Giuseppe Girotti beato, ricordo e venerazione

Settant'anni fa la tragica morte del padre domenicano a Dachau. Salito agli altari l'anno scorso

Giuseppe Girotti beato, ricordo e venerazione

Le monache del monastero domenicano «Beata Margherita di Savoia» di Alba nell’estate 1944 attendevano padre Giuseppe Girotti che doveva predicare un corso di esercizi spirituali, ma il padre non arrivò mai.

«Aiutava gli ebrei». L’accusa decreta l’eliminazione 70 anni fa dell’internato n. 113355, uno dei 18 sacerdoti italiani, 9 diocesani e 9 religiosi, tra i 5.545 preti morti nei lager. Un anno fa, sabato 26 aprile 2014, nel Duomo di Alba (Cuneo) la Chiesa ha proclamato beato questo domenicano «martire della fede e della carità». 

La sua è una famiglia stimata e povera di Alba, dove nasce il 19 luglio 1905. «Il più assiduo chierichetto. Era intelligentissimo» testimonia il filosofo e teologo albese Natale Bussi, compagno di servizio all’altare e di giochi in una banda di ragazzini. Gli nasce in cuore un desiderio: «Voglio farmi prete». Un giorno capita in Duomo un predicatore domenicano. Giuseppe lo ascolta estasiato e gli rivela il suo desiderio. «Perché non vieni da noi?». «Vengo subito. Vado a dirlo alla mamma». Nel 1918 a 13 anni entra nella Scuola apostolica dei Domenicani a Chieri (Torino). Vivace e allegro, brillante negli studi, latino e greco diventano le sue lingue materne. Il 30 settembre 1922 veste l’abito bianco e il 3 agosto 1930 a Chieri è ordinato sacerdote. Innamorato della Bibbia, nel 1932-35 si specializza all’École Biblique di Gerusalemme, fondata nel 1890 dal biblista domenicano Joseph-Marie Lagrange, e nel 1934 consegue il baccelierato davanti alla Pontificia Commissione Bibli­ca di Roma.

Tornato a Torino, insegna Sacra Scrittura, Ebraico ed Esegesi biblica, nello Studium (Seminario teologico) domenicano di Santa Maria delle Rose ed esercita il ministero tra i gli ospiti dei «Poveri vecchi», la grandiosa casa di riposo in viale Stupinigi (oggi corso Unione Sovietica). Insegna Biblica anche agli studenti dell’Istituto Missioni della Consolata, allievi che «mi danno una soddisfazione immensa. Bevo­no avidamente e assaporano gaudiosamente quanto ammannisce loro l’insegnamento». Un missionario ex allievo: «Nei miei passaggi in convento mi chiedeva sempre denaro per i suoi poveri». Un altro: «Era un pozzo di scienza, al servizio della Sacra Scrittura, di cui si presentava come divulgatore. Il suo dire era piano, la sua scienza agguerrita e quando si lasciava prendere dall’ebraico e dal greco volava troppo alto… Ma scendeva tosto, quasi se ne scusava: ”Queste cose non fanno per voi che dovete andare in Africa ad annunciare il Vangelo”. E riprendeva la Parola di Dio come cibo, amore e vita».

Frutto degli studi i commenti alla Sacra Scrittura che continuano l’opera del domenicano Marco Sales, autore del primo commento della Bibbia in italiano. Nel 1938 Girotti pubblica il VI volume dell’Antico Testamento dedicato ai Libri Sapienziali (Proverbi, Ecclesia­ste, Cantico dei Cantici, Ecclesiastico) dedicando «il primo lavoruccio» alla mamma. Nel 1941 esce il VII volume: introdu­zione ai Profeti e a Isaia. Doveva seguire Gere­mia ma l’VIII volume verrà pubblicato nel 1955, decimo anniver­sario della morte.

