Papa Francesco e don Luigi Ciotti, una grande sintonia
Il costante colloquio tra il prete di strada torinese e il Papa argentino
Venerdì 21 marzo 2014 entrano in chiesa, mano nella mano, Papa Francesco e don Luigi Ciotti. In quel gesto, delicato e disarmante, c’è tutta la vicinanza della Chiesa alle famiglie riunite per ricordare i loro cari, vittime innocenti delle mafie: le parole del Pontefice sono un balsamo per le ferite del cuore di padri, madri, fratelli e sorelle, figli e nipoti, e una mazzata si spera salutare per i mafiosi: «Il vostro potere è insanguinato, per favore, ve lo chiedo in ginocchio, convertitevi e non fate più il male. Uomini e donne di mafia cambiate vita, convertitevi, fermate di fare il male. Noi preghiamo per voi: convertitevi, ve lo chiedo in ginocchio, è per il vostro bene. Questa vita che vivete non vi darà felicità e gioia. Potere e denaro che avete da tanti affari sporchi, dai crimini mafiosi sono denaro insanguinato, denaro e potere che non potrai portarlo nell’altra vita. Perciò convertitevi, c'è tempo per non finire nell'inferno, che è quello che vi aspetta se non cambiate strada».
Sono trascorsi tre anni da quando Francesco levava questo vibrante appello nella chiesa di San Gregorio VII a Roma nell’incontro promosso da don Ciotti, fondatore dell’Associazione Libera. Come fece Paolo VI con le Brigate Rosse nel 1978 che avevano rapito Aldo Moro. Disse: «Vi supplico in ginocchio». Così Francesco: «Ve lo chiedo in ginocchio». Intervistato dalla «Radio Vaticana» don Ciotti ricorda quello che disse Francesco un paio di settimane fa alla Direzione Antimafia: «Bisogna favorire una coscienza di moralità e legalità».
Il prete torinese constata che nella Chiesa «molte cose stanno cambiando. Restano ancora delle sacche. Vediamo delle cose che ci sconcertano, ma sta crescendo la consapevolezza e il senso di responsabilità. Abbiamo dei vescovi più coraggiosi, più forti, più capaci. Sono dei bei segnali. In passato c’erano contraddizioni, ma c’era anche gente che ci ha sempre creduto e ci ha anche lasciato la vita: don Peppino Diana, don Pino Puglisi».
E non può dimenticare che nel 1900 don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare italiano, disse, con larghissimo anticipo sugli eventi: «La mafia ha i piedi in Sicilia, ma forse ha la testa a Roma. Risalirà sempre più forte e più crudele verso il Nord, fino ad andare oltre le Alpi». Il fondatore del Gruppo Abele e di Libera aggiunge: «Abbiamo l’obbligo e la responsabilità di far emergere il bello che c’è e le cose positive, valorizzarle, sostenerle, incoraggiarle. È la dimensione dell’educare; comincia con il dare una mano ai ragazzi a distinguere per non confondere, ad accogliere il positivo che c’è cominciando dalle piccole cose: la casa, la scuola, il territorio, la parrocchia. E invece siamo bombardati sempre dalle negatività. Dobbiamo illuminare il positivo».
Ricorda l’esempio di mons. Franco Oliva, vescovo nella Locride che ordinò a un suo prete «Restituisci i soldi» ricevuti da un colluso con la mafia. E, di fronte ai beni confiscati alle mafie, che nessuno vuole per paura di ritorsioni e vendette, il presidente di Libera afferma: «Li voglio prendere perché servano ad aprire attività per i giovani, i bambini, le famiglie. Dobbiamo lottare contro questa corruzione, che ci impoverisce tutti: è un cancro che ci mangia».
Condanna quel parroco barese di Grumo Appula che chiamò a raccolta con un manifesto la popolazione per una Messa a suffragio di Rocco Sollecito, boss della ’ndrangheta ucciso in Canada. Il 28 dicembre 2016, intervistato da «Vaticaninsider», don Ciotti afferma: «Si possono celebrare la Messa in forma privata ma non è accettabile, anzi è scandaloso, invitare una comunità a ricordare chi è responsabile di soprusi. Perché la violenza mai è compatibile con il Vangelo. I famigliari hanno tutto il diritto di pregare per i congiunti».
E non c’entra niente la misericordia. Non è questione di misericordia, ma di conversione. Proprio Papa Francesco ribadisce spesso: «Più grande è il peccato, maggiore deve essere l’amore per coloro che si convertono». Spiega don Ciotti: «Ha messo cioè l’accento sulla conversione, prodigio del cuore e della coscienza capace di trasformare il male in bene. Non risulta che nel caso barese ci siano stati segni di conversione». Nella storia della Chiesa, dal ‘900 a oggi – aggiunge il sacerdote - «non si contano i preti minacciati dalle mafie. Don Puglisi e don Diana sono stati assassinati».
Don Puglisi venne ucciso da un giovane assassino su ordine dei fratelli Graviano e di Leoluca Bagarella il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno. Vent’anni dopo il 25 maggio 2013 aPalermo il martire siciliano è stato proclamato beato. Dagli atti della Procura di Palermo risulta – come ha raccontato Francesco Marino Mannoia, boss divenuto collaboratore di giustizia - «gli uomini che hanno sparato a don Puglisi hanno detto che questo è il movente per cui lo hanno ucciso: “Prendeva i ragazzi dalla strada, ci martellava con la parola, ci rompeva le scatole”».
Conclude don Ciotti: «Oggi la Chiesa è consapevole, tranne eccezioni, che fedeltà al Vangelo significa anche “interferire”, parlare chiaro, dire no alle mafie e a chi alle mafie presta il fianco, di conseguenza impegnarsi per la libertà delle persone, calpestate da mafiosi e corrotti. Chi denuncia non è più solo, a maggior ragione dopo le parole dei Papi». Nella Valle dei templi di Agrigento il 9 maggio 1993 Giovanni Paolo II gridò ai mafiosi: «Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!». E Francesco ricorda che «il perdono di Dio per i nostri peccati non conosce confini» ma con la stessa forza ci ricorda che certi peccati pongono automaticamente di fuori dalla comunione con Dio e con la Chiesa. Di qui la scomunica automatica. Come ricordò Papa Bergoglio il 21 giugno 2014, nella Messa nella Piana di Sibari, in Calabria: «La mafia è adorazione del male e disprezzo del bene comune. Coloro che nella loro vita percorrono la strada del male, come i mafiosi, non sono in comunione con Dio, sono scomunicati».
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