Il Papa ai vescovi italiani: "Siate meno timidi contro la corruzione"

All'Assemblea della Cei il discorso di papa Francesco ai vescovi italiani che li invita a lasciare ai laici l'assunzione di responsabilità in campo sociale e politico. L'intervento del presidente il cardinale Bagnasco sulla centralità della persona e della famiglia contro la deriva nichilista ed economicista

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Il Papa ai vescovi italiani: "Siate meno timidi contro la corruzione"

«Denunciate con forza la corruzione; non siate astratti nei vostri documenti pastorali; rafforzate il ruolo dei laici perché siano responsabili senza bisogno di un “vescovo-pilota”o di un “monsignore-pilota”». Papa Francesco indica le principali piste di lavoro ai vescovi italiani riuniti in Vaticano nella 68ª assemblea Cei (18-21 maggio 2015), incentrata sull’esortazione apostolica «Evangelii gaudium» (24 novembre 2013) che si può considerare – con la bolla dell’Anno Santo della misericordia, «Misericordiae vultus» (11 aprile 2015) – il manifesto-programma del pontificato bergogliano. Parla all’inizio dell’assemblea – altrettanto accadrà al convegno di Firenze – e c’è stato il taglio di una giornata nelle assemblee (4 giorni anziché 5) e nei Consiglio permanenti (3 giorni anziché 4). 

Sono aspetti secondari, ma indicativi di uno stile che Francesco vuole più incisivo. I pastori devono essere più coraggiosi nella denuncia della corruzione: «La sensibilità ecclesiale comporta di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e nello sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire, senza alcuna vergogna, famiglie, pensionati, onesti lavoratori, comunità cristiane, scartando i giovani, privati di ogni speranza sul futuro, ed emarginando i deboli e i bisognosi. Sensibilità ecclesiale che, come buoni pastori, ci fa uscire verso il popolo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono l’identità e la dignità umana».

Delinea il ritratto di un pastore «nemico giurato di teorie e sofismi quando si mette a servizio della gente che gli è affidata, sostenuto da laici responsabili e capaci e non circondato da automi che fanno solo quello che dice il parroco. E soprattutto unito e concorde con i confratelli, con i sacerdoti e con il Papa».

Questo deve fare il vescovo e può riuscirvi solo a condizione di «avere un cuore che batte in sintonia con quello di Cristo, avere i suoi sentimenti: umiltà, compassione, misericordia, concretezza, saggezza». Sentimenti che riassume nella «sensibilità ecclesiale». Il Pontefice chiede concretezza ai vescovi e dà l’esempio con indicazioni nette, come nel caso dei documenti: anche nel modo di concepirli, scriverli e comunicarli si dimostra «sensibilità ecclesiale». Perciò «non deve prevalere l'aspetto teoretico-dottrinale astratto, quasi che i nostri orientamenti non siano destinati al nostro popolo o al nostro Paese, ma soltanto ad alcuni studiosi e specialisti. Dobbiamo tradurli in proposte concrete e comprensibili».

Lega la sensibilità ecclesiale al tema dei laici. Il loro ruolo «è indispensabile» e va rafforzato perché siano «disposti ad assumersi le responsabilità che loro competono». Poi la stoccata: «I laici che hanno una formazione autentica non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli: politico, sociale, economico, legislativo. Hanno invece tutti la necessità del vescovo pastore!».

La collegialità episcopale è un altro punto fermo della riforma bergogliana: la collegialità rivela «concretamente» la presenza di una sensibilità ecclesiale e vuol dire comunione tra i vescovi, tra le diocesi «ricche, materialmente e vocazionalmente, e quelle in difficoltà, fra le periferie e il centro, tra le Conferenze e i vescovi con il successore di Pietro». Dopo due anni di governo della Chiesa e di incontri con gli episcopati in «visita ad limina» - in questi mesi tocca ai vescovi africani - «si nota in alcune parti del mondo un diffuso indebolimento della collegialità, sia nella determinazione dei piani pastorali, sia nella condivisione degli impegni programmatici ed economico-finanziari. Manca l'abitudine di verificare la recezione di programmi e l'attuazione dei progetti». Porta un esempio che si attaglia benissimo alla Cei: «Si organizza un convegno o un evento che, mettendo in evidenza le solite voci, narcotizza le comunità, omologa scelte, opinioni e persone».

Altro esempio: l’invecchiamento di Istituti e Congregazioni religiose è «un problema mondiale»: perché non si provvede «ad accorparli prima che sia tardi?». Lo stesso vale per il numero delle diocesi italiane, troppo alto rispetto alle esigenze pastorali e agli altri Paesi. Il momento storico spesso «ci vede accerchiati da notizie sconfortanti, locali e internazionali» ma «la nostra vocazione cristiana ed episcopale è andare contro corrente e di essere testimoni gioiosi del Cristo risorto».

Dopo il discorso del Papa e il dialogo (segreto) con i vescovi, l’intervento del presidente cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, necessariamente più breve: 7 cartelle rispetto alle 14-15 del passato. Ecco gli appuntamenti principali: l’ostensione della Sindone nel Duomo di Torino culminerà il 21-22 giugno con la visita del Papa e la conclusione il 24 giugno; il 23 maggio, vigilia di Pentecoste, grande preghiera per i cristiani perseguitati nel giorno in cui a San Salvador è beatificato il vescovo martire Oscar Arnulfo Romero; l’Anno della vita consacrata che finirà il 22 novembre 2015; il Sinodo sulla famiglia (4-25 ottobre 2015); il Convegno ecclesiale di Firenze (9-13 novembre 2015); il Giubileo della misericordia (8 dicembre 2015-20 novembre 2016).

Tra i problemi e le piaghe sociali d’Italia «la preoccupazione fondamentale resta l’occupazione»: i disoccupati non diminuiscono e i giovani non entrano nel mondo del lavoro; il gioco d’azzardo travolge giovani e famiglie; ragazzi di 11-17 anni sono «facile preda dell’alcol». Bagnasco esprime «viva gratitudine» a Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, giunto a conclusione del mandato quinquennale - dal 2010 quando era vescovo di Vicenza - di vicepresidente Cei per il Nord «al quale ha adempiuto con generosa dedizione». L’assemblea elegge il successore per il Nord, i membri e i presidenti delle 12 commissioni episcopali.

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