Bergoglio: "Il servizio all'uomo non è mai ideologico perché non serve idee, ma persone"

Nelle Americhe da Cuba agli Stati Uniti il Vicario di Cristo annuncia la Parola di Dio e dice basta guerre e violenze. La messa con una folla stermianata e l'incontro con Fidel Castro.

Parole chiave: Papa (648), Cuba (13), viaggio (29), castro (6)
Bergoglio: "Il servizio all'uomo non è mai ideologico perché non serve idee, ma persone"

«Il servizio non è mai ideologico, non serve idee, ma persone». Una folla immensa partecipa alla Messa di Papa Francesco nella plaza de la Revolución a La Habana,  luogo simbolo della rivoluzione castrista e teatro degli interminabili comizi di Fidel Castro. I cubani non si sono lasciati spaventare dal fatto che, per aver il biglietto di accesso, era necessario dare nome e cognome alla polizia.

Accanto alla presidente dell’Argentina Cristina Fernandez c’è Raúl Castro, capo dello Stato e del governo cubano. Lo aveva promesso il 10 maggio 2015 quando aveva incontrato Bergoglio in Vaticano: «Sono rimasto molto colpito dalla saggezza e modestia di Papa Francesco. Leggo tutti i suoi discorsi. Se il Papa continuerà così, anche io che sono comunista tornerò alla Chiesa cattolica e ricomincerò a pregare. Quando il Papa visiterà Cuba assisterò a tutte le Messe che celebrerà».

Stavolta l’altare non si trova di fronte alla grande effige del «Che» Guevara, che resta illuminata tutte la notte, ma sul lato opposto di fronte alla grande immagine del Gesù della Divina Misericordia. Ernesto Guevara de la Serna, più noto come «Che Guevara» o semplicemente «el Che», era argentino come Bergoglio, nato nel 1928 a Rosario da una famiglio borghese, che fece il rivoluzionario a Cuba e in America Latina, e ucciso il 9 ottobre 1967 a La Higuera in Bolivia.

Accanto alle gigantografie del «Che» ci sono quelle di Gesù misericordioso, di Papa Francesco, di Madre Teresa di Calcutta. Il Pontefice parla della logica dell'amore di Gesù che sconvolge le nostre logiche di grandezza e di potere. Nel Vangelo (Matteo 18,1-5.10) Gesù esalta i piccoli e quelli che servono, in risposta all’imbarazzante discussione e interrogativo: «In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: “Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?”» (Matteo 18,1). Gesù sconvolge tutti, discepoli e ascoltatori, con la logica dell’amore che esalta i più piccoli. E dice: «Lontano da ogni tipo di elitarismo, l’orizzonte di Gesù non è per pochi privilegiati capaci di giungere alla “conoscenza desiderata” o a distinti livelli di spiritualità. L’orizzonte di Gesù è sempre una proposta per la vita quotidiana anche nella “nostra” isola. È il grande paradosso di Gesù che dice: “Chi vuole essere grande, serva gli altri, e non si serva degli altri!”».

Servire significa – per il Papa - «avere cura di coloro che sono fragili nelle nostre famiglie, nella nostra società, nel nostro popolo. Sono i volti sofferenti, indifesi e afflitti che Gesù propone di guardare e invita concretamente ad amare. Amore che si concretizza in azioni e decisioni. Esiste una forma di esercizio del servizio che ha come interesse il beneficiare i “miei” in nome del “nostro”. Un servizio che  lascia sempre fuori i “tuoi”. Occorre non cadere nelle tentazioni del “servizio che si serve” e farsi carico gli uni degli altri per amore. Questo farci carico per amore non punta verso un atteggiamento di servilismo, ma al contrario, pone al centro il fratello».

