Papa Bergoglio: Nessuno impara a sperare da solo

 All’Udienza Generale dedicata alla speranza un nuovo appello a non creare muri, ma ponti. La tratta delle persone: “crimine vergognoso e intollerabile”

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Papa Bergoglio: Nessuno impara a sperare da solo

 

“La speranza, per alimentarsi, ha bisogno necessariamente di un corpo, nel quale le varie membra si sostengono e si ravvivano a vicenda. Se speriamo, è perché tanti nostri fratelli e sorelle ci hanno insegnato a sperare e hanno tenuto viva la nostra speranza. E tra questi, si distinguono i piccoli, i poveri, i semplici, gli emarginati”. All’Udienza Generale prosegue il ciclo di Catechesi dedicato alla speranza Cristiana: “Nessuno impara a sperare da solo. Non è possibile”.

 

La Chiesa vicina ai più deboli

 

“Noi sempre abbiamo notizie di gente che cade nella disperazione e fa cose brutte… La disperazione li porta a tante cose brutte”. Il riferimento è a chi è scoraggiato, a chi è debole, a chi si sente abbattuto dal peso della vita e delle proprie colpe e non riesce più a sollevarsi.

 

In questi casi, la vicinanza e il calore di tutta la Chiesa devono farsi ancora più intensi e amorevoli, e devono assumere la forma squisita della compassione, “che non è avere compatimento: la compassione è patire con l’altro, soffrire con l’altro, avvicinarmi a chi soffre; una parola, una carezza, ma che venga dal cuore; questa è la compassione”. Per chi ha bisogno del conforto e della consolazione. La speranza cristiana non può fare a meno della carità genuina e concreta.

 

Costruire ponti, non muri

 

Lo stesso Apostolo delle genti, nella Lettera ai Romani, afferma: “Noi, che siamo i forti – che abbiamo la fede, la speranza, o non abbiamo tante difficoltà – abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi”. Portare, portare le debolezze altrui. Questa testimonianza non rimane chiusa dentro i confini della comunità cristiana, ma risuona in tutto il suo vigore anche al di fuori, nel contesto sociale e civile, come appello a non creare muri ma ponti, a non ricambiare il male col male, a vincere il male con il bene, l’offesa con il perdono. “Il cristiano - ha esclamato il Papa - mai può dire: me la pagherai!, mai; questo non è un gesto cristiano; l’offesa si vince con il perdono, a vivere in pace con tutti”. “Questa è la Chiesa! E questo è ciò che opera la speranza cristiana, quando assume i lineamenti forti e al tempo stesso teneri dell’amore. L’amore è forte e tenero. E’ bello”.

 

La vera speranza è quella di chi soffre

 

“Sì, perché - ha proseguito Francesco -  non conosce la speranza chi si chiude nel proprio benessere: spera soltanto nel suo benessere e questo non è speranza: è sicurezza relativa” non conosce la speranza chi si chiude nel proprio appagamento, chi si sente sempre a posto… A sperare sono invece coloro che sperimentano ogni giorno la prova, la precarietà e il proprio limite. Sono questi nostri fratelli a darci la testimonianza più bella, più forte, perché rimangono fermi nell’affidamento al Signore, sapendo che, al di là della tristezza, dell’oppressione e della ineluttabilità della morte, “l’ultima parola sarà la sua, e sarà una parola di misericordia, di vita e di pace”. Chi spera, spera di sentire un giorno questa parola: “Vieni, vieni da me, fratello; vieni, vieni da me, sorella, per tutta l’eternità”.

 

E’ più difficile credere che sperare

 

Se la dimora naturale della speranza è un “corpo” solidale, nel caso della speranza cristiana questo corpo è la Chiesa, mentre “il soffio vitale”, “l’anima di questa speranza” è lo Spirito Santo. Senza lo Spirito Santo non si può avere speranza. Ecco allora perché l’Apostolo Paolo ci invita alla fine a invocarlo continuamente. Se non è facile credere, tanto meno lo è sperare: “E’ più difficile sperare che credere, è più difficile. Ma quando lo Spirito Santo abita nei nostri cuori, è Lui a farci capire che non dobbiamo temere, che il Signore è vicino e si prende cura di noi; ed è Lui a modellare le nostre comunità, in una perenne Pentecoste, come segni vivi di speranza per la famiglia umana”.

 

La tratta e Santa Bakhita

 

Al termine dell’Udienza il Papa ha ricordato che oggi si celebra la Giornata di preghiera e riflessione contro la tratta di persone, quest’anno dedicata in particolare a bambini e adolescenti: “Incoraggio tutti coloro che in vari modi aiutano i minori schiavizzati e abusati a liberarsi da tale oppressione. Auspico che quanti hanno responsabilità di governo combattano con decisione questa piaga, dando voce ai nostri fratelli più piccoli, umiliati nella loro dignità. Occorre fare ogni sforzo per debellare questo crimine vergognoso e intollerabile”.

 

Oggi è anche la festa di santa Giuseppina Bakhita: “Questa ragazza - Francesco ha mostrato un opuscolo che parla di lei - schiavizzata in Africa, sfruttata, umiliata, non ha perso la speranza e ha portato avanti la fede, e finì per arrivare come migrante in Europa. E lì sentì la chiamata del Signore e si fece suora. Preghiamo santa Giuseppina Bakhita per tutti i migranti, i rifugiati, gli sfruttati che soffrono tanto, tanto”.

 

Lourdes e la Giornata Malato

 

Sabato prossimo, memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, ricorrerà la venticinquesima Giornata Mondiale del Malato. La celebrazione principale avrà luogo a Lourdes e sarà presieduta dal Cardinale Parolin: “Invito a pregare, per intercessione della nostra Santa Madre, per tutti gli ammalati, specialmente per quelli più gravi e più soli, e anche per tutti coloro che se ne prendono cura”.

 

L’appello per i Rohingya, respinti dal Myanmar

 

“E parlando di migranti cacciati via, sfruttati - ha concluso il Papa - io vorrei pregare con voi, oggi, in modo speciale per i nostri fratelli e sorelle Rohinya: cacciati via dal Myanmar, vanno da una parte all’altra perché non li vogliono… E’ gente buona, gente pacifica. Non sono cristiani, sono buoni, sono fratelli e sorelle nostri! E’ da anni che soffrono. Sono stati torturati, uccisi, semplicemente perché portano avanti le loro tradizioni, la loro fede musulmana. Preghiamo per loro. Vi invito a pregare per loro il nostro Padre che è nei Cieli, tutti insieme, per i nostri fratelli e sorelle Rohinya”. 

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