Padre Giulio Albanese: "Una povertà che chiede giustizia"

Intervista al missionario comboniano direttore di "Popoli e missioni", ospite dell'ultimo incontro dell'ottobre missionario

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Padre Giulio Albanese: "Una povertà che chiede giustizia"

Una Chiesa è povera, o non è. Non dobbiamo dividerci tra guelfi e ghibellini, ma Papa Bergoglio ha scelto un nome, Francesco, che è anche un programma».

«Nel mondo ci sono otto super miliardari che possiedono la stessa ricchezza della metà della popolazione del pianeta (Rapporto Oxfam 2017). E parlo di 3,6 miliardi di persone. Vi sembra normale? È una sperequazione che grida giustizia».

«Il terrorismo islamico cerca lo scontro di civiltà e la guerra di religione. Noi non dobbiamo cadere nella sua trappola. Non esistono guerre in nome di Dio».

Padre Giulio Albanese, comboniano, giornalista, direttore della rivista «Popoli e Missione», una vita nelle periferie del mondo, va sempre dritto al cuore dei problemi: quando affronta le ragioni storiche della povertà, quando analizza l’attuale complessa situazione dell’economia mondiale, quando si sofferma sulle cause della migrazione. Nel suo ultimo libro, «Poveri noi!» (Edizioni Messaggero di Padova) si è fatto portavoce del grido dei poveri: la sua risposta, scrive dice il card. Kasper nella prefazione, «non è quella della expertise economica, ma quella del Vangelo vissuto dal Poverello di Assisi, proclamata dal Concilio Vaticano II e oggi attualizzata da Papa Francesco», che vuole una Chiesa povera per i poveri. Lo abbiamo incontrato a Torino, ospite dei Giovedì dell’ottobre missionario, promossi dalla Pastorale missionaria della diocesi e ospitati nel teatro della parrocchia Santa Rita da Cascia.

Padre Albanese, in Italia ci sono quasi 5 milioni di poveri, soprattutto famiglie con bambini, donne, giovani coppie. Numeri, ha detto mons. Galantino, segretario generale della Cei, che devono «smuovere le coscienze, ma anche l’agenda politica di chi decide»…

Viviamo in una società globalizzata, in cui imperversa la cultura dello scarto. L’attuale sistema economico finanziario continua a favorire l’accumulo di risorse nelle mani di una élite super privilegiata ai danni dei più poveri. Così cresce l’esclusione sociale. Tutto questo trova la sua radice nella finanziarizzazione dell’economia mondiale, fondata sull’azzardo morale. Un esempio? L’import-export di beni e servizi è stimato intorno ai 17 mila miliardi di dollari l’anno, mentre il mercato valutario gira intorno ai 5 mila miliardi al giorno. Questo vuol dire che nel mondo circola più denaro in quattro giorni sui circuiti finanziari, che in un anno nell’economia reale. I risultati si vedono…

Nel libro parla di «economia immorale», che genera poveri a tutte le latitudini: nel Sud del mondo, ma anche nel nostro Nord...

Dal dopoguerra non avevamo mai conosciuto in Europa e, in particolare, nel nostro Paese una stagione recessiva così lunga in cui si arrivasse a mettere in discussione radicalmente le politiche sociali, determinando un impoverimento della maggioranza della popolazione. La crisi ha colpito molte economie nei loro sistemi produttivi e sociali. La ricchezza si è concentrata nelle mani di pochi, mentre i cittadini, le aziende e i governi sono stati oggetto di continue pressioni per far fronte ai propri debiti. Bisogna avere il coraggio di denunciare che l’attuale sistema sta portando al declino dell’umanità.

Questo è ancora più vero in Africa, un continente che ha smesso di crescere (nel 2015 il Pil galoppava in media intorno al 6% l’anno, oggi è fermo all’1,3) ed è tornato vulnerabile. I governi riusciranno a onorare i debiti?