Il popolo di Cuba – conclude il Papa – «ha delle ferite, come ogni popolo, ma sa stare con le braccia aperte», senza trascurare nessuno.  All’Angelus dice una frase bellissima: «Bisogna riconoscere Gesù nell’uomo sfinito sulla strada». E lancia un accorato appello per la Colombia, nella consapevolezza «dell’importanza cruciale del momento presente in cui, con sforzo rinnovato e mossi dalla speranza, i suoi figli stanno cercando di costruire una società pacifica». Proprio a Cuba si svolgono i colloqui di pace tra governo colombiano e guerriglieri delle Farc-Ep (Fuerzas
armadas revolucionarias de Colombia-Ejército del pueblo), con la mediazione di Raúl Castro. Dice il Papa argentino: «Che il sangue versato da migliaia di innocenti durante tanti decenni di conflitto armato, unito a quello di Gesù Cristo sulla Croce, sostenga tutti gli sforzi che si stanno facendo, anche in questa bella Isola, per una definitiva riconciliazione. E così la lunga notte del dolore e della violenza, con la volontà di tutti i colombiani, si possa trasformare in un giorno senza tramonto di concordia, giustizia, fraternità e amore, nel rispetto delle istituzioni e del diritto nazionale e internazionale, perché la pace sia duratura. Per favore, non possiamo permetterci un altro fallimento in questo cammino di pace e riconciliazione».

Come è avvenuto dopo le visite papali del 1998 e del 2012, anche questa volta la Chiesa cattolica attende dal governo dell'isola caraibica segnali positivi e passi concreti, sulla scia del disgelo con Washington propiziato dalla diplomazia vaticana e che ha visto Francesco fare da garante. Il viaggio di Giovanni Paolo II nel 1998 fece ritornare il Natale festa civile, quello di Benedetto XVI nel 2012 portò al riconoscimento pubblico del Venerdì santo. Questa volta i vescovi del Paese sperano in una maggiore disponibilità di spazi, di mezzi di trasporto e anche di accesso ai mezzi di comunicazione.

Tra l’altro il cardinale Ortega y Alamino, arcivescovo di San Cristobal de La Habana dal 20 novembre 1981 e primate di Cuba da 35 anni, è l’unico arcivescovo al mondo che ha ricevuto in visita tre Papi: Giovanni Paolo II nel 1998, Benedetto XVI nel 2012, Francesco il 19-20 settembre 2015. 

Proprio il cardinale caraibico il 23 marzo 2013 alla Messa crismale in Cattedrale a La Habana, rese pubblico - con il con­senso del Papa - il testo in cui il cardinale Jorge Mario Bergoglio sintetizzò, su richiesta del confratello cubano, i punti essenziali del  discorso pronunciato a braccio durante le riunioni del Collegio cardinalizio impegnato a eleggere il successore di Benedetto XVI. Colpì tutti gli elettori «il discorso magistrale, perspicace, coinvolgente e vero» del cardinale gesuita argentino  che intervenne alla penultima congregazione generale anticipando concetti portanti del suo pontificato come «la Chiesa verso le periferie, una Chiesa non autoreferenziale, le riforme urgenti della Chiesa». Un intervento che destò grande impressione nel Collegio cardinalizio, pronunciato il 7 marzo, cinque giorni prima dell’inizio del Conclave, dal quale Bergoglio – di famiglia subalpina, figlio di un astigiano-torinese e di una ligure-piemontese – uscì eletto 266° Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale. 

Tutti i diritti riservati

Attualità

archivio notizie

16/02/2018

La biblioteca personale di Carlo Donat-Cattin

La riunificazione di migliaia di volumi per continuare a studiare, vita, pensiero e azione politica del leader democratico cristiano in vista del centenario della nascita

16/02/2018

Meditazione sul Crocifisso

La riflessione dello psichiatra e psicoterapeuta per il Venerdì Santo 2016. Perchè interrogarsi fino in fondo

16/02/2018

Chiesa e mass media, un'alleanza necessaria

Parte il Master di Giornalismo voluto da mons. Nosiglia per operatori pastorali e della comunicazione 

16/02/2018

Milioni di volti

Negli sguardi dei più disperati e poveri l'amore di Gesù Cristo