Personalità indipendente e anticonformista, si contrappone alla protervia dei gerarchi fascisti, che lo tengono d’occhio. Trasferito al convento di San Domenico in centro a Torino, soccorre gli ebrei perseguitati: «Tutto quello che faccio è solo per la carità». Dopo l’8 settembre 1943, con l’occupazione nazista, la situazione degli ebrei, già perseguitati dalle leggi razziali del 1938, si fa ancora più drammatica. Chi aiuta gli ebrei viene ar­restato e deportato. L'avvocato Salvatore Fubini, salvato da Girotti, dichiara: «La sua cella in convento divenne simbolo di sicura salvezza per coloro che a lui si rivol­gevano. E tra i maggiormente beneficati furono numerosissimi israeliti, i quali senza il suo soccorso avrebbero trovato certa morte nei campi di elimina­zione. Si immolò per il prossimo e per un idea­le di libertà».

È tradito da un miserabile che aveva aiutato e cade in mano alla polizia fascista. Il 29 agosto 1944 inizia una terribile via crucis. Dachau è il primo campo di concentramento aperto dai nazisti. All’ingresso c’era la famosa e macabra scritta «Arbeit macht frei. Il lavoro rende liberi». Racconta il livornese don Roberto Angeli, deportato e sopravvissuto: «Un militare tedesco si avvicinò a lui e dopo avergli strappato di mano la valigia, cominciò a urlare e a malmenarlo in tedesco e non capivamo. Bisognava spogliarsi completamente, noi religiosi per primi». Don  Angelo Dalmasso, un prete cuneese: «L’umiliazione era il nostro companatico. Un giorno il capobaracca mi chiese di pulire il gabinetto. Io protestai, rivendicando di essere un prete. Mi coprì di botte e mi obbligò a pulire con le mani. Imparai a tacere. Girotti aveva fatto amicizia con un luterano, studioso della Bibbia. Stavano tutto il giorno a riflettere, a leggere e a scrivere. Un giorno arrivò un po’ di pane e formaggio: "Prendilo tu. Sei più giovane, ne hai più bisogno"».

A Dachau passano ministri del culto da tutta Europa, ai quali i nazisti riservano le più raffinate umiliazioni. A un prete cattolico tedesco una SS mette il rosario sulla testa, lo prende a pugni e calci per tutto il campo urlando: «È arrivato final­mente il primo maiale di prete. Poi arriverà anche il gran prete di Roma e allora la truffa cattolica finirà una volta per tutte».

Il padre sopporta tutto evangelicamente. Nel rigidissimo inverno 1944-45 infu­ria il tifo e i prigionieri sono divo­rati dai pidocchi. In una baracca si mette alla prova il dialogo ecumenico: il padre domenicano italiano Giuseppe Girotti, docente a Torino, e il pastore lu­terano tedesco Max Lackamann, docente a Munster – che aveva la fortuna di avere una Bibbia – scrivevano come potevano i commenti alla Scrittura.

La sua fibra cede. Dimagrisce a vista d’occhio, ha lancinanti dolori reumatici e le gambe gonfie. «Sono pelle e ossa. Un mucchietto di ossa e pelle flaccida». È ricoverato in infermeria con una diagnosi infausta: carcinoma. Il suo olocausto si consuma il giorno di Pasqua, 1° aprile 1945: è ucciso con una iniezione di benzina. Non ha ancora 40 anni. Sulla sua cuccetta i compagni scrivono «Qui dormiva San Giuseppe Girotti». Ventotto giorni dopo, il 29 aprile 1945, la Fanteria americana libera Dachau. Nel 1988 comincia il processo canonico. Il 14 febbraio 1995, nel 50° della morte «il mite, umile e sereno padre Girotti» riceve alla memoria la medaglia di «Giusto tra le Nazioni». Nel chiostro di San Domenico una lapide con un pezzo del filo spinato di Dachau lo ricorda: «Insigne cultore di Sacra Scrittura, infuse nella carità verso i miseri le doti del suo cuore, padre Giuseppe Girotti O. P. il 28 agosto 1944, incolpato per il soccorso agli israeliti, con inganno fu imprigionato e deportato al campo di Dachau (Germania) dove, esempio e conforto a molti, fu soppresso dai nemici della fede il 1° aprile (Pasqua) 1945».           

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