Aldo Moro, il senso nobile della politica

Nel centenario della nascita il ricordo del presidente Mattarella e dello storico Antonetti

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Aldo Moro, il senso nobile della politica

Il presidente della Repubblica

“Moro non rinunciava ad affidare alla politica il dovere e il compito di indicare mete collettive, di guidare processi di innovazione. Proprio per questo gli appariva irrinunciabile l’esigenza dell’ascolto, il bisogno di intendere la complessità dei problemi e delle vicende”. Anche per questo “la sua visione era l’esatto contrario di concezioni conservatrici. Lo animava una forte spinta alla innovazione: nel sistema politico, nella definizione di nuove opportunità nella società, con la stagione delle riforme”. “In equilibrio tra i limiti delle circostanze della storia, il realismo del possibile e la carica di inappagamento che spinge verso il futuro, gli stava a cuore che le scelte annunciate trovassero effettiva attuazione e, quindi, nel tempo e con le modalità che consentissero di realizzarle davvero, con la maturazione necessaria per consolidare il consenso intorno ad esse. Rifuggiva, proprio per questa ragione, da annunci fine a se stessi, da gesti plateali che avrebbero sfiorato la realtà, senza riuscire a incidervi”. La “liberazione dell’uomo dai bisogni, dall’emarginazione, dalle insicurezze” erano, secondo il Capo dello Stato, tra gli obiettivi dell’azione di Moro. Il quale “aveva un senso nobile della dignità della politica che lo portava, naturalmente, al rifiuto di ogni manicheismo, a vantaggio del dialogo, della comprensione delle ragioni altrui”. Infine: “Ripensare compiutamente Aldo Moro e la sua intera vita, nella sua dimensione umana, in quella culturale, in quella politica, in quella spirituale, costituisce, oggi, un atto di libertà, una vittoria contro i terroristi e le loro violenze, un risarcimento all’intero Paese”.

Il ricordo dello storico

Di Aldo Moro traccia un profilo il prof. Nicola Antonetti già docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Parma, dal 2014 presidente dell’Istituto Luigi Sturzo di Roma, svolge alcune riflessioni sull’apporto di Aldo Moro alla stesura della Carta costituzionale. “Va considerata innanzi tutto l’importanza che ebbe per lui la concezione dell’autonomia del pensiero, intesa come coessenziale alla libertà interiore del credente, che il giovane professore pugliese rivendicava con assiduità, senza disgiungerla mai da ciò che egli stesso definiva il ‘gusto di consentire’ con gli altri (con tutti gli altri), quando non fosse a rischio una personale e ‘meditata convinzione’”.

L’ampio contributo dello storico è pubblicato, nella ricorrenza del centenario della nascita dello statista, sul sito dell’Azione cattolica italiana. “Questa era del resto l’essenziale predisposizione intellettuale e morale che, secondo Moro, tutti, e non solo i credenti, dopo il fascismo, dovevano acquisire e conservare, all’interno dell’Assemblea e fuori di essa, per consolidare il sistema democratico”, osserva Antonetti. Oltre i singoli, “anche i partiti (specie quelli portatori di dogmatiche e irremovibili convinzioni ideologiche), pur ‘radicalmente diversi’ tra loro, avevano il dovere di assumere una matura consapevolezza che ‘i dissensi sono più visibili degli accordi come il male è più vistoso del bene. Ciò non toglie che la vita non sarebbe possibile, se in realtà i consensi non fossero superiori ai dissensi e il bene più duraturo, più serio e più comprensivo del male’” (Moro, agosto 1946). In altre parole, prosegue Antonetti, “le possibilità di successo di una elaborazione condivisa della Costituzione repubblicana si fondavano soprattutto sulla capacità dei partiti antifascisti nell’integrare le masse su prospettive e metodi democratici”.  

Fonte: Sir
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