Il Papa al Pam: La miseria ha un volto

Le statistiche non ci saziano. Dietro ogni pratica c’è un volto umano che chiede aiuto. Perché la miseria ha un volto: quello di un bambino, di una famiglia, di giovani e anziani... 

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Le statistiche non ci saziano. Dietro ogni pratica c’è un volto umano che chiede aiuto. Perché la miseria ha un volto: quello di un bambino, di una famiglia, di giovani e anziani...

E’ la prima volta che un Pontefice visita il Pam, il Programma Alimentare Mondiale, l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di assistenza alimentare e la più grande organizzazione umanitaria del mondo.

Prima di prendere la parola il Santo Padre si è trattenuto in preghiera davanti al “Muro della memoria” che ricorda i membri del Pam caduti in missione, ed ha deposto due cesti di rose bianche, gialle e rosa.

Conservare la memoria

E’ proprio la memoria che il Papa ha raccomandato di conservare per continuare a lottare, con lo stesso vigore per il tanto desiderato obiettivo della “fame zero”. “Quei nomi incisi all’ingresso di questa Casa - ha commentato - sono un segno eloquente del fatto che il Pam lungi dall’essere una struttura anonima e formale, costituisce un valido strumento della comunità internazionale per intraprendere attività sempre più vigorose ed efficaci. La credibilità di una istituzione non si basa sulle sue dichiarazioni, ma sulle azioni compiute dai suoi membri. Si fonda sulle sue testimonianze”.

La tecnologia che ci avvicina e ci allontana

“Nel mondo interconnesso e iper-comunicativo in cui viviamo, le distanze geografiche sembrano abbreviarsi. Abbiamo la possibilità di prendere contatto quasi simultaneo con quanto sta accadendo dall’altra parte del pianeta”. Per mezzo delle tecnologie della comunicazione, ci avviciniamo a molte situazioni dolorose e “tali mezzi possono aiutare (e hanno aiutato) a mobilitare gesti di compassione e di solidarietà”. Anche se, paradossalmente, questa apparente vicinanza creata dall’informazione sembra incrinarsi ogni giorno di più.

“L’eccesso di informazione di cui disponiamo genera gradualmente - perdonatemi il neologismo - la naturalizzazione della miseria. Vale a dire, a poco a poco, diventiamo immuni alle tragedie degli altri e le consideriamo come qualcosa di naturale”.

Sono così tante le immagini che ci raggiungono che “noi vediamo il dolore, ma non lo tocchiamo”, “sentiamo il pianto, ma non lo consoliamo”, “vediamo la sete ma non la saziamo”. In questo modo, molte vite diventano parte di una notizia che in poco tempo sarà sostituita da un’altra. E, mentre cambiano le notizie, “il dolore, la fame e la sete non cambiano, rimangono”.

 

 

La miseria ha un volto

Oggi non possiamo considerarci soddisfatti solo per il fatto di conoscere la situazione di molti nostri fratelli: “Le statistiche non ci saziano”. Non basta elaborare lunghe riflessioni o sprofondarci in interminabili discussioni su di esse, ripetendo continuamente argomenti già conosciuti da tutti. È necessario “de-naturalizzare” la miseria e smettere di considerarla come un dato della realtà tra i tanti. “Perché? Perché la miseria ha un volto. Ha il volto di un bambino, ha il volto di una famiglia, ha il volto di giovani e anziani”. “Ha il volto della mancanza di opportunità e di lavoro di tante persone, ha il volto delle migrazioni forzate, delle case abbandonate o distrutte”.

Non possiamo “naturalizzare” la fame di tante persone; non ci è lecito dire che la loro situazione è frutto di un destino cieco di fronte al quale non possiamo fare nulla. E “quando la miseria cessa di avere un volto”, possiamo cadere nella tentazione di iniziare a parlare e a discutere su “la fame”, “l’alimentazione”, “la violenza”, lasciando da parte il soggetto concreto, reale, che oggi ancora bussa alle nostre porte. “Quando mancano i volti e le storie, le vite cominciano a diventare cifre e così un po’ alla volta corriamo il rischio di burocratizzare il dolore degli altri”.

“De-naturalizzare” la miseria

“Quando sono stato alla FAO - ha ricordato il Pontefice -  in occasione della IIª Conferenza Internazionale sulla nutrizione, ho detto che una delle forti incoerenze che eravamo invitati a considerare era il fatto che esiste cibo sufficiente per tutti, ma non tutti possono mangiare, mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l’uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi”.

Sia chiaro: “la mancanza di alimenti non è qualcosa di naturale, non è un dato né ovvio né evidente”. Che oggi, in pieno secolo ventunesimo, molte persone patiscano questo flagello, è dovuto “ad una egoista e cattiva distribuzione delle risorse, a una mercantilizzazione degli alimenti”.

