Francesco: l’Europa ritrova speranza quando si apre al futuro

ll Papa ha ricevuto in udienza nella Sala Regia i 27 Capi di Stato e di governo dell'Unione europea e le loro rispettive delegazioni. 

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Francesco: l’Europa ritrova speranza quando si apre al futuro

Armonia e radici cristiane: sono i presupposti per l’Europa, se vuole avere un futuro degno del suo passato. Nel suo discorso di mezz’ora – pronunciato nella Sala Regia e rivolto ai 27 capi di Stato e di governo dell’Unione europea, accompagnati dalle loro delegazioni, in occasione del 60°anniversario della firma dei Trattati di Roma, Papa Francesco non ha fatto un viaggio di ricordi, ma ha indicato le risposte per il futuro nei quattro pilastri sui quali i padri fondatori hanno edificato il nostro continente:

“La centralità dell’uomo, una solidarietà viva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro”.

Da qui l’invito a chi governa a “discernere le strade della speranza – questo è il vostro compito: discernere le strade della speranza – , identificare i percorsi concreti per far sì che i passi significativi fin qui compiuti non abbiano a disperdersi, ma siano pegno di un cammino lungo e fruttuoso”.

Due le citazioni-simbolo, mutuate dai suoi predecessori: san Giovanni Paolo II, sull’identità cristiana dell’Europa come fondamento dell’autentica laicità, e Paolo VI. “Lo sviluppo è il nuovo nome della pace”, ha ripetuto 50 anni dopo la Populorum progressio. L’Europa – la consegna finale ai leader europei – compie 60 anni, ma può essere ancora giovane, se saprà mettersi in discussione e lavorare per un “nuovo umanesimo europeo”.

«Sogno un’Europa madre di nuove vite, che non consideri “delitto” un migrante, che non scarti poveri, anziani e malati, che non pensi ai suoi cittadini come a numeri. Un’Europa famiglia di popoli». Alla vigilia del 60° della firma, nella «Sala degli Orazi e dei Curiazi» in Campidoglio, dei «Trattati di Roma» (1957-25 marzo-2017), Papa Francesco venerdì  24 marzo 2017 alle 18 incontra in Vaticano i capi di Stato e di governo dell’Unione europea.

Furono quattro cristiani a gettare le fondamenta dell’Europa unita: il pensatore francese Emmanuel Mounier, propugnatore del personalismo; il presidente del Consiglio italiano Alcide De Gasperi; il ministro degli Esteri francese Robert Schuman; il cancelliere tedesco Konrad Adenauer. Senza dimenticare il «laico» Altiero Spinelli, convinto federailista.

Il 25 novembre 2014 Papa Francesco va a Strasburgo a parlare ai 751 deputati dell’Europarlamento dei 28 Paesi dell’Unione europea (27 con l’uscita della Gran Bretagna) e ai rappresentanti del Consiglio d’Europa, composto da 47 Stati: i 28 dell’Ue – di cui 10 diedero vita nel 1949 al Consiglio d’Europa – e 37 che hanno aderito dopo. Due Stati (Bielorussia e Vaticano) sono geograficamente europei ma non fanno parte del Consiglio e 5 (Armenia, Azerbaigian, Cipro, Georgia, Turchia) non sono geograficamente europei ma fanno parte del Consiglio.

Il 6 maggio 2016 Francesco parla del Vecchio Continente alle massime autorità giunte a consegnargli il «Premio Carlo Magno»: Martin Shultz, presidente del Parlamento europeo; Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo; Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea; Mario Draghi, presidente della Banca europea; Federica Mogherini, alto rappresentante della politica estera: Sulla visione di Robert Schumann, Alcide De Gasperi e Konrad Adenauer, innesta il suo «sogno» di un’Europa nobile e lungimirante, motore di civiltà degno della sua storia, e non l’«Europa nonna», ripiegata su politiche egoistiche e di corto respiro.

«Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?». Valori che appaiono «spenti» perché ognuno «guarda al proprio utile chiuso in recinti particolari». Solo una «trasfusione della memoria che ci libera da quella tendenza di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana. I padri fondatori seppero cercare strade alternative e innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra; ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano violenza e distruzione».

De Gasperi diceva: «I politici guardano alle elezioni, io alle future generazioni». Bergoglio spinge a fondo il bisturi e usa tre verbi: «Integrare, dialogare, generare».

Integrare – Si tratta «di promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo di fare le cose e di costruire la storia. Solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti possano sviluppare la loro vita con dignità. Non basta l’inserimento geografico delle persone». La sfida è l’integrazione culturale. No alle visioni riduzionistiche «che generano viltà, ristrettezza e brutalità, invece di grandezza, ricchezza e bellezza» e no alle «colonizzazioni ideologiche».

Dialogare - Parola che dobbiamo ripetere «fino a stancarci: la pace è duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. Questa cultura del dialogo aiuterà a inculcare nei giovani un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui li stiamo abituando. Urge realizzare coalizioni non solo militari o economiche ma culturali, educative, filosofiche, religiose».

Generare - «Abbiamo bisogno di creare posti di lavoro dignitoso e ben remunerato per i giovani. Ciò richiede nuovi modelli economici più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società. Questo ci chiede il passaggio da un’economia liquida a un’economia sociale, da un’economia che punta al reddito e al profitto, alla speculazione e al prestito a interesse a un’economia sociale che investa sulle persone».

Nelle considerazioni finali Bergoglio sogna una nuova Europa: «Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede, sogno un nuovo umanesimo europeo. Sogno un’Europa giovane, capace di essere ancora madre, che abbia vita perché rispetta la vita e offre speranze di vita. Sogno un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo. Sogno un’Europa che ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto. Sogno un’Europa in cui essere migrante non è delitto bensì un invito a un maggior impegno.

Sogno un’Europa dove i giovani respirano l’aria pulita dell’onestà, amano la bellezza della cultura e di una vita semplice, non inquinata dagli infiniti bisogni del consumismo; dove sposarsi e avere figli sono una responsabilità e una gioia, non un problema. Sogno un’Europa delle famiglie, con politiche incentrate sui volti più che sui numeri, sulle nascite dei figli più che sull’aumento dei beni. Sogno un’Europa che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti. Sogno un’Europa di cui non si possa dire che il suo impegno per i diritti umani è stato la sua ultima utopia».

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