Ho incontrato papa Francesco

Il francescano padre Marco Malagola, amico di Giorgio La Pira, in udienza a Roma 

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Ho incontrato papa Francesco

E’ stato l’incontro più emozionante della mia vita l’incontro con Papa Francesco. Il mio sogno di vederlo si è finalmente avverato. Ormai novantenne, potrò chiudere gli occhi sereno e felice. L’udienza è avvenuta nello studio dell’Aula Paolo VI. Lui, seduto su una modesta poltrona, io seduto sulla stessa normale poltrona. Il Papa mi guardava, mi guardava sorridendo. Come va? Cosa mi racconta? Padre Francesco cominciai. Oggi è il giorno più bello e sarà il giorno più ricordato della mia vita.  Prima di tutto vengo a dirle il mio vivissimo grazie a nome della gente che riscopre in lei la gioia di sentirsi cristiana e amata. Vengo da una famiglia che ha dato tre figli al Signore nella vita religiosa. Mia Mamma era la Mamma dei poveri. Mio Papà scopriva alle volte le proprie camicie e propri vestiti sulla pelle della povera gente.

La mia vita è stata arricchita di grazi a su grazia a cominciare dagli anni trascorsi in Segreteria di Stato vicino a Papa Giovanni XXIII.  E il Papa. Mi parli, mi racconti di Papa Giovanni che è tuttora l’ispiratore del mio umile servizio. E io comincio a raccontare di quella sera che il suo segretario mons. Capovilla mi pregò di chiedere in archivio un certo documento per il Pontefice. Dopo un po’ lo stesso segretario mi chiede se il documento fosse stato trovato. Rispondo di no, ma le assicuro che il documento si troverà. Ancora pochi minuti e il Papa in persona mi telefona: “Padre, con quel suo tipico accento bergamasco, ma quel documento, “va o viene”. Io rispondo: “Santità, mi risulta che l’archivista lo sta cercando disperatamente, ma vedrà che il documento salterà fuori. E lui, cos’ha detto? “Sì, rispondo io, lo si sta cercando disperatamente. Ah no figliolo, ma non sai che le parole “disperato, disperazione, disperatamente” non si trovano nel vocabolario  cristiano?

E poi ancora su Papa Giovanni: “cosa diceva, cosa diceva”. Diceva che la bontà la si percepisce e la si comunica con uno spontaneo permanente sorriso sul volto. Diceva che “Dio è tutto, io niente”. Pensi Papa Francesco che nel museo dell’ateismo a Mosca, visitato in continuazione dalle scolaresche russe per l’indottrinamento ateistico, in una delle stanze del museo, con mio grande e incredibile sorpresa e stupore vidi la fotografia di Giovanni XXIII con sotto la scritta in russo “Un uomo di pace”. Evidentemente il Kremlino non aveva dimenticato la mediazione di Papa Giovanni per risolvere la crisi di Cuba dell’ottobre 1962. E aggiungevo: Quel Papa “Era la bontà fatta persona”.

Desiderava che gli raccontassi della mia esperienza missionaria in Papua Nuova Guinea e come mi fossi avvicinato a quelle primitive tribù ancorate all’età della pietra.  Cominciai a raccontargli che quella mia decennale esperienza missionaria fu la più arricchente della mia vita.

