Il Papa, il martirio è altissima testimonianza cristiana

Il ricordo di Bergoglio per i fratelli della fede uccisi a causa della loro fede e la denuncia contro le condizioni inumane in cui vivono i profughi

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Il Papa, il martirio è altissima testimonianza cristiana

«I campi profughi sono come quelli di concentramento». E «la Chiesa è Chiesa se è Chiesa di martiri», quelli che danno la vita ma anche quelli che sono testimoni della fede. Sabato 22 aprile 2017, alla vigilia del viaggio in Egitto del 28-29 aprile – dove i cristiani copti sono massacrati dai criminali terroristi – e nel quarto anniversario del rapimento dei vescovi ortodossi di Aleppo in Siria, sempre a opera dei terroristi islamici, Papa Francesco si reca nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina a Roma per la liturgia in memoria dei «nuovi martiri» del XX e XXI secolo, promossa  dalla Comunità di Sant'Egidio. Per volere di San Giovanni Paolo II, dal Giubileo del 2000 questa chiesa è il «memoriale dei martiri e dei testimoni della fede del XX e XXI secolo» affidata alla Comunità di sant’Egidio. Il fondatore Andrea Riccardi saluta il Pontefice: «I martiri ci ricordano che come cristiani non siamo vincenti per il potere, le armi, il denaro, il consenso, e loro non sono eroi ma abitati da una sola forza, quella umile della fede e dell’amore; non rubano la vita ma la donano, come fece Gesù che non salvò se stesso e non fuggì da Gerusalemme».

TRE MARTIRI E TESTIMONI DI OGGI - Nella liturgia della Parola intervengono brevemente tre testimoni. Karl Schneider, figlio di Paul Schneider, pastore della Chiesa riformata di Germania, ucciso in un campo di sterminio nazista nel 1939: «Facciamo troppi compromessi, mio padre è rimasto fedele unicamente al Signore e alla fede nel campo di concentramento». Roselyne Hamel, sorella di Jacques, il sacerdote francese sgozzato dai terroristi islamici il 26 luglio 2016 nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray vicino a Rouan: «Possa il suo sacrificio portare frutti perché gli uomini e le donne del nostro tempo possano trovare la via per vivere insieme in pace». Francisco Hernandez, amico di William Quijano, ucciso nel 2009 da bande armate in Salvador: «Quale è stata la sua colpa? Sognare un mondo di pace. William non ha mai rinunciato a insegnare la pace, anzi il suo impegno ha spezzato la catena della violenza».

LA FORZA MITE XDELL’AMORE - All’omelia Papa Francesco ricorda: «Ci sono tanti martiri nascosti, quegli uomini e quelle donne fedeli alla forza mite dell’amore, alla voce dello Spirito Santo, che nella vita di ogni giorno cercano di aiutare i fratelli e di amare Dio senza riserve». Gesù che ha parlato sempre di amore e - sottolinea Francesco - «usa una parola forte, la parola “odio” quando avverte i suoi discepoli: “Non spaventatevi! Il mondo vi odierà; ma sappiate che prima di voi ha odiato me” (Giovanni 15,18). L’origine dell’odio è questa: poiché noi siamo salvati da Gesù, e il principe del mondo questo non lo vuole, egli ci odia e suscita la persecuzione, che continua fino ai nostri giorni. Quante comunità cristiane oggi sono oggetto di persecuzione».

UCCISA PERCHÉ PORTAVA IL CROCILISSO AL COLLO - Spiega: «Il martire può essere pensato come un eroe, ma il fondamentale del martire e del martirio è che è stato un “graziato”: c’è la grazia di Dio, non il coraggio, quello che ci fa martiri». La Chiesa ha bisogno «di questi martiri ma anche dei santi di tutti i giorni, sono il sangue vivo della Chiesa e la portano avanti». Procede a braccio ricordando un episodio durante la visita che fece il 16 aprile 2016 all’isola greca di Lesbo con il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo: «Vorrei  aggiungere un’icona in questa chiesa. Una donna, non so il nome, ma lei ci guarda dal cielo. Ero a Lesbo. Salutavo i rifugiati e ho trovato un uomo trentenne, con tre bambini. Mi ha detto: “Io sono musulmano. Mia moglie era cristiana. E nel nostro Paese sono venuti i terroristi, ci hanno guardato e ci hanno chiesto la religione e hanno visto lei con il Crocifisso, e hanno chiesto di buttare giù, questo. Lei non lo ha fatto e l’hanno sgozzata davanti a me. Ci amavamo tanto!”. Non so se quell’uomo è ancora a Lesbo o è riuscito ad andare altrove; non so se è stato capace di uscire da quel campo di concentramento, perché i campi di rifugiati – tanti – sono di concentramento, per la folla di gente che sono lasciati lì. E i popoli generosi che li accolgono devono portare avanti questo peso, perché gli accordi internazionali sembra che siano più importanti dei diritti umani. E quest’uomo non aveva rancore: lui, musulmano, aveva questa croce del dolore portata avanti senza rancore».

«C’È POSTO PER TUTTI I PROFUGHI» - Nella preghiera dei fedeli si ricordano «i martiri di ogni tempo e di ogni Chiesa: ci guidino verso l’unità» e si prega: «Sia disarmata la violenza blasfema di chi uccide in nome di Dio». Francesco nelle cappelle laterali della basilica accende una candela su ciascun altare recante le reliquie e le memorie dei testimoni della fede. Al termine saluta un gruppo di profughi arrivati in Italia attraverso i corridoi umanitari organizzati dalla Comunità di Sant' Egidio e dalla Tavola valdese. Saluta la gente che lo attende sul sagrato: «Pensiamo alla crudeltà che si accanisce sopra tanta gente; lo sfruttamento della gente che arriva in barconi e poi restano nei Paesi generosi come l’Italia e la Grecia che li accolgono, ma poi i trattati internazionali non lasciano. Se in Italia si accogliessero due migranti per municipio, ci sarebbe posto per tutti. Questa generosità del Sud, di Lampedusa, della Sicilia, di Lesbo possa contagiare un po’ il Nord. 

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