Charles De Foucauld cento anni di eredità spirituale

Il 1 dicembre 1916 veniva ucciso in Algeria il mistico della spiritualità del Deserto 

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Charles De Foucauld cento anni di eredità spirituale

Colonialista e tenente degli ussari; nobile scioperato e ardente convertito; militare indisciplinato e personaggio eccentrico; esploratore clandestino e nomade inappagato; inquieto ricercatore del silenzio e uomo del dialogo con l’Islam; ispiratore della «spiritualità del deserto» e amico dei Tuareg, gli «uomini blu» del deserto, martire quasi per caso. Charles de Foucauld fu ucciso in Algeria cento anni fa, il 1° dicembre 1916, durante un assalto dei predoni che cercavano il «tesoro», di cui parlava spesso. Non avevano capito che quel «tesoro» era Gesù nell’Eucaristia. Papa Francesco lo definisce «un uomo che ha vinto tante resistenze e ha dato una testimonianza che ha fatto bene alla Chiesa». 

Erede di una famiglia aristocratica il visconte Charles-Eugène nasce il 15 settembre 1858 a Strasburgo, capoluogo dell’Alsazia nel cuore dell’Europa. per secoli contesa da Francia e Germania. Studia dai gesuiti e perde la fede. Adolescente, dimostra caparbietà e indisciplina, eccentricità e voglia di sensazioni forti, desiderio di solitudine e amore per il silenzio.

A 18 anni entra nella Scuola militare di Saint-Cyr e ne esce sottotenente. A 22 è già stanco della vita militare e nel 1881 è cacciato dall’esercito per cattiva condotta ma è reintegrato. Tenente degli ussari dell’armata d’Africa, partecipa a una campagna di polizia militare in Algeria. Si congeda e per due anni esplora, travestito da ebreo, il Marocco vietato agli stranieri: l’impresa gli merita la medaglia d’oro della Società geografica di Francia. Partecipa a una spedizione nel Sud dell’Algeria e della Tunisia. È impressionato: «L’Islam ha prodotto in me un turbamento profondo. Questa fede mi ha fatto intuire qualcosa di più grande». 

Torna in Francia, scrive «Ricognizione in Marocco», cerca Dio e prega: «Mio Dio, se esisti, fa’ che ti conosca». A 28 anni approda alla fede. Determinante è la cugina Marie De Bondy: gli mette tra le mani i libri giusti. Ma resta inquieto, in perenne ricerca di solitudine e penitenza, silenzio e preghiera. Va Nazareth in Terra Santa, ad Akbès in Siria, nel Sud dell’Algeria. Desideroso di una vita più austera, entra nella Trappa: a Nôtre-Dame des Neiges e poi Armenia e Algeria. A Roma studia teologia. Ritorna a Gerusalemme e a Nazareth si fa assumere come domestico delle Clarisse. Nel 1897 abbandona l’Ordine e nel 1901 diventa sacerdote diocesano a Viviers in Francia con licenza di abitare nel Sahara.

Vive nomade in Algeria e nel 1903 si stabilisce a Beni Abbès, l’oasi più vicina al confine con il Marocco, la sua porta aperta a cristiani e musulmani, a poveri e malati; riscatta gli schiavi; accompagna le colonne militari francesi nel deserto.

Entra in contatto con i Tuareg. Nel 1905 fonda un eremo a Tamanrasset nell’estremo Sud, allora sperduto villaggio, poi un altro sull’Assekrem a2.800 metrisul massiccio dell’Hoggar. La presenza tra i musulmani è una testimonianza al Vangelo più che un tentativo di convertirli. Fratello in umanità piuttosto che campione di «eroiche virtù»: condivide la loro vita, ne impara la lingua, il «tamachek», e la traduce. A lui dobbiamo quasi tutto ciò che sappiamo dei Tuareg: costumi, usi, tradizioni, lingua. È suo l’imponente dizionario tuareg-francese, che è tuttora in commercio. Traduce in francese 6 mila versi di poesie e in tuareg i testi cristiani.

Gli uomini del deserto lo accolgono per la mitezza del carattere e la mansuetudine del comportamento. Prega 11 ore al giorno e ne lavora 6. Distribuisce i medicinali e gli aiuti che riceve dall’Europa e dialoga con a chi bussa alla sua tenda. Sogna di convertire gli islamici ma capisce che la testimonianza, e non il proselitismo, è l’unico modo di avvicinarsi ai musulmani. Una strategia che ha fatto scuola.

Al medico protestante Dautheville, che nel 1908 gli chiede cosa fa per convertire i Tuareg, risponde: «Io non cerco di convertirli, cerco di migliorarli; voi siete protestante, un altro può essere non credente, loro sono musulmani. Sono convinto che un giorno ci ritroveremo tutti in Paradiso, senza passare perla Chiesa cattolica romana, ma perché ciò avvenga dobbiamo meritarlo: cerco di aiutare me stesso e gli altri a meritare un giorno di ritrovarsi insieme in Paradiso».

Il periodo fra i Tuareg è l’ultimo dell’avventurosa vita del visconte-eremita. Il 1° dicembre 1916 è ucciso a Tamanrasset da una banda di predoni di una fazione filo germanica nemica dei francesi: durante la Grande Guerra i tedeschi fomentano scontri militari nelle colonie francesi. Saccheggiano il suo eremo e un ragazzotto di 15 anni, preso dal panico per l’arrivo di due cammellieri, gli spara a bruciapelo. Muore sul colpo a 58 anni. Sembra un fallimento: non ha ottenuto una conversione;  non è riuscito a fondare una famiglia religiosa; alla cugina spiega: «Il nostro annientamento è il mezzo più potente che abbiamo per unirci a Gesù».

La sua spiritualità nasce sulle piste e tra le dune del Sahara. Il suo desiderio di solitudine e di orazione muove dalle pagine del Vangelo che descrivono Gesù nel deserto e nel nascondimento di Nazareth dove sperimenta l’Incarnazione nella quotidianità del lavoro e del contatto con la gente del villaggio. Con una vita povera ed essenziale Charles testimonia il Regno di Dio e nel deserto scopre che Nazareth non è un luogo da ricreare ma è vivere «come Gesù a Nazareth», a contatto con le persone condividendo gioie e dolori, fatiche e travagli della gente del villaggio.

Il suo stile ha contagiato migliaia di persone e ha germinato uno stile austero e un rapporto rispettoso con l’Islam. La sua discendenza spirituale sono 18 istituti religiosi di sacerdoti, religiosi, religiose e associazioni di laici. I più noti sono i Piccoli Fratelli di Gesù fondati nel 1933 da padre René Voillaume, e le Piccole Sorelle di Gesù fondate da Elisabeth Hutin.

La sua spiritualità si basa su essenzialità, preghiera, meditazione. Il 13 novembre 2005 è stato proclamato beato da Giovanni Paolo II per la sua testimonianza radicale.  

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