Il Sinodo è concluso ma non il cammino

Papa Francesco all'Angelus ha commentato: “E’ stato faticoso, ma è stato un vero dono di Dio, che porterà sicuramente molto frutto”.

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Il Sinodo è concluso ma non il cammino

 

 

“La parola Sinodo - ha ricordato Papa Francesco - significa camminare insieme. E quella che abbiamo vissuto è stata l’esperienza della Chiesa in cammino, in cammino specialmente con le famiglie del Popolo santo di Dio sparso in tutto il mondo”. Commentando le letture del giorno il Santo Padre ha osservato: “Questa Parola di Dio ci dice che il primo a voler camminare insieme con noi, a voler fare sinodo con noi, è proprio Lui, il nostro Padre. Il suo sogno, da sempre e per sempre, è quello di formare un popolo, di radunarlo, di guidarlo verso la terra della libertà e della pace”. E questo popolo è fatto di famiglie: ci sono “la donna incinta e la partoriente”; è un popolo che mentre cammina manda avanti la vita, con la benedizione di Dio.

 

E’ un popolo che non esclude i poveri e gli svantaggiati, anzi, li include. Riferendosi al passo del profeta Geremia: “Fra loro sono il cieco e lo zoppo” (Ger 31,7-9) Papa Francesco ha osservato: “E’ una famiglia di famiglie, in cui chi fa fatica non si trova emarginato, lasciato indietro, ma riesce a stare al passo con gli altri, perché questo popolo cammina sul passo degli ultimi; come si fa nelle famiglie, e come ci insegna il Signore, che si è fatto povero con i poveri, piccolo con i piccoli, ultimo con gli ultimi”.

 

“Non lo ha fatto per escludere i ricchi, i grandi e i primi, ma perché questo è l’unico modo per salvare anche loro, per salvare tutti: andare con i piccoli, con gli esclusi, con gli ultimi”.

 

Includere e non escludere

Questa è la chiave di lettura che ci dà Francesco. Come il Santo Padre ha ricordato nel discorso di chiusura del Sinodo: “Il primo dovere della Chiesa non è quello di distribuire condanne o anatemi, ma è quello di proclamare la misericordia di Dio, di chiamare alla conversione e di condurre tutti gli uomini alla salvezza del Signore (cfr Gv 12,44-50)”.

 

“Vi confesso - ha aggiunto Papa Francesco - che questa profezia del popolo in cammino l’ho confrontata con le immagini dei profughi in marcia sulle strade dell’Europa, una realtà drammatica dei nostri giorni. Anche a loro Dio dice: «Erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni». Anche queste famiglie più sofferenti, sradicate dalle loro terre, sono state presenti con noi nel Sinodo, nella nostra preghiera e nei nostri lavori, attraverso la voce di alcuni loro Pastori presenti in Assemblea. Queste persone in cerca di dignità, queste famiglie in cerca di pace rimangono ancora con noi, la Chiesa non le abbandona, perché fanno parte del popolo che Dio vuole liberare dalla schiavitù e guidare alla libertà”.

 

Condurre direttamente a Gesù, senza prediche

Nel corso dell'omelia pronunciata durante la Santa Messa per la conclusione del Sinodo, commentando il brano del Vangelo di Marco che parla della guarigione del cieco Bartimeo, Papa Francesco ha osservato che i discepoli si rivolgono al cieco usando due espressioni, che solo Gesù utilizza nel resto del Vangelo: “Coraggio!e “Alzati!”. I discepoli non fanno altro che ripetere le parole incoraggianti e liberatorie di Gesù, conducendo direttamente a Lui, senza prediche. A questo sono chiamati i discepoli di Gesù, anche oggi, specialmente oggi: a porre l’uomo a contatto con la Misericordia compassionevole che salva.

 

“Quando il grido dell’umanità diventa, come in Bartimeo, ancora più forte non c’è altra risposta che fare nostre le parole di Gesù e soprattutto imitare il suo cuore. Le situazioni di miseria e di conflitto sono per Dio occasioni di misericordia. Oggi è tempo di misericordia!”.

 

La spiritualità del miraggio

Ci sono però alcune tentazioni per chi segue Gesù. Il Vangelo di oggi ne evidenzia almeno due. Nessuno dei discepoli si ferma, come fa Gesù. Continuano a camminare, vanno avanti come se nulla fosse. Se Bartimeo è cieco, essi sono sordi: il suo problema non è il loro problema. Può essere il nostro rischio: di fronte ai continui problemi, meglio andare avanti, senza lasciarci disturbare. In questo modo, come quei discepoli, stiamo con Gesù, ma non pensiamo come Gesù. Si sta nel suo gruppo, ma si smarrisce l’apertura del cuore, si perdono la meraviglia, la gratitudine e l’entusiasmo e si rischia di diventare “abitudinari della grazia”.

 

“Possiamo parlare di Lui e lavorare per Lui - spiega Papa Francesco - ma vivere lontani dal suo cuore, che è proteso verso chi è ferito. Questa è la tentazione: una spiritualità del miraggio: possiamo camminare attraverso i deserti dell’umanità senza vedere quello che realmente c’è, bensì quello che vorremmo vedere noi; siamo capaci di costruire visioni del mondo, ma non accettiamo quello che il Signore ci mette davanti agli occhi. Una fede che non sa radicarsi nella vita della gente rimane arida e, anziché oasi, crea altri deserti”.

 

La fede da tabella

C’è una seconda tentazione, quella di cadere in una fede da tabella: “Possiamo camminare con il popolo di Dio, ma abbiamo già la nostra tabella di marcia, dove tutto rientra: sappiamo dove andare e quanto tempo metterci; tutti devono rispettare i nostri ritmi e ogni inconveniente ci disturba. Rischiamo di diventare come quei molti del Vangelo che perdono la pazienza e rimproverano Bartimeo. Poco prima avevano rimproverato i bambini (cfr10,13), ora il mendicante cieco: chi dà fastidio o non è all’altezza è da escludere. Gesù invece vuole includere, soprattutto chi è tenuto ai margini e grida a Lui. Costoro, come Bartimeo, hanno fede, perché sapersi bisognosi di salvezza è il miglior modo per incontrare Gesù”.

 

Osservazioni, quelle di Papa Francesco, che partendo dal Vangelo possono essere applicate al Sinodo e ci danno un'idea chiara di quelli che saranno i prossimi "passi": anzitutto continuare a camminare insieme. Il Sinodo è concluso, ma non il cammino. Un percorso che sarà "alla ricerca dei sentieri che il Vangelo indica al nostro tempo per annunciare il mistero di amore della famiglia".

 

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