manifestazioni muscolari», però in poche ore «tutte le diatribe erano superat e l’Assemblea scrisse con una mano sola il dettato costi­tuzionale». Uno dei «padri costituenti», il piemontese Oscar Luigi Scalfaro - futuro presidente della Repubblica e strenuo difensore della Carta - evoca le frequenti scazzottate e i furibondi contrasti tra i 556 deputati in un clima da guerra fredda. Settant’anni fa l’Italia si dotava di una nuova Costituzione democratica, repubblicana, antifascista. Il 22 dicembre 1947 l’Assemblea costituente, dopo 170 sedute, approva il testo di 139 articoli con 453 sì e 62 no. Il 27 dicembre la Costituzione è firmata dal napoletano Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato e primo presidente della Repubblica; dal comunista genovese di origini astigiane Umberto Terracini, presidente della Costituente; dal democristiano trentino Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio e segretario della Democrazia cristiana. Il 28 dicembre, in esilio ad Alessandria d’Egitto, muore Vittorio Emanuele III. La Carta entra in vigore il 1° gennaio 1948.

Dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, l’Italia torna lentamente alla normalità e la gente riacquista fiducia. Il 9 maggio 1946 Vittorio Emanuele III abdica a favore del figlio Umberto II, tentando di influenzare il referendum costituzionale del 2 giugno: 12.717.923 (54,3%) per la Repubblica, 10.719.284 (45,7%) per la Monarchia. Le ultime vere elezioni erano state nel 1921, poi era calata la notte della dittatura fascista. Nel 1946 per la prima volta votano le donne. Il Piemonte, terra dei Savoia e della Resistenza, mantiene un sostanziale equilibrio. Torino, come Milano, sceglie in larga misura la Repubblica: 61,45 per cento contro 38,55 su 1,3 milioni di elettori, esclusi 550 fascisti radiati dalle liste, 1300 detenuti e 350 donne «che abitano in case con le persiane sempre chiuse». L’elettorato castiga la monarchia, screditata e  delegittimata per l’appoggio a Mussolin. Il 13 giugno, dopo 34 giorni di regno, Umberto II, da vero «signore», lascia Roma e va in esilio a Cascais in Portogallo. È il tramonto di una dinastia durata quasi mille anni. 

Insieme al referendum gli italiani eleggono l’Assemblea costituente: 556 «padri» ma solo 21 «madri», 20 partiti (a Torino 10): Democrazia cristiana 35,2%, socialisti 20%, comunisti 19%. Il 28 giugno 1946 De Nicola è eletto presidente provvisorio. Il torinese Giuseppe Saragat il 9 gennaio 1947 fonda il Partito socialista dei lavoratori Italiani, dal 1951 Partito socialista democratico italiano. Dagli americani, De Gasperi ottiene consistenti aiuti e il 2 febbraio 1947 esclude i social-comunisti dai ministeri chiave in prospettiva filo-occidentale. La politica economica, tracciata dal cuneese Luigi Einaudi, segue un orientamento liberista.

I «padri costituenti» sono figure di spicco. In Italia – DC: Giulio Andreotti, Emilio Colombo, Alcide De Gasperi (segretario), Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Guido Gonella, Achille Grandi, Giovanni Gronchi, Giorgio La Pira, Giuseppe Lazzati, Giovanni Leone, Raimondo Manzini, Enrico Medi, Lodovico Montini, Aldo Moro, Mariano Rumor, Antonio Segni, Benigno Zaccagnini. PSI: Lelio Basso, Pietro Nenni (segretario), Luigi Preti, Ignazio Silone. PCI: Giorgio Amendola, Giuseppe Di Vittorio, (Leo)Nilde Iotti, Pietro Secchia, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti (segretario, nato a Genova da famiglia subalpina).

In Piemonte (54 deputati) – DC: Leopoldo Baracco (Asti), Angelo Bellato (Alessandria), Ermenegildo Bertola (Vercelli), Giovanni Battista Bertone (Mondovì), Paolo Bonomi (Novara), Giovanni Bovetti (Mondovì), Giuseppe Brusasca (Casale Monferrato), Teodoro Bubbio (Alba), Gustavo Colonnetti (Torino), Silvio Geuna (Torino), Giulio Pastore (genovese di nascita, novarese di formazione), Giuseppe Pella (Biella), Gioacchino Quarello (casalese di nascita, torinese di attività), Giuseppe Raimondi (Tortona), Giuseppe Rapelli (Torino), Pier Carlo Restagno (Torino), Oscar Luigi Scalfaro (Novara), Albino Ottavio Stella (Alba). PSI: Giuseppe Saragat (Torino). PCI: Luigi Longo (Casale), Francesco Moranino (Vercelli), Vincenzo (Cino) Moscatelli (Vercelli), Celeste Carlo Negarville (Torino), Giancarlo Pajetta (Torino), Giovanni Roveda (Torino). 21 donne - 9 comuniste, 9 democristiane, 2 socialiste, 1 dell’Uomo qualunque. Tre le torinesi: Angiola Milella, Rita Montagnana Togliatti, Teresa Noce.

L’Italia unita dal 1861conserva lo Statuto albertino del 1848. Il fascismo non lo sopprime formalmente ma lo altera nella sostanza. Secondo gli storici la Costituzione subisce «la congiunta influenza del liberalismo, del cattolicesimo democratico, del socialcomuni­smo». I tre partiti di massa e antifascisti Dc, Psi e Pci vogliono lasciarsi alle spalle l'odiata dittatura ed evitare in ogni modo che un solo uomo abbia un potere troppo grande. La Costituzione vieta la ricostituzione del partito fascista; impone a partiti e sindacati di dotarsi di ordinamenti democratici; stabilisce i diritti civili, politici, sociali; afferma il principio della solidarietà sociale, il diritto al lavoro, la tutela della proprietà nei limiti delle superiori esigenze sociali.

Sistema parlamentare «mitigato» con suddivisone dei poteri - Il potere legislativo spetta al Parlamento, in posizione centrale, diviso tra Camera dei deputati e Senato della Repubblica, entrambi elettivi. Il potere esecutivo è affidato a un presidente del Consiglio, nominato dal presidente della Repubblica, e ai ministri. Il potere giudiziario spetta alla magistratura autonoma e indipendente. Il presidente della Repubblica, eletto ogni sette anni, deve garantire il corretto funzionamento delle istituzioni.

Pio XII vorrebbe uno Stato confessionale cattolico ma De Gasperi è contrario - La Costituzione recepisce i Patti Lateranensi del 1929. Nella notte del 25 marzo 1947 con 350 sì e 149 no è approvato l’articolo 7: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti non richiedono revisione costituzionale».

Con la riforma del Concordato del 1984, la religione cattolica non è più religione dello Stato. Una curiosità: si bandì un concorso per il nuovo stemma. Lo vinse il designatore  torinese Paolo Paschetto ma i giornali definirono il bozzetto «una tinozza», i cattolici esigevano la croce, i comunisti falce e martello. De Gasperi fece fare una nuova gara e su 197 progetti rivinse Paschetto ma con lo «stellone», apprezzato da tutti.

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