Dal Cairo l’inno di speranza di Papa Francesco

“Quando l’uomo tocca il fondo del fallimento e dell’incapacità, allora Dio gli tende la mano per trasformare la sua notte in alba”

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Dal Cairo l’inno di speranza di Papa Francesco

Con otto milioni di fedeli copti, il dieci per cento della popolazione, l’Egitto è il paese che ospita la più vasta comunità cristiana del Medio Oriente. Qui al Cairo, nella chiesa di San Pietro, le colonne martoriate dalle schegge dell’ordigno che causò la morte di 29 fedeli ed un numero altissimo di feriti, hanno accolto la preghiera di Papa Francesco che, a braccio in spagnolo, ha rinnovato il suo appello alla pace ed all’unità: “Signore Gesù, ti chiedo di benedirci. Benedici il mio fratello il Papa Tawadros II, benedici tutti i fratelli Vescovi qui, benedici tutti i miei fratelli cristiani. Portaci lungo il cammino della carità, del lavorare insieme, verso la mensa comune dell’Eucarestia”. Alla cerimonia, oltre al Patriarca Tawadros, erano presenti il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, il patriarca copto cattolico Ibrahim Isaac Sidrak e il patriarca cattolico siriano di Antiochia, Gregorios III Laham.

 

In Egitto per costruire ponti di pace

 

Il Santo Padre è giunto in Egitto come “testimone di pace” e la pace si costruisce con il dialogo: “L’unica alternativa alla civiltà dell’incontro - ha dichiarato alla Conferenza internazionale per la pace all’Università di al-Azhar - “è l’inciviltà dello scontro. E per contrastare veramente la barbarie di chi soffia sull’odio e incita alla violenza, occorre accompagnare e far maturare generazioni che rispondano alla logica incendiaria del male con la paziente crescita del bene”, “che trasformino ogni giorno l’aria inquinata dell’odio nell’ossigeno della fraternità”.

 

Cristiani e musulmani, ha ricordato Francesco citando San Giovanni Paolo II, vivono “sotto il sole di un unico Dio misericordioso… In questo senso possiamo dunque chiamarci gli uni gli altri fratelli e sorelle perché senza Dio la vita dell’uomo sarebbe come il cielo senza il sole”. Proprio in Egitto, dove già San Francesco d’Assisi incontrò il sultano Malik al Kamil, si può percorre una via di “rinnovata fraternità in nome di Dio”.

 

La Santa Messa al Cairo

 

E nella mattinata di sabato, il Papa ha celebrato la Santa Messa nell’Air Defence Stadium del Cairo. Sono presenti non soltanto i cattolici, ma anche copto ortodossi, cristiani di altre confessioni e musulmani. L’omelia di Francesco è un inno alla speranza, che non è un miraggio, non è un sentimento “incosciente”, ma è la destinazione di un viaggio che partendo dalla morte, passa attraverso la risurrezione, per poi trionfare nella vita.

 

Morte

 

Commentando il Vangelo della III Domenica di Pasqua, il Santo Padre ha descritto l’atteggiamento dei discepoli ad Emmaus, che “tornano alla loro vita quotidiana, carichi di delusione e disperazione”. Il Maestro è morto “e quindi è inutile sperare”. Erano disorientati, illusi e delusi. Il loro cammino è un “tornare indietro”; è un “allontanarsi dalla dolorosa esperienza del Crocifisso”. La crisi della Croce, anzi lo “scandalo” e la “stoltezza” della Croce (cfr 1 Cor 1,18; 2,2), sembra aver seppellito ogni loro speranza. “Colui sul quale hanno costruito la loro esistenza è morto, sconfitto, portando con sé nella tomba ogni loro aspirazione”.

 

“Non potevano credere che il Maestro e il Salvatore che aveva risuscitato i morti e guarito gli ammalati potesse finire appeso alla croce della vergogna. Non potevano capire perché Dio Onnipotente non l’avesse salvato da una morte così ignobile. La croce di Cristo era la croce delle loro idee su Dio; la morte di Cristo era una morte di ciò che immaginavano fosse Dio. Erano loro, infatti, i morti nel sepolcro della limitatezza della loro comprensione”.

