Papa Francesco a Genova: "Lavoro e vita vera con Gesù, la strada per diventare uomini"

Una intensa e indimenticabile giornata per la città ligure. Bergoglio ha toccato tutti i luoghi di vita della comunità della Lanterna

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Papa Francesco a Genova: "Lavoro e vita vera con Gesù, la strada per diventare uomini"

«Lavoro per tutti, non reddito, ma lavoro per tutti». Papa Francesco sabato 27 maggio 2017 visita Genova e detta il «manifesto sul lavoro». L’arcivescovo cardinale Angelo Bagnasco gli presenta una Chiesa vicina al mondo del lavoro «sin dal 1943, quando le autorità conferirono al cardinale arcivescovo Pietro Boetto (un gesuita nativo di Vigone, in provincia e diocesi di Torino, n.d.r.) il titolo di “defensor civitatis”». Quasi ottant’anni fa, il 1° febbraio 1929, dal porto di Genova sul piroscafo «Giulio Cesare» si imbarcano per l’Argentina i nonni Giovanni Bergoglio, la moglie Rosa e il figlio Mario – papà del Pontefice – e sbarcano a Buenos Aires il 15 febbraio.

La prima tappa è l’Ilva di Cornegliano. «Il lavoro è una priorità umana e pertanto cristiana, una priorità nostra» scandisce dal piccolo palco ai 3.500 lavoratori. Dialoga con quattro esponenti: l’imprenditore Ferdinando, la sindacalista Micaela, Sergio impegnato in un cammino di formazione promosso dai cappellani, la disoccupata Vittoria. Rappresentano i 13mila lavoratori Ilva e 40mila dell’indotto. «Non dimentichiamo che l’imprenditore deve essere prima di tutto un lavoratore. Nessun buon imprenditore ama licenziare la sua gente perché chi pensa di risolvere i problemi licenziando la gente, non è un buon imprenditore. Oggi vende la sua gente, domani vende la propria dignità». Critica «l’economia astratta, senza volti, che specula, incapace di amare aziende e uomini, incapace di costruire. Il sistema politico sembra incoraggiare chi specula sul lavoro e non chi investe e crede nel lavoro».

Cita il primo articolo della Costituzione - «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» - per ribadire che la dignità «è fondata nel lavoro e non nel mero guadagno». Condanna «il ricatto sociale, gli orari massacranti, malpagati, il lavoro nero. L’obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti perché senza lavoro non ci sarà dignità». Ribadisce: «Un assegno statale, mensile, che ti faccia portare avanti una famiglia non risolve il problema. Il problema va risolto con il lavoro per tutti». Dimostra di non aver capito niente Beppe Grillo quando commenta: «La proposta del Movimento cinque stelle va nella direzione indicata dal Papa». Ma Grillo evita di dire che è una proposta populista, fatta a scopi di bassa propaganda elettorale.  

La meritocrazia legittima la diseguaglianza – Poiché «l’impresa è prima di tutto cooperazione, assistenza, reciprocità» il Pontefice condanna le logiche competitive e meritocratiche che favoriscono «la legittimazione etica della diseguaglianza. La meritocrazia comporta un cambiamento della cultura dove il povero è considerato un demeritevole e un colpevole. Se la povertà è colpa del povero, i ricchi sono esonerati dal fare qualcosa». Stigmatizza il traffico illegale di armi, la pornografia, i giochi di azzardo, i lavori che non lasciano tempo per vivere: «Gli schiavi non hanno tempo libero. Senza il tempo della festa, il lavoro torna lavoro schiavistico, anche se super pagato». Mette in guardia dal  «consumismo, idolo del nostro tempo con i grandi negozi, aperti 24 ore al giorno».

Nella Cattedrale di San Lorenzo risponde a quattro domande, dialoga con vescovi, sacerdoti, religiosi/e. «Senza rapporti con Dio e con il prossimo niente non ha senso la vita di un prete. I sacerdoti siano uomini di incontro con Dio e con il prossimo. Il parroco non può avere  uno stile di imprenditore. Dovete esaminarvi: sono un uomo di incontro? di tabernacolo? di strada? di orecchio, che sa ascoltare? O quando incominciano a dirmi le cose, mi lascio stancare dalla gente?». Esorta a stare attenti alle mormorazioni che distruggono la fratellanza sacerdotale: «Il nemico della fratellanza sacerdotale è la mormorazione». Si sofferma sul binomio diocesanità-disponibilità: «Tutti siamo inseriti nella diocesi e questo ci salva dall’astrazione, dal nominalismo, da una fede che vola nell’aria». Esorta «ad andare dove c’è più rischio, più bisogno, più necessità». Sulle vocazioni «c’è una crisi che tocca tutta la Chiesa, tutte le vocazioni, anche il matrimonio» e mette in guardia da fenomeni gravi come «la tratta delle novizie, uno scandalo».

Al santuario della Guardia incontra i giovani. Chiara lo saluta: «Che bello, santità, averla qui», chiede come essere missionari verso i coetanei, specialmente quelli che sono vittime della droga, dell'alcool, della violenza, dell'inganno del maligno. Risponde: «È una tentazione, per i giovani, essere turisti; ma non dico fare una passeggiata ma guardare la vita con occhi di turisti, cioè superficialmente. La missione ci coinvolge tutti, ci trasforma, ci cambia lo sguardo e il modo di andare per la vita». Esorta: mai escludere, mai isolare, mai ignorare e mai aggettivare chi ci è accanto: la società tende a disprezzare l’altro». Invita a farsi prossimo e a toccare con mano il dolore degli ultimi. Chiede: «È normale che il Mediterraneo sia diventato un cimitero? È normale che tanti Paesi – non dico l’Italia, che è tanto generosa – chiudano le porte a questa gente che fugge dalla fame e dalla guerra?».

Porta la carezza di Gesù ai piccoli dell’Ospedale pediatrico Gaslini, che da 80 anni si dedica con passione e competenza all’assistenza dell’infanzia: «Il Signore mi chiama a stare, anche se brevemente, vicino a questi bambini e ragazzi e ai loro familiari. Tante volte mi faccio la domanda: perché soffrono i bambini? E non trovo spiegazione. Solo guardo il Crocifisso». Il nosocomio è nato come atto d’amore del senatore Gerolamo Gaslini: per onorare la figlia Giannina, morta in tenera età, decide di dare vita a questa struttura apprezzata in tutto il mondo, stabilendo nell’atto di fondazione che sempre fosse animata dalla fede cattolica. Commenta Francesco: «Sappiamo che la fede opera attraverso la carità e senza di questa è morta. Perciò incoraggio tutti voi a svolgere la vostra delicata opera spinti dalla carità, pensando al buon samaritano del Vangelo: attenti alle necessità dei piccoli pazienti, chinandovi con tenerezza sulle loro fragilità, e vedendo in loro il Signore». La visita lontano dalle telecamere in rianimazione e terapia intensiva.

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