Al Faà di Bruno «Il Vangelo secondo Giotto»

La cappella degli scrovegni che il maestro toscano affrescò a Padova, rivive nell'Istituto di Torino grazie ad una mostra itinerante

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Al Faà di Bruno «Il Vangelo secondo Giotto»

È l’espressione più alta dell’arte medievale, accanto alla «Divina Commedia» di Dante. Mette in scena la storia della salvezza, ma anche i nostri vizi e le nostre virtù: le due strade che decidono del destino dell’uomo condotto al Paradiso o all’Inferno, così come viene rappresentato nel grande Giudizio universale. Una spettacolare Biblia pauperum, ma anche un viaggio nella «bellezza infinita», in questi tempi così drammatici.

È la Cappella degli Scrovegni che Giotto affrescò a Padova oltre sette secoli fa e che rivive oggi a Torino grazie alla scenografica mostra itinerante «Il Vangelo secondo Giotto», fedelissima riproduzione dell’opera del celebre maestro toscano che fa tappa, fino al 30 aprile, nel Salone del Faà di Bruno (via San Donato 31): grandi pannelli fotografici in scala 1:4 ad alta definizione. La mostra, prodotta dalla società editrice Itaca, è organizzata dal Museo e dal Centro studi Francesco Faà di Bruno, con il contributo di Banca d’Alba Credito Cooperativo e della Compagnia di San Paolo, come strumento di educazione alla bellezza che nasce dalla fede.

Visitarla è un’avventura, come entrare in una scatola magica in 3D. Colore e luce, poesia e pathos. L’uomo e Dio, il senso di umanità e di fede. Parola del suo curatore, il professor Roberto Filippetti, docente di Iconografia cristiana, che venerdì scorso ha inaugurato la mostra con una lezione magistrale. Una vita dedicata allo studio di Giotto e della Cappella, Filippetti conosce e svela tutti i segreti dei 42 riquadri del ciclo di affreschi: un capolavoro assoluto, che ha influenzato generazioni di artisti e mutato i canoni stilistici della pittura italiana ed europea.

Siamo dentro una Bibbia dei poveri che racconta della storia della salvezza, dalla «Cacciata di Gioacchino dal tempio» alla vita di Maria e di Gesù. Ma per capirla e amarla, dobbiamo guardare con occhio «intelligente e affettivo», ricorda Filippetti. Solo così l’opera d’arte diventa «familiare» e riacquista il suo pieno valore: «Ridestare il desiderio della bellezza infinita». Nell’epoca in cui gli artisti bizantini dipingevano santi e madonne idealizzati, Giotto descrive la vita di Gesù raffigurando i protagonisti della storia come «uomini di tutti i giorni», con una tecnica da regista e scenografo cinematografico. E qui sta la sua grandezza, una forza capace di incantare a distanza di sette secoli.

La visita di Filippetti è in 3D, con zoom veloci sui particolari degli affreschi, anche i più piccoli. Un volto, un sorriso, uno sguardo. Perché in Giotto «ogni particolare partecipa di un ordine che tutto abbraccia». Particolari, però, «che nella Cappella degli Scrovegni è difficile ammirare, dopo i restauri del 2002 le visite sono state ridotte a pochi minuti, a Torino invece c’è tutto il tempo che volete…». E la visita può diventare una vera e propria «caccia al tesoro».

A Padova il primo gesto di chi varca il portale di ingresso è alzare gli occhi al cielo, calamitato dall’azzurro intensissimo della volta, «bella solo come quella del Mausoleo Galla Placidia a Ravenna»: Giotto ci strappa dalla distrazione, ci ricorda che la natura umana consiste in un cuore affamato e assetato di verità e bellezza. «Si chiama de-siderio: sete di stelle, tensione verso il cielo della felicità», spiega Filippetti.

E le stelle, il professore, le ha contate tutte: sono 800, ognuna a otto punte. Come «otto sono le campane del campanile della chiesa di Nostra Signora del Suffragio nato da quel genio del Faà di Bruno che lo usò anche come osservatorio astronomico». Tre, invece, le parole che ruotano intorno all’estetica medievale: armonia, splendore, unità.

La caccia ai numeri potrebbe continuare, ma la Cappella degli Scrovegni è soprattutto un «luogo sinfonico», per dirla con von Balthasar. Tutto inizia con il grande Angelus dell’arco trionfale. Spiega Filippetti: «Il giorno della prima dedicazione della Cappella è il 25 marzo 1303. Il giorno della seconda dedicazione a Santa Maria Annunciata, ad affreschi ultimati, è il 25 marzo 1305, festa dell’Annunciazione. Ma anche il giorno di capodanno in tanti comuni medievali». Ecco poi i dodici, bellissimi affreschi che raccontano l’infanzia e la vita pubblica di Gesù. Quindi l’apice della Redenzione, altri dodici affreschi, con la Passione, la morte e la Resurrezione.

Una Biblia pauperum, abbiamo detto, che ha molto da insegnare anche ai giovani d’oggi. Spiega Filippetti: «Guardate là, in fondo al Giudizio Universale, Cristo con la mano destra aperta verso il Paradiso e la sinistra chiusa sull’Inferno. Ebbene le sette virtù stanno lungo la calda parete Sud e conducono alla salvezza; i vizi alla base dell’umida e gelida parete Nord portano all’eterna perdizione». Come dire: il bene è bello, ed è facile seguirlo. A Giotto è successo.

La mostra «Il Vangelo secondo Giotto. La Cappella degli Scrovegni» è aperta nel Salone del Faà di Bruno, via San Donato 31, a Torino. Orario: tutti i giorni, 9-12.30 e 14.30-18; sabato fino alle 18.30, domenica fino alle 19. Ingresso libero. Visite guidate, tel. 340.3461409.

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