Non potevo non raccontargli questa bella storia. Un giorno, mentre ritornavo dalla visita ad alcuni dei miei lontani villaggi, esausto e sfinito da una lunga camminata percorsa in un mare di fango, procedevo barcollando dalla stanchezza. Non ne potevo più. A un tratto, ecco apparire nel mezzo della giungla, un bambinello sui 4-5 anni, mezzo nudo, solo. Sembrava mi aspettasse. Impossibile un così piccolo bambino nel fitto di quella giungla. Mi guardò e mi supplicò, in gergo: “Lascia che ti asciughi il volto”. Si tolse lo straccetto che gli cingeva i fianchi e mi asciugò il volto. Una carezza! Ma non finì lì. Poi aggiunse: “Lascia che ti aiuti a portare questa cosa”. Lasciai fare. Rivedo le sue manine pizzicare alle spalle il mio zaino. Ma era piccolo, non ce l’avrebbe fatta e lo zaino era pesante. Infatti non ce la fece. Poi scomparve. Miracolo? Non lo so, ma gli angeli esistono. Non ho più dimenticato quel piccolo misterioso bambino, i suoi teneri gesti di pietà; proprio così, come la Veronica che ha asciugato il volto di Gesù. Non so dimenticare quel mio piccolo cireneo guineano. 

Uno tra i più commoventi momenti della mia missionaria fu quando un capo tribù mi si avvicinò all’orecchio sussurò: “Parlami del tuo Dio”.  Papa Francesco sembrava estremamente interessato di conoscere la religione della mia gente. Per essi nessuno nasce ateo. Gli raccontai di aver scoperto addirittura una verosimile liturgia sacramentale nella loro religione naturale animista, un vero e proprio culto liturgico che si avvicinava al significato dei nostri sacramenti: al battesimo, che lava e purifica, alla cresima che conferma e fortifica, al  matrimonio che unisce e consolida. Un vero parallelismo liturgico tra fede naturale e fede cristiana.

Forse sembrerà strano quando dico che il Battesimo, oltre che essere il sacramento per eccellenza del cristiano, è pure un rito che la natura stessa dell’uomo postula e richiede. In missione vivendo tra popolazioni primitive dove nessun messaggio religioso era giunto loro dall’esterno, è stata una grande sorpresa per me quando, un giorno, entrando in un villaggio, ho assistito a una commovente celebrazione battesimale. E quando ne chiesi la spiegazione al capo tribù mi fu data questa risposta: “I nostri antenati hanno avvertito che nel lontano passato qualcosa si era rotto, che un patto e un’alleanza si erano frantumati e così hanno pensato che fosse naturale che  ogni creatura che si affacciava alla vita dovesse essere lavata e purificata nell’acqua. Battesimo naturale! Ho pensato al cosiddetto peccato originale di cui ci parla la Chiesa. Quante lezioni da quei primitivi della Papua Nuova Guinea! Ricordo la scena che vidi all’entrare in un villaggio. Il capo tribù faceva scorrere gocce d’acqua sul corpo di ogni piccolo neonato sostenuto dalle braccia della mamma. Quelle gocce d’acqua erano ritenute purificatrici e liberatorie.  I primitivi non possono fare a meno di dare a tutti i componenti dell’esistenza un profondo senso di sacrale religiosità. I cannibali non l’hanno mangiato? mi ha chiesto il Papa. Quando gli parlai che la mia comunità di Torino è molto attiva e impegnata nel servizio dei poveri, oltre un centinaio, con una mensa quotidiana. Bravi francescani mi disse. E ancora. Sa che mio papà ha alloggiato per qualche tempo nei pressi della stazione di Porta Susa?  

Gli parlai e consegnai a Papa Francesco la documentazione di un incontro da me organizzato su Giorgio La Pira. Ah! disse il Papa” Quanto abbiamo bisogno di persone come La Pira”.

Papa Francesco, Papa dell’ascolto, non finiva mai di guardarmi ed ascoltarmi. Il colloquio si andava snodando in un clima di familiare ed affettuosa semplicità. Non ricordo esattamente ma credo che ci siamo dati anche del Tu. Che dirvi? L’emozione è stata tanta. Ho scoperto un cuore di Mamma prima ancora di un cuore di Padre. A volte mi scappava di chiamarlo “Papa Francesco”, altre volte “Padre Francesco”. Alla fine Papa Francesco mi abbracciò. Mi benedisse. Si concluse così il più bell’incontro della mia vita.  Entrambi ci salutamm con un bel Ciao.

 

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