Il Papa: il presepe ci insegna a sperare

Da Betlemme, la periferia scelta da Gesù, Dio ci insegna a sperare. Un viaggio tra le figure del presepe ci porta a scoprire il mistero di Dio

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Il Papa: il presepe ci insegna a sperare

Non ci salviamo da soli: “Mettiamoci questo in testa: le nostre sicurezze non ci salveranno; l’unica sicurezza che ci salva è quella della speranza in Dio”. E’ chiaro e perentorio Papa Francesco all’Udienza Generale: “Chi confida nelle proprie sicurezze, soprattutto materiali, non attende la salvezza da Dio. Ci salva perché è forte e ci fa camminare nella vita con gioia, con la voglia di fare il bene, con la voglia di diventare felici per l’eternità”.

Sì, perché la speranza vera, quella “affidabile, visibile e comprensibile” viene da Dio. Egli entra nel mondo e ci dona la forza di camminare con Lui: “Dio cammina con noi in Gesù e camminare con Lui verso la pienezza della vita ci dà la forza di stare in maniera nuova nel presente, benché faticoso”. Sperare allora per il cristiano significa la certezza di essere in cammino con Cristo verso il Padre che ci attende. “La speranza - ha osservato Francesco - mai è ferma, la speranza sempre è in cammino e ci fa camminare. Questa speranza, che il Bambino di Betlemme ci dona, offre una meta, un destino buono al presente, la salvezza all’umanità, la beatitudine a chi si affida a Dio misericordioso”. San Paolo riassume tutto questo con l’espressione: “Nella speranza siamo stati salvati” (Rm 8,24). Cioè, camminando in questo mondo, con speranza, siamo salvi. “E qui - ha aggiunto - possiamo farci la domanda, ognuno di noi: io cammino con speranza o la mia vita interiore è ferma, chiusa? Il mio cuore è un cassetto chiuso o è un cassetto aperto alla speranza che mi fa camminare non da solo, con Gesù?”.

Qual’è questa speranza?

Ecco il senso del Natale: Dio adempie la promessa facendosi uomo; non abbandona il suo popolo, si avvicina fino a spogliarsi della sua divinità. In tal modo Dio dimostra la sua fedeltà e inaugura un Regno nuovo, che dona una nuova speranza all’umanità. E qual è questa speranza? La vita eterna.

Un aiuto dal presepe

Nelle case dei cristiani, durante il tempo di Avvento, viene preparato il presepe, secondo la tradizione che risale a san Francesco d’Assisi. Nella sua semplicità, il presepe trasmette speranza: “ognuno dei personaggi è immerso in questa atmosfera di speranza”.

Prima di tutto notiamo il luogo in cui nacque Gesù: Betlemme. Piccolo borgo della Giudea dove mille anni prima era nato Davide, il pastorello eletto da Dio come re d’Israele. “Betlemme non è una capitale, e per questo è preferita dalla provvidenza divina, che ama agire attraverso i piccoli e gli umili”. In quel luogo nasce il “figlio di Davide” tanto atteso, Gesù, nel quale la speranza di Dio e la speranza dell’uomo si incontrano.

Poi guardiamo Maria, Madre della speranza. Con il suo “sì” ha aperto a Dio la porta del nostro mondo: “il suo cuore di ragazza era pieno di speranza, tutta animata dalla fede; e così Dio l’ha prescelta e lei ha creduto alla sua parola”. Colei che per nove mesi è stata l’arca della nuova ed eterna Alleanza, nella grotta contempla il Bambino e vede in Lui l’amore di Dio, che viene a salvare il suo popolo e l’intera umanità.

Accanto a Maria c’è Giuseppe, discendente di Iesse e di Davide; anche lui ha creduto alle parole dell’angelo, e guardando Gesù nella mangiatoia, medita che quel Bambino viene dallo Spirito Santo, e che Dio stesso gli ha ordinato di chiamarlo così, “Gesù”. “In quel nome c’è la speranza per ogni uomo, perché mediante quel figlio di donna, Dio salverà l’umanità dalla morte e dal peccato. Per questo è importante guardare il presepe!”.

E nel presepe ci sono anche i pastori, che rappresentano gli umili e i poveri che aspettavano il Messia, il “conforto di Israele” (Lc 2,25) e la “redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,38). In quel Bambino vedono la realizzazione delle promesse e sperano che la salvezza di Dio giunga finalmente per ognuno di loro. I piccoli, i pastori, invece confidano in Dio, sperano in Lui e gioiscono quando riconoscono in quel Bambino il segno indicato dagli angeli (cfr Lc 2,12).

E proprio il coro degli angeli annuncia dall’alto il grande disegno che quel Bambino realizza: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14). La speranza cristiana si esprime nella lode e nel ringraziamento a Dio, che ha inaugurato il suo Regno di amore, di giustizia e di pace.

“In questi giorni - il Papa ha concluso così la sua Catechesi - contemplando il presepe, ci prepariamo al Natale del Signore. Sarà veramente una festa se accoglieremo Gesù, seme di speranza che Dio depone nei solchi della nostra storia personale e comunitaria. Ogni sì a Gesù che viene è un germoglio di speranza. Abbiamo fiducia in questo germoglio di speranza, in questo sì”: “Sì, Gesù, tu puoi salvarmi, tu puoi salvarmi”. “Buon Natale di speranza a tutti!”.

Un accorato appello

Al termine dell’Udienza Generale il Papa ha rivolto “nuovamente un accorato appello a tutti i congolesi” perché in questo delicato momento della loro storia “siano artefici di riconciliazione e di pace”. “Coloro che hanno responsabilità politiche ascoltino la voce della propria coscienza, sappiano vedere le crudeli sofferenze dei loro connazionali e abbiano a cuore il bene comune. Nell’assicurare il mio sostegno e il mio affetto all’amato popolo di quel Paese, invito tutti a lasciarsi guidare dalla luce del Redentore del mondo e prego affinché il Natale del Signore apra cammini di speranza”.

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