Mediterraneo, la strage dei bambini. Il dolore e l'appello di Bergoglio

Tragedia del Mediterraneo il Papa chiede di pregare per i fratelli morti in mare 

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Mediterraneo, la strage dei bambini. Il dolore e l'appello di Bergoglio

«Buongiorno, Papa. Volevo chiederti di pregare per la mia famiglia che è andata in cielo e per i miei amici, anche loro sono andati in cielo, sono morti nell’acqua». Nelle poche parole di Sayende, ragazzino nigeriano, c’è tutto il dramma di uomini, donne e bambini che fuggono da guerre e povertà e che annegano nelle acque del Mediterraneo e dell’indifferenza: 700 vittime nel «Mare nostrum» solo negli ultimi giorni.

Papa Francesco non si stanca di richiamare queste tragiche realtà. Sabato 28 maggio riceve i piccoli ospiti del «Treno dei bambini», iniziativa del Pontificio Consiglio per la cultura guidato dal cardinale milanese Gianfranco Ravasi. I ragazzini di otto etnie dell’Orchestra infantile «Quattrocanti» di Palermo gli portano i soldi di una colletta per i bimbi di Lesbo e una lettera: «Noi bambini promettiamo che accoglieremo chiunque arriverà nel nostro Paese; non considereremo mai chi ha un colore di pelle diverso, chi parla una lingua differente o professa un’altra religione, un nemico pericoloso». Questi piccoli sono il simbolo di quel Sud – come la Sicilia e la Calabria - che non si lascia appiedare dalla criminalità organizzata e propone all’Italia una lezione di umanità di altissimo valore.

Francesco ascolta, sorride, si commuove, dialoga. Si fa portare il disegno di un bambino con il sole, il mare e le onde che possono «far morire la gente». Racconta che mercoledì 25 maggio, all’udienza generale, tre soccorritori volontari gli hanno donato «questo giubbetto e piangendo mi ha detto: “Padre, non ce l’ho fatta. C’era una bambina, sulle onde, ma non ce l’ho fatta a salvarla. Soltanto è rimasto il giubbetto”. Questo giubbetto è di quella bambina. Non voglio rattristarvi, ma voi siete coraggiosi e conoscete la verità. Sono in pericolo tanti ragazzi, bambini, bambine, uomini, donne. Come si chiamava questa bambina? Non so: una bambina senza nome. Ognuno le dia il nome che vuole. Lei è in cielo che ci guarda». Una lezione di umanità e di realismo, anche per quei genitori e quei nonni iperprotettivi che vogliono tutelare i bambini dalle realtà, spesso dure, della vita.

All’Angelus di domenica 29 maggio ritorna sui drammi dell’infanzia: in Siria, a causa della terribile guerra civile, quasi 2 milioni e mezzo di bambini soffrono in maniera terribile e oltre tremila bambini sono intrappolati insieme agli adulti nel campo profughi di Khan Eshieh, dove è stato imposto un assedio completo che impedisce l’entrata anche di beni essenziali.

Lo stile di servizio deve qualificare il diacono, dice Francesco al Giubileo dei diaconi permanenti domenica 29: «Uomini a servizio, disponibili e miti, perché Gesù lo è stato per primo. La vocazione, anzi l’ambizione del diacono non può essere diversa da questa. Servitore di tutti, del fratello atteso e di quello non previsto, elastico nell’accogliere e fare spazio a chi ha bisogno, non un burocrate del sacro per cui anche la carità, la vita parrocchiale, sono regolate da un orario di servizio. Il discepolo di Gesù non può andare su una strada diversa da quella del Maestro, ma se vuole annunciare deve imitarlo. In altre parole, se evangelizzare è la missione consegnata a ogni cristiano nel Battesimo, servire è lo stile con cui vivere la missione, l’unico modo di essere discepolo di Gesù. È suo testimone chi serve i fratelli e le sorelle, senza stancarsi di Cristo umile, senza stancarsi della vita cristiana che è vita di servizio. Chi serve non è schiavo dell’agenda che stabilisce, ma, docile di cuore, è disponibile al non programmato: pronto per il fratello e aperto all’imprevisto, che non manca mai e spesso è la sorpresa quotidiana di Dio. Il servitore è aperto alla sorpresa, alle sorprese quotidiane di Dio».

Poi improvvisa: «Il servitore trascura gli orari. A me fa male al cuore quando vedo orario – nelle parrocchie – da tal ora a tal ora. Poi? Non c’è porta aperta, non c’è prete, non c’è diacono, non c’è laico che riceva la gente. Questo fa male».

Venerdì 3 giugno - solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, istituita 160 anni fa da Pio IX - sarà il Giubileo dei sacerdoti che continuerà sabato 4 e domenica 5 con la canonizzazione del sacerdote polacco Stanislao di Gesù e Maria e della svedese Maria Elisabetta Hesselblad.

I primi impulsi alla devozione del Sacro Cuore vengono dalla mistica tedesca del Medioevo. Nel Seicento nel mezzo delle polemiche dei giansenisti – che interpretano questa devozione come atto di idolatria – ci sono le apparizioni, che durano 17 anni sino alla morte, alla religiosa della Visitazione Santa Margherita Maria Alacoque (1647-1690). Le appare Gesù che la invita a prendere il posto che l’apostolo Giovanni nell’Ultima Cena si china «sul petto di Gesù» (Giovanni 13,25). Chiede che si celebri la festa del Cuore Gesù. Le prime feste, presente la mistica, avvengono nel noviziato della Visitazione a Paray-le-Monial (Saône-et-Loire) il 20 luglio 1685 e il 21 giugno 1686. Un acceso dibattito si sviluppa sull’oggetto di questo culto, tanto che nel 1765 la Congregazione dei riti afferma che si tratta di «un cuore carneo, simbolo dell’amore» e Pio VI nella bolla «Auctorem fidei» (28 agosto 1794) condanna il giansenismo e conferma che si adora il cuore «inseparabilmente unito con la Persona del Verbo».

Il 23 agosto 1856 Pio IX istituisce la solennità del Sacro Cuore. Sulla scia si diffondono gli atti di consacrazione delle nazioni e delle famiglie al Cuore di Gesù; sorgono cappelle, chiese, basiliche e santuari dedicati al Sacro Cuore; proliferano quadri e stampe. Leone XIII, autore di ben 53 encicliche in 25 anni di pontificato, nella «Annum sacrum» (25 maggio 1899) effettua la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù. Per lo sviluppo di tale devozione importanti sono le encicliche di Pio XI «Miserentissimus Redemptor» (8 maggio 1928) e di Pio XII «Haurietis acquas».

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