Il debito aggregato africano è una vera spada di Damocle su molti paesi. Il Ghana è stato il primo ad affacciarsi sui mercati internazionali, emettendo obbligazioni pari a 750 milioni di dollari. Seguito da Senegal, Nigeria, Zambia e Ruanda. L’accesso ai fondi d’investimento, messi a disposizione dall’alta finanza, soprattutto anglosassone, sono serviti per sostenere attività imprenditoriali straniere, ma anche per foraggiare le oligarchie africane, attraversate da una corruzione sfrenata. Risultato: i programmi di investimento non sono stati associati a piani di sviluppo nazionali. A ciò si è aggiunta una speculazione sull’eccessivo indebitamento dei paesi africani, che ne ha determinato la svalutazione delle monete locali. Per ripagare i debiti, molti paesi, a cominciare dal Ghana, sono costretti a svendere i propri asset strategici: acqua, petrolio, elettricità, telefonia, cacao, diamanti… Un affare colossale per cinesi, americani ed europei. Ma il paradosso è che in dieci anni si è passati dai cosiddetti creditori ufficiali (come governi, Fondo monetario internazionale e Banca africana per lo sviluppo) alle fonti private di credito (Banche, fondi di investimento, fondi di private equity). È un circolo vizioso: prima si azzera il debito dei Paesi africani, ma poi li fa accedere a nuove linee di finanziamento che provengono dalle Borse europee, quindi prestiti che sono legati alle speculazioni di Borsa...

Lei scrive che il grido dei poveri deve interrogare tutti, ma soprattutto i cristiani. E auspica come necessario su questi temi una seria riflessione dal punto di vista della teologia morale. Cosa intende?

Non si può ridurre tutto all’economia, il denaro non può prendere il sopravvento sulla dignità della persona creata a immagine e somiglianza di Dio. Ha scritto il gesuita Haughey: «Noi occidentali leggiamo il Vangelo come se non avessimo soldi e usiamo i soldi come se non conoscessimo il Vangelo». Di fronte a una umanità dolente, la Chiesa non può essere neutrale. È chiamata a svolgere un ruolo profetico nella lotta contro la povertà, facendosi lei stessa povera. Papa Francesco, nel suo magistero, ci ricorda che la povertà, non è solo il fine, ma il mezzo stesso, la via stessa della riforma che egli intende attuare nella Chiesa.

La povertà come mysterium magnum della Chiesa?

Bergoglio rilancia una questione che emerse nel Vaticano II con l’intervento in aula del card. Lercaro: la povertà è il mysterium magnum della Chiesa. I documenti conciliari contengono diverse volte il termine poveri (42) e povertà (21), ma nel corpus dottrinale del Vaticano II la prospettiva della cosiddetta ecclesia pauperum riguarda prevalentemente la pastorale e la morale, e non tanto il mysterium magnum così come indicato dall’arcivescovo di Bologna. Papa Bergoglio in quattro anni di pontificato e soprattutto nella sua enciclica programmatica Evangelii gaudium riapre questo capitolo della povertà in riferimento alla questione teologica, come era nelle intenzioni di Lercaro.

La Chiesa costruisce ponti, non muri. Quale il rapporto con l’islam? E cosa pensa dell’Isis che, battuto in Siria e Iraq, sta spostando la sua sfera di influenza in Africa?

Papa Francesco getta ponti e abbatte muri. Lo ha fatto nel suo viaggio in Africa e lo ha sempre ricordato negli incontri con i capi religiosi musulmani e cristiani. In Africa assistiamo a un franchising del terrore. Il 23 ottobre, a Mogadiscio, capitale della Somalia, un attentato nel cuore della città ha ucciso 358 persone. Una strage firmata dalle milizie islamiste di al-Shabaab, il gruppo associato ad Al-Qaeda che vuole abbattere il governo sostenuto dagli Usa e dagli Stati dell’Unione africana per imporre una radicale interpretazione dell’islam. Ma sui media occidentali è uscita solo una piccola notizia... I cristiani stanno pagando un prezzo altissimo, è vero. Però il terrorismo di matrice religiosa fa più vittime tra i musulmani.

Perché allora colpiscono l’Occidente?

La verità è che i terroristi islamici cercano lo scontro di civiltà. Noi non dobbiamo cadere nella loro trappola. Non esistono guerre in nome di Dio. Non dobbiamo dare dignità religiosa alla loro ideologia: sono criminali che andrebbero giudicati dal Tribunale penale internazionale. Colpiscono l’Occidente per due motivi: perché identificano il cristianesimo con l’Occidente, salvo poi dimenticare che Gesù Cristo era nato proprio in Medio Oriente; sanno che colpendo obiettivi cristiani bucano lo schermo e hanno risonanza a livello mondiale. Una strage in una moschea o in un villaggio del Medio Oriente o dell’Africa non hanno lo stesso rilievo mediatico delle stragi di Parigi o Bruxelles. Nell’epoca della globalizzazione i media svolgono un ruolo cruciale, per questo bisogna sostenere l’informazione libera. 

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