Padre Lombardi: "Ho chiesto al Papa, dove trova la forza?"

In occasione degli 80 anni di Papa Francesco parla padre Federico Lombardi, già portavoce del Papa e direttore della Sala Stampa vaticana, gesuita d'origine piemontese

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Padre Lombardi: "Ho chiesto al Papa, dove trova la forza?"

Papa Francesco compie ottant’anni sabato 17 dicembre. Come quasi tutti sappiamo Jorge Bergoglio è nato infatti nel 1936 a Buenos Aires da una bella coppia di giovani emigrati italiani: il papà Mario è arrivato in Argentina non molti anni prima dall’Astigiano, cioè proprio dal nostro Piemonte!  Quindi facciamo gli auguri a un Papa in qualche misura nostro compaesano, anche se tornato a noi dalla «fine del mondo». La grande saggezza di sua nonna Rosa, che è sempre rimasta per lui fino ad oggi un riferimento sicuro, ci suona assai familiare: non è molto diversa da quella delle nostre carissime nonne o bisnonne.

Chiamato a Roma per servire la Chiesa in tutto il mondo, Papa Francesco ha portato con sé una storia personale bella e lineare: solida educazione cristiana, scuola e seminario, studi seri, incontro con buoni preti salesiani e gesuiti, vocazione religiosa di slancio giovanile, grande amore per Gesù e desiderio di servire gli altri, impegno e grandi responsabilità nella sua Congregazione religiosa fin da quando era ancora assai giovane. Qui la storia comincia a complicarsi, perché l’Argentina di allora viveva sotto un regime opprimente, e guidare in questa situazione i suoi confratelli e aiutare chi soffriva per le violenze e gli insulti alla libertà non era certo il compito più facile. Ma anche qualcun altro aveva avuto a che fare con regimi totalitari nel corso della sua vita… ad esempio un certo Karol Wojtyla con il nazismo e il comunismo, e un certo Joseph Ratzinger con il nazismo.

A un certo punto l’arcivescovo di Buenos Aires, card. Quarracino, conoscendone l’intelligenza e lo zelo apostolico, chiama il Padre Bergoglio ad essere suo Vescovo ausiliare, allargando il campo del suo servizio pastorale a tutti gli aspetti dell’annuncio e della testimonianza del Vangelo nella grande città, nella «megalopoli» del nostro tempo, a cominciare dalle sue immense periferie con tutti i problemi di povertà e di «scarto» economico, umano, spirituale… ma ci sono anche i giovani, i lavoratori, le famiglie, le persone impegnate nell’economia e nella cultura, i cristiani di altre confessioni, gli ebrei e i musulmani, e anche le autorità politiche.

Diventato Arcivescovo, Bergoglio continuerà a viaggiare poco (a Roma e altrove non lo si vedeva spesso, solo quando era necessario) e a lavorare molto, inserito sempre più profondamente  nella vita concreta e nelle vicende della sua gente, quella che gli era stata affidata, pastore completamente dedito al suo gregge: stile di vita semplice e linguaggio concreto. Quando dice che il pastore deve avere «l’odore delle pecore», che deve camminare con il gregge, standogli davanti o in mezzo o dietro a seconda che bisogna guidarlo, accompagnarlo o spingerlo, capiamo subito che parla per esperienza.  Il volumone di oltre 1000 pagine appena pubblicato con tutte le omelie e i discorsi di cui ci è rimasta traccia scritta nei suoi quindici anni come Arcivescovo («Nei tuoi occhi è la mia parola», Rizzoli 2016) contiene 200 testi diversi delle grandi occasioni, ma certo le omelie e i discorsi pronunciati «a braccio» sono stati immensamente di più. Anche se non girava molto, i vescovi latinoamericani avevano imparato ad apprezzare questo pastore infaticabile, così vicino al suo popolo. Lo avevano conosciuto in particolare nella loro grande Assemblea continentale, che aveva avuto luogo presso il Santuario brasiliano della Madonna Aparecida nel 2007 ed era stata visitata da Benedetto XVI.

Questo pastore, quando aveva già passato i 75 anni e si preparava per «andare in pensione» (si fa per dire) come Arcivescovo, il 13 marzo 2013 è stato infine scelto dai cardinali, insieme allo Spirito Santo, per guidare la Chiesa universale come Papa. Da quella sera in cui lo abbiamo visto apparire inaspettatamente alla Loggia di San Pietro è tornato innumerevoli volte sui nostri teleschermi ed è entrato profondamente in tutte le nostre vite. Lo sentiamo vicino a ognuno di noi e gli vogliamo bene. Non è quindi necessario e non sarebbe neppure possibile ricordare ora tutto quello che ha fatto negli ultimi tre anni e mezzo.

Persone che lo conoscevano bene e gli erano vicine a Buenos Aires mi hanno detto che, rispetto agli ultimi tempi in Argentina, qui a Roma lo avevano trovato «ringiovanito di vent’anni». Forse è un po’ tanto, ma certamente lo slancio e l’energia con cui Papa Francesco si è dedicato al suo nuovo servizio ha stupito tutti e continua a stupire. Vedendolo pieno di vigore spirituale e fisico nel corso di viaggi lunghi e faticosi, a cui non era affatto abituato, come in Corea o in Filippine, gli ho chiesto anch’io alcune volte da dove pensava che gli venisse questa forza straordinaria. Mi ha risposto con totale naturalezza e sicura convinzione che si tratta della «grazia di stato». È un modo di dire comune fra i credenti che vuol dire questo: se il Signore ti dà un compito da svolgere, ti dà anche le forze spirituali o naturali necessarie per svolgerlo come lui si aspetta da te. Insomma, l’energia spirituale che gli viene data per fare bene il Papa è evidentemente un dono di Dio, di per sé gratuito e inaspettato, ma che in fondo non deve stupire troppo lui né i credenti, perché è legato al suo servizio.

Il Giubileo della Misericordia si è appena chiuso, ma Papa Francesco ne ha rilanciato il messaggio, ricordandoci che la porta della Misericordia di Dio resta sempre aperta. Come cristiano e come sacerdote, la cosa di cui sono più grato al Signore per questi tre anni di pontificato del Papa Francesco è che mi pare proprio che egli sia riuscito e riesca, fin dai primissimi giorni del suo servizio, a «far passare» in modo molto chiaro ed efficace il messaggio dell’amore di Dio, della sua Misericordia per tutti, assolutamente tutti. Mi pare che tanti lo abbiano capito, dentro e «fuori» la Chiesa, e attraverso parole gesti e testimonianza di Francesco si siano sentiti amati da Dio, abbiano ritrovato consolazione e speranza.

E che altro dovrebbe fare un Papa, che altro dovrebbe fare la Chiesa o dovrebbero fare i preti e i credenti, se non questo, prima di tutto?

Auguriamo dunque a Papa Francesco e auguriamo anche a noi che la «grazia di stato» continui a durare anche oltre gli 80 anni. Finché Dio vorrà donargliela. E noi non ci dimenticheremo di pregare per lui.

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