Il Papa: quelle lacrime sono semi di speranza

Prima Udienza Generale 2017 è dedicata al dolore delle madri che hanno perso i propri figli. E l’appello per il massacro nel carcere di Manaus in Brasile

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Il Papa: quelle lacrime sono semi di speranza

 

“Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione”. E la disperazione di una madre che perde i propri figli è un dolore incalcolabile “proporzionale all’amore”.

 

E sono tante, anche oggi, le madri che piangono, che non si rassegnano alla perdita di un figlio, inconsolabili davanti a una morte impossibile da accettare.

 

La figura di Rachele

 

Per introdurre la sua Catechesi il Papa ha letto un brano tratto dal libro del profeta Geremia: “Una voce si ode a Rama, un lamento e un pianto amaro: Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata per i suoi figli, perché non sono più” (Ger 31,15). 

 

In questi versetti, Geremia presenta questa donna del suo popolo in una realtà di dolore e pianto, ma insieme con una prospettiva di vita impensata. Rachele racchiude in sé il dolore di tutte le madri del mondo, di ogni tempo, e le lacrime di ogni essere umano che piange perdite irreparabili. Piange per i figli che, in un certo senso, sono morti andando in esilio; figli che, come lei stessa dice, “non sono più”, sono scomparsi per sempre.

 

E per questo Rachele non vuole essere consolata. Questo rifiuto esprime la profondità del suo dolore e l’amarezza del suo pianto. “Davanti alla tragedia della perdita dei figli, una madre non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata”.

 

Per consolare bisogna piangere con chi soffre

 

Questo rifiuto di Rachele che non vuole essere consolata ci insegna anche quanta delicatezza ci viene chiesta davanti al dolore altrui. “Per parlare di speranza a chi è disperato - ha detto Francesco - bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio; la carezza, il gesto e niente parole”.

 

E Dio, con la sua delicatezza e il suo amore, risponde al pianto di Rachele “con parole vere, non finte”; così prosegue infatti il testo di Geremia: “Trattieni il tuo pianto, i tuoi occhi dalle lacrime, perché c’è un compenso alle tue fatiche – oracolo del Signore – : essi torneranno dal paese nemico. C’è una speranza per la tua discendenza – oracolo del Signore – : i tuoi figli ritorneranno nella loro terra» (Ger 31,16-17).

 

Le lacrime che generano speranza

 

Proprio per il pianto della madre, c’è ancora speranza per i figli, che torneranno a vivere. Questa donna, che aveva accettato di morire, al momento del parto, perché il figlio potesse vivere, con il suo pianto è ora principio di vita nuova per i figli esiliati, prigionieri, lontani dalla patria. “Al dolore e al pianto amaro di Rachele, il Signore risponde con una promessa che adesso può essere per lei motivo di vera consolazione: il popolo potrà tornare dall’esilio e vivere nella fede, libero, il proprio rapporto con Dio. Le lacrime hanno generato speranza. E questo non è facile da capire, ma è vero. Tante volte, nella nostra vita, le lacrime seminano speranza, sono semi di speranza”.

 

Quelle risposte che non ci sono

 

Questo testo di Geremia è stato ripreso dall’evangelista Matteo, che lo ha applicato alla strage degli innocenti (cfr 2,16-18). “Un testo che - come ha evidenziato il Papa - ci mette di fronte alla tragedia dell’uccisione di esseri umani indifesi, all’orrore del potere che disprezza e sopprime la vita”. I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù. E Lui “Agnello innocente, sarebbe poi morto, a sua volta, per tutti noi”. “Il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini”.

 

“Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili, per esempio: «Mi dica, Padre: perché soffrono i bambini?», davvero, io non so cosa rispondere. Soltanto dico: «Guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta». Ma risposte di qua - il Papa indica la testa - non ci sono. Soltanto guardando l’amore di Dio che dà suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione. E per questo diciamo che il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini; ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto”.

 

“E sulla croce sarà Lui, il Figlio morente, a donare una nuova fecondità a sua madre, affidandole il discepolo Giovanni e rendendola madre del popolo dei credenti. La morte è vinta, e giunge così a compimento la profezia di Geremia. Anche le lacrime di Maria, come quelle di Rachele, hanno generato speranza e nuova vita”.

 

L’appello e la preghiera per i carcerati

 

Al termine dell’Udienza il Papa ha invitato a pregare per le vittime delle violenze nel carcere di Manaus: “Ieri sono giunte dal Brasile le notizie drammatiche del massacro avvenuto nel carcere di Manaus, dove un violentissimo scontro tra bande rivali ha causato decine di morti. Esprimo dolore e preoccupazione per quanto accaduto. Invito a pregare per i defunti, per i loro familiari, per tutti i detenuti di quel carcere e per quanti vi lavorano”.

 

Il Santo Padre ha poi rinnovato l’appello “perché gli istituti penitenziari siano luoghi di rieducazione e di reinserimento sociale, e le condizioni di vita dei detenuti siano degne di persone umane”. “Vi invito - ha aggiunto - a pregare per questi detenuti morti e vivi, e anche per tutti i detenuti del mondo, perché le carceri siano per reinserire e non siano sovraffollate; siano posti di reinserimento. Preghiamo la Madonna, Madre dei detenuti: Ave o Maria...”.

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