 

Quante volte l’uomo si “auto-paralizza”, rifiutando di superare la propria idea di Dio, di un dio creato a immagine e somiglianza dell’uomo! Quante volte si dispera, rifiutando di credere che “l’onnipotenza di Dio” non è onnipotenza di forza, di autorità, ma è soltanto “onnipotenza di amore, di perdono e di vita!”.

 

Risurrezione

 

I discepoli riconobbero Gesù “nello spezzare il pane”, nell’Eucaristia. “Se noi non ci lasciamo spezzare il velo che offusca i nostri occhi - ha proseguito Francesco - se non ci lasciamo spezzare l’indurimento del nostro cuore e dei nostri pregiudizi, non potremo mai riconoscere il volto di Dio”.

 

Ed è proprio “nell’oscurità della notte più buia”, nella disperazione più sconvolgente, che Gesù si avvicina a loro e cammina sulla loro via perché possano scoprire che Lui è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6). Gesù trasforma la loro disperazione in vita, perché quando svanisce la speranza umana incomincia a brillare quella divina: “Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio” (Lc 18,27; cfr 1,37). “Quando l’uomo tocca il fondo del fallimento e dell’incapacità, quando si spoglia dell’illusione di essere il migliore, di essere autosufficiente, di essere il centro del mondo, allora Dio gli tende la mano per trasformare la sua notte in alba, la sua afflizione in gioia, la sua morte in risurrezione, il suo cammino all’indietro in ritorno a Gerusalemme, cioè in ritorno alla vita e alla vittoria della Croce” (cfr Eb 11,34).

 

I due discepoli, dopo aver incontrato il Risorto, ritornano pieni di gioia, di fiducia e di entusiasmo, pronti alla testimonianza. Il Risorto “li ha fatti risorgere dalla tomba della loro incredulità e afflizione”. “Chi non passa attraverso l’esperienza della Croce - ha aggiunto il Francesco - fino alla Verità della Risurrezione si autocondanna alla disperazione. Infatti, noi non possiamo incontrare Dio senza crocifiggere prima le nostre idee limitate di un dio che rispecchia la nostra comprensione dell’onnipotenza e del potere”.

 

Vita

 

L’incontro con Gesù risorto ha trasformato la vita di quei due discepoli, perché “incontrare il Risorto trasforma ogni vita e rende feconda qualsiasi sterilità”. L’esperienza dei discepoli di Emmaus ci insegna che non serve “riempire i luoghi di culto se i nostri cuori sono svuotati del timore di Dio e della Sua presenza”; non serve pregare “se la nostra preghiera rivolta a Dio non si trasforma in amore rivolto al fratello”; non serve “tanta religiosità se non è animata da tanta fede e da tanta carità”; non serve curare l’apparenza, perché Dio guarda l’anima e il cuore (cfr 1 Sam 16,7) e detesta l’ipocrisia (cfr Lc 11,37-54; At 5,3-4). “Per Dio - ha aggiunto Francesco - è meglio non credere che essere un falso credente, un ipocrita!”.

 

La fede vera è quella che ci rende “più caritatevoli, più misericordiosi, più onesti e più umani”; è quella che “anima i cuori per portarli ad amare tutti gratuitamente”, senza distinzione e senza preferenze; è quella che ci porta a vedere nell’altro “non un nemico da sconfiggere, ma un fratello da amare, da servire e da aiutare”; è quella che ci porta a diffondere, a difendere e a vivere la cultura dell’incontro, del dialogo, del rispetto e della fratellanza; ci porta al coraggio di perdonare chi ci offende, di “dare una mano a chi è caduto”; a “vestire chi è nudo”, a “sfamare l’affamato”, a “visitare il carcerato”, ad “aiutare l’orfano”, a “dar da bere all’assetato”, a “soccorrere l’anziano e il bisognoso” (cfr Mt 25,31-45).

 

Tornare alla vita quotidiana

 

“Ora - ha concluso il Papa - come i discepoli di Emmaus, tornate alla vostra Gerusalemme, cioè alla vostra vita quotidiana, alle vostre famiglie, al vostro lavoro e alla vostra cara patria pieni di gioia, di coraggio e di fede. Non abbiate paura di aprire il vostro cuore alla luce del Risorto e lasciate che Lui trasformi la vostra incertezza in forza positiva per voi e per gli altri. Non abbiate paura di amare tutti, amici e nemici, perché nell’amore vissuto sta la forza e il tesoro del credente!”.

 

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