Giubileo dietro le grate

Nel cuore della Casa della Divina Provvidenza di Torino, dove l'Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia ha aperto una delle due Porte Sante della diocesi c'è un monastero di clausura di suore cottolenghine intitolato a San Giuseppe: le abbiamo incontrate per capire come si vive l'Anno Giubilare nel silenzio e nella preghiera del chiostro 

Giubileo dietro le grate

Cosa significa vivere il Giubileo della Misericordia dietro le grate della clausura, a due passi da una delle due Porte Sante delle nostra diocesi? Siamo andati a chiederlo alla Piccola Casa della Divina Provvidenza, dove il 20 dicembre scorso l’Arcivescovo ha aperto una Porta Santa che da allora è meta continua di pellegrinaggio. Non tutti sanno che cuore pulsante della cittadella della Carità, il Cottolengo di Torino, è un monastero di clausura intitolato a San Giuseppe. È il fondatore della Piccola Casa che ha voluto questa «famiglia» con l’intenzione di pregare per i giovani, in modo particolare per quelli in difficoltà. La comunità è composta da 11 religiose dai 45 ai 97 anni, una famiglia di vita contemplativa che esprime il suo servizio agli ultimi e ai poveri con la preghiera e l’adorazione.

Lo spirito in cui le sorelle cottolenghine del monastero San Giuseppe vivono il giubileo della Misericordia si legge all’ingresso della clausura dove si viene accolti da una frase di san Giuseppe Benedetto Cottolengo: «Se voi pensaste e comprendeste chi i poveri rappresentano…I poveri sono Gesù». «Crediamo che un anno dedicato in particolare alla misericordia – ci dice una delle sorelle del monastero cottolenghino - sia un richiamo per tutti noi a tornare alle fondamenta della nostra fede. Papa Francesco, fin dal suo primo Angelus dopo l’elezione, ha annunciato che il suo magistero sarebbe stato incentrato sulla misericordia. Del resto i suoi gesti, il modo spontaneo che ha di relazionarsi con le persone, l’attenzione agli ultimi, ai poveri, ai disabili, ai carcerati sono il segno che il suo pontificato si fonda sul Vangelo della carità in particolare sul capitolo 25 di Matteo. Abbiamo un anno per ripassare le domande dell’esame - come dice il Papa riferendosi a quella pagina evangelica - domande che sono rivolte a tutti in qualsiasi stato ci troviamo, anche a noi che viviamo in clausura. Facciamo nostro l'invito che il Papa rivolge ai nostri fratelli che vivono dietro le sbarre delle carceri, sottolineando che ogni a volta che attraversano le porte delle celle  rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre possono, anzi possiamo ottenere l’indulgenza. Francesco si augura che questo gesto del passaggio delle Porte Sante sparse nelle carceri del mondo – e ci mettiamo anche noi perché viviamo dietro le grate anche se lo abbiamo scelto volontariamente - possa significare per chi lo compie un gesto di conversione. Perché la misericordia di Dio – come dice Francesco - capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà».       

Per le religiose del monastero San Giuseppe l’Anno straordinario della misericordia è un’occasione unica per gli uomini e le donne del nostro tempo ad aprile le porte del cuore.  «Si può sempre ricominciare, non ci sono peccati ‘troppo grossi’ che ostacolano il nostro riavvicinamento a Dio - conclude la sorella cottolenghina -  Possiamo dare sempre, a ogni situazione, anche la più dolorosa, una svolta: per essere grandi, sentirci amati, per riuscire a dare il meglio di noi, quello che il Signore ci ha donato, nonostante i nostri errori, i nostri limiti e i nostri peccati».

 

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