Il ricordo della pacificazione tra episcopato polacco e tedesco

Un importante momento dopo la seconda guerra mondiale e a cinquant'anni dalla riconciliazione 50° 1965-2015

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Il ricordo della pacificazione tra episcopato polacco e tedesco

Seguire l’esempio di riconciliazione compiuto 50 anni fa dai vescovi polacchi e tedeschi. Lo scrive Papa Francesco – informa «Radio Vaticana» - in un messaggio a firma del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, in occasione del 50° della lettera dell’episcopato polacco «Perdoniamo e chiediamo perdono»: tra quei vescovi c’era mons. Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia e futuro Giovanni Paolo II. Alla lettera seguì la risposta dei vescovi della Germania. Lo storico evento è stato un frutto maturo del Concilio Vaticano II e dei Papi conciliari, Giovanni XXIII e Paolo VI ed è stato celebrato con una serie di momenti religiosi e culturali, culminati nella Messa celebrata al Campo Santo Teutonico in Vaticano e in un convegno storico.

Afferma il messaggio: «Il coraggioso gesto dei presuli polacchi, compiuto in concomitanza con l’ultima sessione del Concilio Vaticano II, ha aperto una via difficile ma efficace per il processo di riconciliazione tra le due Nazioni dopo le tragiche vicende della seconda guerra mondiale». Il documento dei vescovi polacchi aprì un nuovo capitolo nella storia delle relazioni tra tedeschi e polacchi. «Anche oggi tale gesto può essere modello ed esempio per tutte le nazioni e società che si trovano in difficili situazioni di conflitto».

Nel 50° dello storico scambio di lettere, le ambasciate di Polonia e di Germania presso la Santa Sede hanno organizzato una serie di eventi. Una Messa concelebrata dal cardinale tedesco Gerhard Müller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, e dai cardinali polacchi Stanislaw Rylko e Zenon Grocholewski, da presuli e sacerdoti dei due Paesi, da mons. Duarte da Cunha, segretario della Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece). Müller rammenta che la Polonia è stata la prima vittima del «Patto Molotov-Ribbentrop»: «Come cristiani vogliamo concentrarci sul fatto che Dio ha creato tutti come fratelli e sorelle, per questo è necessaria la buona convivenza tra Paesi confinanti e l’amicizia fra i popoli. L’iniziativa dei vescovi polacchi ha portato a pronunciare le parole “Perdoniamo e chiediamo perdono”».

Mons. Stanislaw Gadecki, presidente dei vescovi polacchi, sottolinea che «anche oggi l’Europa e il mondo hanno bisogno di riconciliazione». Scrivevano i vescovi polacchi: «Dai banchi del Concilio che sta per concludersi vi tendiamo le nostre mani, accordando perdono e chiedendo perdono». Dice Gadecki: con quel gesto coraggioso e profetico – duramente osteggiato dal regime comunista di Varsavia - «ci si impegnava a superare le antiche divisioni della seconda guerra mondiale e si evidenziava che “un Cristianesimo autentico non può accettare una situazione in cui Paesi cristiani confinanti rimangono in conflitto”».

Mons. Henryk Muszynski, primate emerito della Polonia e testimone delle origini della storica lettera, afferma: «Il problema della riconciliazione è tuttora molto attuale e potrà risolversi soltanto nella piena verità. Giungiamo a questa verità molto lentamente, passo dopo passo, finché nei nostri cuori non si maturi la disponibilità a perdonare, perché senza perdono non c’è riconciliazione, senza riconciliazione non c’è la pace, non c’è la giustizia, e senza la giustizia ci sono le guerre».

Nell’aprile 1966 «Aggiornamenti sociali», la rivista dei Gesuiti di Milano, ricostruì la vicenda con un servizio intitolato «Scambio di messaggi tra vescovi polacchi e tedeschi». La storia parte da lontano: «Il 14 settembre 1945 il governo comunista polacco denuncia il concordato del 1925. Poi vuole eliminare la Chiesa, laicizzare le scuole, distaccare i fedeli dalla pratica religiosa. Dal 1950 seguono arresti di sacerdoti e religiosi, l’espulsione degli amministratori apostolici dei territori occidentali ex tedeschi, l’arresto del vescovo di Kielce e del suo vicario generale, la chiusura dei Seminari minori degli Ordini religiosi». Come tutte le dittature, i comunisti pretendono di regolare le nomine dei vescovi e il leggendario cardinale primate Stefan Wyszynski protesta. Molti vescovi vengono arrestati, compreso Wyszynski, e saranno nell’ottobre.

Continuano le minacce contro l’insegnamento religioso e si verificano vari incidenti. A Nowa Huta, per esempio, il regime si impadronisce con la forza di un terreno della Chiesa. Il governo proibisce l’insegnamento della religione nelle scuole e tenta di regolare anche l’insegnamento del catechismo nelle parrocchie. Ricorda «Aggiornamenti sociali»: dopo aver limitato il diritto di riunione, e quindi le processioni e i pellegrinaggi, dopo aver chiuso i seminari e le case religiose, «il 6 luglio 1962 c’è la protesta dell’episcopato. Nel novembre 1962 un membro del Consiglio di Stato è ricevuto da Giovanni XXIII. Il 26 aprile 1963 il capo comunista Vladyslan Gomulka incontra segretamente il cardinale Wyszynski, che parte per Roma ed è ricevuto da Giovanni XXIII».

Paolo VI, succeduto a Giovanni XXIII il 21 giugno 1963, «cerca in tutti i modi – specifica la rvisita - di favorire, con il suo atteggiamento, una pacificazione tra polacchi e tedeschi. Il 20 aprile 1965 una lettera collettiva dell’episcopato polacco al presidente del Consiglio enumera con grande franchezza gli ostacoli frapposti dal regime alla libertà religiosa e le vessazioni cui sottopone sacerdoti e fedeli. Le ultime difficoltà sorgono in seguito alla lettera inviata dai vescovi polacchi a quelli tedeschi, in vista di una loro partecipazione alle celebrazioni del millenario della Polonia cristiana».

Mons. Gądecki, che fu testimone di quei fatti, ricorda che la lettera del 18 novembre 1965 conteneva le parole che ne costituivano l’essenza: «Dai banchi del Concilio che sta per concludersi, vi tendiamo le nostre mani accordando perdono e chiedendo perdono». Aggiunge il presule: «Per i destinatari del messaggio fu chiaro che la comune fede cristiana assumeva un valore durevole, che univa le Nazioni e gli Stati al di sopra di ogni divisione politica: fu una visione che segnava l’ingresso della Polonia nella grande famiglia cristiana d’Europa».  

Due giorni dopo arriva la risposta tedesca sotto forma del «Saluto dei vescovi tedeschi ai fratelli polacchi nella missione episcopale». La pacificazione fu vista malissimo dai regimi comunisti della Polonia, della Germania Est e dall’Unione Sovietica: Mosca temeva che la distensione inducesse la Polonia a considerare meno necessario l’appoggio sovietico. A distanza di cinquant’anni si può dire che quella pacificazione era nata sugli scranni del Vaticano II e l’avevano coltivata uomini di pace come Giovanni XXIII e Paolo VI.

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