Il Papa: la speranza non è un telefonino

All’Udienza Generale le forti parole del Papa contro i mafiosi che “non hanno speranza”. E la preghiera per le vittime di San Pietroburgo e della Siria

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Il Papa: la speranza non è un telefonino

La speranza ha “la forma squisita e inconfondibile della dolcezza, del rispetto, della benevolenza verso il prossimo, arrivando addirittura a perdonare chi ci fa del male”. All’Udienza Generale prosegue il ciclo di Catechesi del Papa dedicato alla speranza cristiana. Il male non lo si vince con il male, ma con l’umiltà, la misericordia e la mitezza: “I mafiosi - ha precisato Francesco - pensano che il male si può vincere con il male, e così fanno la vendetta e fanno tante cose che noi tutti sappiamo. Ma non conoscono cosa sia umiltà, misericordia e mitezza. E perché? Perché i mafiosi non hanno speranza. Pensate a questo”.

 

Una lettera straordinaria

Per introdurre il discorso, il Papa ha preso spunto da un passo della Prima Lettera dell’apostolo Pietro: un testo che “porta in sé una carica straordinaria”. Bisogna leggerla “una, due, tre volte”, riesce a infondere “grande consolazione e pace”, facendo percepire come il Signore è sempre accanto a noi e non ci abbandona mai, soprattutto nei frangenti più delicati e difficili della nostra vita. “So che voi oggi prenderete il Nuovo Testamento - ha proseguito -  cercherete la prima Lettera di Pietro e la leggerete adagio adagio, per capire il segreto e la forza di questa Lettera”.

Il segreto sta nel fatto che questo scritto affonda le sue radici direttamente nella Pasqua, “nel cuore del mistero che stiamo per celebrare”, facendoci così percepire tutta la luce e la gioia che scaturiscono dalla morte e risurrezione di Cristo. Cristo è veramente risorto, e questo è un bel saluto da darci nel giorno di Pasqua: “Cristo è risorto! Cristo è risorto!”, come tanti popoli fanno. Ricordarci che Cristo è risorto, è vivo fra noi, è vivo e abita in ciascuno di noi. È nel nostro cuore: “Lì il Signore ha preso dimora nel momento del nostro Battesimo, e da lì continua a rinnovare noi e la nostra vita, ricolmandoci del suo amore e della pienezza dello Spirito”.

 

La speranza non è un telefonino

Ecco allora perché l’Apostolo ci raccomanda di rendere ragione della speranza che è in noi: “la nostra speranza non è un concetto, non è un sentimento, non è un telefonino, non è un mucchio di ricchezze! La nostra speranza è una Persona, è il Signore Gesù che riconosciamo vivo e presente in noi e nei nostri fratelli, perché Cristo è risorto”. I popoli slavi quando si salutano, invece di dire “buongiorno”, “buonasera”, nei giorni di Pasqua si salutano con questo “Cristo è risorto!”, “Christos voskrese!” dicono tra loro; e sono felici di dirlo! E questo è il “buongiorno” e il “buonasera” che si danno: “Cristo è risorto!”.

 

Gesù è il nostro modello

Comprendiamo allora che di questa speranza non si deve tanto rendere ragione a livello teorico, a parole, ma soprattutto con la testimonianza della vita, e questo sia all’interno della comunità cristiana, sia al di fuori di essa. Se Cristo è vivo e abita in noi, nel nostro cuore, allora dobbiamo anche lasciare che si renda visibile, non nasconderlo, e che agisca in noi. Questo significa “che il Signore Gesù deve diventare sempre di più il nostro modello”: modello di vita e che noi dobbiamo imparare a comportarci come Lui si è comportato.

 

Una persona che non ha speranza non riesce a perdonare, non riesce a dare la consolazione del perdono e ad avere la consolazione di perdonare. Sì, perché così ha fatto Gesù, e così continua a fare attraverso coloro che gli fanno spazio nel loro cuore e nella loro vita.

 

Spargere semi di risurrezione

San Pietro afferma che “è meglio soffrire operando il bene che facendo il male”. Ciò non significa che è bene soffrire, ma che, quando soffriamo per il bene, siamo in comunione con il Signore “il quale ha accettato di patire e di essere messo in croce per la nostra salvezza”. Quando allora anche noi, nelle situazioni più piccole o più grandi della nostra vita, accettiamo di soffrire per il bene, “è come se spargessimo attorno a noi semi di risurrezione, semi di vita e facessimo risplendere nell’oscurità la luce della Pasqua”. È per questo che l’Apostolo ci esorta a rispondere sempre “augurando il bene” (v. 9): “la benedizione non è una formalità, non è solo un segno di cortesia, ma è un dono grande che noi per primi abbiamo ricevuto e che abbiamo la possibilità di condividere con i fratelli. È l’annuncio dell’amore di Dio, un amore smisurato, che non si esaurisce, che non viene mai meno e che costituisce il vero fondamento della nostra speranza”.

 

Ogni volta che noi prendiamo la parte degli ultimi e degli emarginati o che non rispondiamo al male col male, ma perdonando, senza vendetta, “perdonando e benedicendo”, ogni volta che facciamo questo “noi risplendiamo come segni vivi e luminosi di speranza, diventando così strumento di consolazione e di pace, secondo il cuore di Dio”. “E così - ha concluso Francesco - andiamo avanti con la dolcezza, la mitezza, l’essere amabili e facendo del bene anche a quelli che non ci vogliono bene, o ci fanno del male. Avanti!”.

 

Il dolore per le vittime di Russia e Siria

Durante l’Udienza il Papa ha anche pregato per due tragici eventi: l’attentato nella metropolitana di San Pietroburgo, e la strage avvenuta in Siria. Riferendosi all’esplosione in Russia ha detto: “Mentre affido alla misericordia di Dio quanti sono tragicamente scomparsi, esprimo la mia spirituale vicinanza ai loro familiari e a tutti coloro che soffrono a causa di questo drammatico evento”.

 

Spostando il pensiero alla Siria ha aggiunto: “Esprimo la mia ferma deplorazione per l’inaccettabile strage avvenuta ieri nella provincia di Idlib, dove sono state uccise decine di persone inermi, tra cui tanti bambini. Prego per le vittime e i loro familiari e faccio appello alla coscienza di quanti hanno responsabilità politiche, a livello locale e internazionale, affinché cessi questa tragedia e si rechi sollievo a quella cara popolazione da troppo tempo stremata dalla guerra. Incoraggio, altresì, gli sforzi di chi, pur nell’insicurezza e nel disagio, si sforza di far giungere aiuto agli abitanti di quella regione”.

 

Nel corso dei saluti finali Francesco ha ricordato i familiari dei militari caduti nelle missioni internazionali di pace, accompagnati dall’Ordinario militare monsignor Santo Marcianò, poi si è rivolto ai rappresentanti della Comunità papa Giovanni XXIII esortandoli “a continuare l’opera in favore di ragazze sottratte alla prostituzione”. Il Papa ha anche invitato “i romani a partecipare alla Via Crucis per le donne crocifisse che avrà luogo venerdì 7 aprile alla Garbatella”. Infine un pensiero rivolto a San Vincenzo Ferrer, predicatore domenicano: “Cari giovani, alla sua scuola imparate a parlare con Dio e di Dio, evitando il parlare inutile e dannoso; cari ammalati, apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Cristo crocifisso; cari sposi novelli, ricorrete alla sua intercessione per assumere con generoso impegno per la vostra missione genitoriale”.

 

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