Il Papa: no ai pastori “principi”, lontani dalla gente, lontani dai più poveri

I pastori della Chiesa non si allontanino dalla gente, ma seguano l’esempio di Cristo che stava in mezzo ai poveri per donare loro la salvezza di Dio.

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I pastori della Chiesa non si allontanino dalla gente, ma seguano l’esempio di Cristo che stava in mezzo ai poveri per donare loro la salvezza di Dio.

“Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. […] Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita” (cfr. Mt 11,28-30). All’Udienza Generale la Catechesi del Santo Padre prende spunto da questo brano del Vangelo di Matteo: “L’invito del Signore è sorprendente: chiama a seguirlo persone semplici e gravate da una vita difficile, chiama a seguirlo persone che hanno tanti bisogni e promette loro che in Lui troveranno riposo e sollievo. Magari tutti i leaders del mondo potessero dire questo!”.

Venite a me

Rivolgendosi a coloro che sono stanchi e oppressi, Gesù si presenta come il Servo del Signore descritto nel libro del profeta Isaia. Così dice il passo di Isaia: “Il Signore mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato” (50,4). A questi sfiduciati della vita, il Vangelo affianca spesso anche i poveri (cfr Mt 11,5) e i piccoli (cfr Mt 18,6).

Si tratta di quanti non possono contare su mezzi propri, né su amicizie importanti. Essi possono solo confidare in Dio. Consapevoli della propria umile e misera condizione, sanno di dipendere dalla misericordia del Signore, attendendo da Lui l’unico aiuto possibile.

Nell’invito di Gesù trovano finalmente risposta alla loro attesa: diventando suoi discepoli ricevono la promessa di trovare ristoro per tutta la vita. Una promessa che al termine del Vangelo viene estesa a tutte le genti: “Andate dunque – dice Gesù agli Apostoli – e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19).

Prendete il mio giogo

In polemica con gli scribi e i dottori della legge, Gesù pone sui suoi discepoli il suo giogo, nel quale la Legge trova il suo compimento. Vuole insegnare loro che scopriranno la volontà di Dio mediante la sua persona: mediante Gesù, non mediante leggi e prescrizioni fredde che lo stesso Gesù condanna. “Basta leggere il capitolo 23 di Matteo! Lui sta al centro della loro relazione con Dio, è nel cuore delle relazioni fra i discepoli e si pone come fulcro della vita di ciascuno. Ricevendo il giogo di Gesù ogni discepolo entra così in comunione con Lui ed è reso partecipe del mistero della sua croce e del suo destino di salvezza”.

 

 

Imparate da me

Ai suoi discepoli Gesù prospetta un cammino di conoscenza e di imitazione: “Gesù non è un maestro che con severità impone ad altri dei pesi che lui non porta: questa era l’accusa che faceva ai dottori della legge. Egli si rivolge agli umili, ai piccoli, ai poveri, ai bisognosi perché Lui stesso si è fatto piccolo e umile. Comprende i poveri e i sofferenti perché Lui stesso è povero e provato dai dolori”.

Per salvare l’umanità Gesù non ha percorso una strada facile; al contrario, il suo cammino è stato doloroso e difficile. Come ricorda la Lettera ai Filippesi: “Umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (2,8). Il giogo che i poveri e gli oppressi portano è lo stesso giogo che Lui ha portato prima di loro: per questo è un giogo leggero. Egli si è caricato sulle spalle i dolori e i peccati dell’intera umanità.

Per il discepolo, dunque, ricevere il giogo di Gesù significa “ricevere la sua rivelazione e accoglierla: in Lui la misericordia di Dio si è fatta carico delle povertà degli uomini, donando così a tutti la possibilità della salvezza”. Ma perché Gesù è capace di dire queste cose? “Perché Lui si è fatto tutto a tutti, vicino a tutti, ai più poveri! Era un pastore tra la gente, tra i poveri: lavorava tutto il giorno con loro. Gesù non era un principe. E’ brutto per la Chiesa quando i pastori diventano principi, lontani dalla gente, lontani dai più poveri: quello non è lo spirito di Gesù. Questi pastori Gesù rimproverava, e di loro Gesù diceva alla gente: fate quello che loro dicono, ma non quello che fanno”.

Vivere di misericordia per essere strumenti di misericordia

“Cari fratelli e sorelle - ha proseguito il Papa - anche per noi ci sono momenti di stanchezza e di delusione. Allora ricordiamoci queste parole del Signore, che ci danno tanta consolazione e ci fanno capire se stiamo mettendo le nostre forze al servizio del bene. Infatti, a volte la nostra stanchezza è causata dall’aver posto fiducia in cose che non sono l’essenziale, perché ci siamo allontanati da ciò che vale realmente nella vita”. Il Signore ci insegna a non avere paura di seguirlo, perché la speranza che poniamo in Lui non sarà delusa.

Siamo chiamati quindi a imparare da Lui cosa significa “vivere di misericordia per essere strumenti di misericordia”. Vivere di misericordia è sentirsi bisognoso della misericordia di Gesù “e quando noi ci sentiamo bisognosi di perdono, di consolazione, impariamo a essere misericordiosi con gli altri”. Tenere fisso lo sguardo sul Figlio di Dio “ci fa capire quanta strada dobbiamo ancora fare”; ma al tempo stesso “ci infonde la gioia di sapere che stiamo camminando con Lui e non siamo mai soli”.

“Coraggio, dunque, coraggio! - Ha esclamato Francesco - Non lasciamoci togliere la gioia di essere discepoli del Signore”. “Ma, Padre, io sono peccatore, come posso fare?” – “Lasciati guardare dal Signore, apri il tuo cuore, senti su di te il suo sguardo, la sua misericordia, e il tuo cuore sarà riempito di gioia, della gioia del perdono, se tu ti avvicini a chiedere il perdono”. “Non lasciamoci rubare la speranza di vivere questa vita insieme con Lui e con la forza della sua consolazione. Grazie”.

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