“La terra - ha proseguito - maltrattata e sfruttata, in molte parti del mondo continua a darci i suoi frutti, continua ad offrirci il meglio di sé stessa; i volti affamati ci ricordano che abbiamo stravolto i suoi fini. Un dono, che ha finalità universale, lo abbiamo reso un privilegio di pochi”.

Il consumismo “che pervade le nostre società” ci ha indotti “ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo”, al quale a volte ormai “non siamo più capaci di dare il giusto valore, che va oltre i meri parametri economici”. “Tuttavia ci farà bene ricordare che il cibo che si spreca è come se lo si rubasse dalla mensa del povero, di colui che ha fame”.

“De-burocratizzare” la fame

“Dobbiamo dirlo con sincerità - ha commentato - ci sono questioni che sono burocratizzate”. Ci sono azioni che sono come “imbottigliate”. “L’instabilità mondiale che viviamo è ben conosciuta da tutti”. “Negli ultimi tempi sono le guerre e le minacce di conflitti ciò che predomina nei nostri interessi e dibattiti”. E così, di fronte alla diversa gamma di conflitti esistenti, sembra che “le armi abbiano acquistato una preponderanza inusitata, in modo tale da accantonare totalmente altre maniere di risolvere le questioni oggetto di contrasto”.

Ci troviamo così davanti a uno strano e paradossale fenomeno: mentre gli aiuti e i piani di sviluppo sono ostacolati da intricate e incomprensibili decisioni politiche, da forvianti visioni ideologiche o da insormontabili barriere doganali, “le armi no; non importa la loro provenienza, esse circolano con una spavalda e quasi assoluta libertà in tante parti del mondo”. “E in questo modo, a nutrirsi sono le guerre e non le persone”. “In alcuni casi, la fame stessa viene usata come arma di guerra”.

E le vittime si moltiplicano, perché il numero delle persone che muoiono di fame e sfinimento si aggiunge a quello dei combattenti che muoiono sul campo di battaglia e a quello dei molti civili caduti negli scontri e negli attentati. Siamo pienamente coscienti di questo “però lasciamo che la nostra coscienza si anestetizzi, e così la rendiamo insensibile, forse con parole che la giustificano, ma non si può di fronte a tante tragedie, è l’anestesia più grave”.

 

 

Un incoraggiamento

Il Programma Alimentare Mondiale è “un valido esempio di come si possa lavorare in tutto il mondo per sradicare la fame attraverso una migliore assegnazione delle risorse umane e materiali, rafforzando la comunità locale”. “A questo proposito - è l’invito di Francesco - vi incoraggio ad andare avanti. Non lasciatevi vincere dalla fatica, che è molta, né permettete che le difficoltà vi facciano desistere. Credete in quello che fate e continuate a mettervi entusiasmo, che è il modo in cui il seme della generosità può germinare con forza. Concedetevi il lusso di sognare. Abbiamo bisogno di sognatori che portino avanti questi progetti”.

“La Chiesa Cattolica fedele alla sua missione, desidera lavorare di concerto con tutte le iniziative che lottano per la salvaguardia della dignità delle persone, specialmente di quelle che sono ferite nei loro diritti”. Perché diventi realtà questa urgente priorità della “fame zero”, “vi assicuro tutto il nostro sostegno e appoggio al fine di favorire tutti gli sforzi intrapresi”.

“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere”. In queste parole si trova una delle massime del cristianesimo. Una espressione che, al di là delle confessioni religiose e delle convinzioni, potrebbe essere offerta come regola d’oro per i nostri popoli. E come per un popolo, così pure per l’intera umanità. L’umanità gioca il proprio futuro nella capacità di farsi carico della fame e della sete dei suoi fratelli. In questa capacità di soccorrere l’affamato e l’assetato possiamo misurare il polso della nostra umanità”.

Il discorso al personale del Pam

Al personale del Pam il Papa ha rivolto un discorso tutto a braccio: “Il PAM - ha detto - ha posto un’alta missione nelle vostre mani. Il risultato della essa dipende in gran parte dal non lasciarsi vincere dall’inerzia e mettere in tutto capacità d’iniziativa, immaginazione e professionalità, al fine di cercare ogni giorno vie nuove ed efficaci per sconfiggere la malnutrizione e la fame che soffrono molti esseri umani in diverse parti del mondo. Sono loro che stanno chiedendo che diamo loro la nostra attenzione”.

Ai lavoratori ha poi raccomandato di non lasciarsi soffocare dai dossier e si è augurato che essi possano scoprire “che in ogni carta c’è una storia particolare, spesso dolorosa e delicata”.

“Il segreto è quello di vedere dietro ogni pratica un volto umano che chiede aiuto. Ascoltare il grido del povero vi permetterà di non lasciarvi incasellare in freddi formulari. Tutto è poco al fine di sconfiggere un fenomeno così terribile come la fame”.

“Vi chiedo - ha concluso - di pregare per me, ognuno dentro di sé, o almeno che quando pensate a me lo facciate in positivo. Ne ho molto bisogno. Grazie”.

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