Bergoglio e il Sudamerica, una lezione per tutti

Papa Francesco bilancio viaggio Ecuador, Bolivia, Paraguay 5-13 luglio 2015

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Bergoglio e il Sudamerica, una lezione per tutti

«La Chiesa latino americana ha una grande ricchezza: è una Chiesa giovane. È giovane, con una certa freschezza, anche con alcune informalità, non è tanto formale...». Papa Francesco è felice del viaggio che lo ha portato da domenica 5 a lunedì 13 luglio in tre Paesi latinoamericani: Ecuador, Bolivia e Paraguay. E traccia un bilancio della presenza e del ruolo di una Chiesa giovane in un continente giovane: «Ho voluto dare animo a questa Chiesa giovane, e credo che questa Chiesa può dare tanto a noi. La ricchezza di questo popolo e di questa Chiesa viva, è una Chiesa di vita», anche se «con tanti problemi». Non bisogna «avere paura di questa gioventù, di questa freschezza della Chiesa e può essere anche una Chiesa indisciplinata: con il tempo si disciplinerà, ma ci dà tanto vigore».

CHIESA POCO FORMALE -  Una Chiesa, talvolta «indisciplinata», ma viva. Più che a «dare animo» ai Paesi visitati, il Vescovo di Roma è andato quasi a  ricaricare le batterie in una serie di incontri «poco formali» e talvolta un po' «indisciplinati», come lo sono quasi sempre gli incontri di frontiera, quando si rischia, uscendo dalle chiese e dalle sacrestie, di incorrere in qualche incidente. Tornando, non c’è stata la consueta udienza generale del mercoledì: sono sospese in luglio, come gli altri appuntamenti a eccezione dell’Angelus domenicale. Le udienze generali  riprenderanno il 5 agosto.

CAMBIARE IL SISTEMA CHE UCCIDE – Uno dei messaggi più forti del viaggio è l’appello ai popoli e ai governanti della Terra a cambiare un «sistema dominato dal denaro che schiaccia l’uomo e che non regge più»: è necessario «un vero cambiamento» perché il tempo sta scadendo, un cambiamento che parta dai poveri e dalla gente.La Chiesasostiene questo cambiamento perché «Dio ascolta il grido del suo popolo» e perché «la nostra fede è rivoluzionaria», non rimane inerte di fronte al dolore dell’uomo. Realizzare un'alternativa «a questa economia che uccide» è possibile.

COSTRUIRE PONTI E NON MURI – Ragiona Papa Francesco: non esiste una ricetta per abbordare questo cambiamento, ma un metodo esiste, ed è quello del dialogo, in sostanza «costruire ponti e non muri», cioè «un incontro che sappia riconoscere che la diversità non solo è buona, ma è necessaria. L’uniformità ci annulla, ci rende automi. La ricchezza della vita sta nella diversità». Ma, attenzione, «dialogare non è negoziare» ma «è cercare il bene comune per tutti», accettando anche il conflitto e «cercando di risolverlo con la prospettiva di raggiungere un’unità che non è uniformità, ma unità nella diversità». È lo stesso ragionamento che, con Papa Benedetto e con Papa Francesco,la Chiesacattolica fa nel vitale settore del dialogo ecumenico: non viaggia verso l’uniformità e, tanto meno, verso l’inglobamento, cioèla Chiesacattolica che ingloba le altre Chiese (ortodossa, evangelica, protestante, ecc.) ma viaggia verso «l’unità nella diversità».

COLONIZZAZIONI CHE DIVENTANO DITTATURE - Il Papa gesuita ancora una volta mette in guardia Popoli, Paesi e Chiese dalle nuove colonizzazioni economiche e ideologiche, anche sul fronte della famiglia, che vogliono uniformare tutto e imporre le proprie regole sui più deboli, e denuncia le vecchie e nuove ideologie: «Le ideologie finiscono male, non servono, hanno una relazione o incompleta o malata o cattiva con il popolo. Le ideologie non si fanno carico del popolo». Come quelle del ventesimo secolo, che sono diventate «dittature» nazifascista o comunista. Ancora una volta Papa Francesco inventa una frase a effetto: «Le ideologie pensano per il popolo ma non lasciano pensare il popolo». Spinge i cristiani a partecipare al cambiamento: non può esistere un cristiano indifferente, abituato all’ingiustizia, dal cuore chiuso e «blindato», che crede di ascoltare Gesù ma passa vicino alla gente sofferente senza fermarsi e senza guardare: «La fede ci fa prossimi alla vita degli altri, suscita l’impegno con gli altri. Una fede che non si fa solidarietà è morta ed è falsa, è una fede senza Dio, una fede senza fratelli, una fede senza Gesù». Il cristiano è uno che «ha imparato ad accogliere» il povero, il debole, chi non la pensa come lui; non è migliore degli altri «ma è stato toccato dall’amore misericordioso e risanante di Gesù».

IL CROCIFISSO SU FALCE E MARTELLO – Papa Bergoglio porta con sé a Roma il crocifisso a forma di falce e martello donatogli dal presidente della Bolivia, Evo Morales. L’8 luglio 2015, nella tappa aLa Paz, il Papa argentino rende omaggio al confratello gesuita padre Luis Espinal Camps, assassinato nel 1980. In Italia è quasi sconosciuto, mala Bolivialo considera uno dei padri fondatori della cinematografia nazionale, in quanto usò i mezzi di comunicazione per dare voce al popolo che aveva imparato ad amare. Era l’epoca in cui i presidenti americani Jimmy Carter e Ronald Reagan – e il loro braccio armato in America Latina, l’onnipotente Cia - vedevano comunisti da tutte le parti, anche chi comunista non era. Padre Espinal fu ucciso nel 1980 durante la dittatura militare del generale Luis García Meza perché – dice il Papa - predicava il Vangelo della libertà, un Vangelo che dà fastidio ancora oggi. Ricorda chela Chiesaha rifiutato la teologia della liberazione secondo l’analisi marxista. Ma padre Espinal «lottava in buona fede. Il Cristo lo porto con me» perché va oltre ogni ideologia e guarda alla persona, si carica di tutti i nostri peccati per salvare l’uomo.

IL PAPA GUARDA ALLA GENTE – Intervistato da «Radio Vaticana», della quale è direttore, padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, confida: «Mi ha colpito la presenza della gente e il rapporto del Papa con la gente. La gente vuol dire le persone: la “gente” è una parola non bella, perché è un collettivo che sembra depersonalizzare. Avevamo un numero sconfinato di persone presenti in tutti i momenti di questo viaggio: la presenza lungo le strade è la cosa che mi ha colpito di più per la sua dimensione e anche per il suo stile, per la sua atmosfera, per la sua caratteristica di intensità e non solo emotiva, ma direi anche di fede. Il Papa queste cose le ha percepite perfettamente, probabilmente le prevedeva e le conosceva già da prima e molto meglio di noi. Però, credo che l’intensità, la dimensione di questa presenza abbia in qualche modo sorpreso anche lui e ha sorpreso un po’ tutti. Quindi, mi ha colpito il fatto della mobilitazione umana e spirituale dei popoli dei Paesi visitati e la sintonia profonda: il pastore che conosce le pecore, che sta in mezzo a esse, che ha l’odore delle pecore. Ecco, questo era Papa Francesco in questi Paesi dell’America Latina».

Pier Giuseppe Accornero  

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