Allamano Giuseppe (1851-1926) Biografia e 25° beatificazione 1990-7 ottobre-2015

Giuseppe Allamano amava dire: «Nui ad ‘Ca­stelneuv soma ativ, laborios, intraprendent. Noi di Castelnuovo siamo atti­vi, laboriosi, intraprendenti».

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Allamano Giuseppe (1851-1926) Biografia e 25° beatificazione 1990-7 ottobre-2015

Da Castelnuovo al mondo si potrebbe dire. E infatti definizione appropriata per quanti sono nati in quel luogo oltre a Giovanni Bosco il 16 agosto 1815.

San Giuseppe Cafasso (1811-1860), grande direttore spirituale, formatore di sacerdoti e consolatore dei condannati a morte, amico e finanziatore di don Giovanni Bosco e l’unico dei «Santi sociali» che non costruisce un’opera e non fonda un istituto.

San Domenico Savio (1842-1857) ragazzo-modello dell’Oratorio: nato a Riva presso Chieri dal fabbro Carlo e dalla sarta Brigida Gaiato, incontra don Bosco il 2 ottobre 1854 e lo segue a Valdocco dove si distingue per l’assiduità ai Sacramenti e la devozione alla Madonna; muore, non ancora 15enne, il 9 marzo 1857.

Beato Giuseppe Allamano (1851-1926), quartogenito di Giuseppe e Maria Anna Cafasso, sorella minore di don Giuseppe, del quale il nipote prosegue l'opera e fonda nel 1901 i Missionari e nel 1910 le Missionarie della Consolata.

Don Giovanni Cagliero (1838-1926) è posto da don Bosco a capo della prima spedizione salesiana in Argentina (1875), primo vescovo (1884) e primo cardinale salesiano (1915) in Argentina.

Mons. Giovanni Battista Bertagna (1828-1905), grande moralista e primo vescovo ausiliare di Torino con il cardinale arcivescovo Gaetano Alimonda.

Giuseppe Rapelli (1905-1977), militante nell’Azione Cattolica e nel movimento sindacale cristiano, fiero antifascista, partecipa alla Resistenza. Con l'unità sindacale diventa segretario della Camera del Lavoro di Torino per la corrente cristiana e nell’estate 1945 fonda le Acli torinesi. Eletto alla Costituente, fa parte della Commissione dei 75 che prepara il progetto della Costituzione Repubblicana. La sua idea di partito con una forte connotazione cristiano-sociale lo porta a un duro contrasto anche con Alcide De Gasperi, capo indiscusso della Democrazia cristiana. Eletto più volte in Parlamento è un politico serio e un sindacalista tutto d’un pezzo.

Di Castelnuovo è Giovanni Argentero (1513-1572), medico in Francia, Fiandre e in varie città italiane. Tornato in Piemonte, insegna all’Università a Mondovì e a Torino. Fra le sue opere: «De errorun veterum medico rum», «De causis morbo rum», «De morbis», opere che lo rendono famoso in Europa.

Venticinque anni fa, il 7 ottobre 1990, Giovanni Paolo II beatificava il figlio di Castelnuovo che, senza mai muoversi dal Santuario e dal Convitto della Consolata aveva fondato i Missionari e le Missionarie. Pio X chiamava «il metodo Consolata» le precise indicazioni date dall’Allamano per l’evangelizzazione: «Bisogna fare degli indigeni tanti uomini laboriosi per poterli fare cristiani: mostrare loro i benefici della civiltà per tirarli all'amore della fede, ameranno una religione che oltre le promesse del­l’altra vita li rende più felici su questa terra». È lo stesso metodo missionario di Matteo Ricci in Cina ed è il sistema inventato da don Bosco a Valdocco: educare «buoni cristiani e onesti cittadini».

Di don Bosco è alunno per quattro anni, dall'autunno 1862, all’Oratorio. Avvertendo la vocazione, non diventa salesiano ma entra nel Seminario diocesano. Sviluppa un programma di vita centrato sull'imitazione di Cristo. Pensa alle missioni: il 6 aprile 1891 in una lettera abbozza un’«istituzione regionale di sacerdoti dedicati unicamente alle missioni, alle quali potessero attendere tutti uniti in una determi­nata località, in dipendenza di superiori proprii. Quanto all'organizzazione di quest'opera, i sacer­doti e i secolari, dopo una sufficiente prova e preparazione in una casa di Torino, si impegneranno di rimanere per cinque anni nelle missioni, dipendenti dal supe­riore e legati con i voti "more religiosorum"». Deve superare le perplessità dell'Arcivescovo cardinale Gaetano Alimonda e di coloro che non vogliono lasciar partire «i giovani sacerdoti con detrimento della diocesi».

Famose sono le sue frasi frutto di una sapienza incarnata e di una saggezza antica:

«Fare bene il bene. Ci vuole fuoco per essere apostoli. Con il Signore non si mercanteggia: o tutto o niente. Voglio gente allegra, attiva, energica. Prima santi poi missionari. L'Istituto è una famiglia. Tutto per Gesù, niente senza Maria. Tutto faccio per il Vangelo. Quando sarò lassù vi benedirò ancora di più, sarò sempre dal pugiol (balcone). Il culto della Consolata non sarà soltanto contemplativo ma attivo».

Giuseppe Allamano (21 gennaio 1851-16 febbraio 1926) è beatificato insieme all’apostolo siciliano Annibale Di Francia (5 luglio 1851-10 giugno 1927). Wojtyla vede nell’assemblea radunata in piazza San Pietro l’immagine della Chiesa che allarga le braccia ad acco­gliere tutti, gente di ogni popolo, lingua e nazione, Nord e Sud. «L’Allamano spicca per il suo sorriso bello e il fare tranquillo e pacato, da cui traspare un cuore grande che tutti abbraccia, la mano destra posata sul mappamondo esprime non soltanto la sua attività, ma il sentimento di amore con cui si è rivolto al mondo, per portare ovunque Gesù Cristo. Accanto a luila Vergine Consolata, ispiratrice e sostegno di tutta la sua vita e delle sue opere. Una madre sempre presente».

Pio XI in occasione del 50° della sua ordinazione sacerdotale (1873-20 settembre-1923) gli scrive: «A te i torinesi danno il merito di aver non solo ampliato e quasi dalle fondamen­ta restaurato il santuario della Consolata, ma ancora di esserti adoperato con ogni cura di ornarlo di opere d'arte e di preziosissimi marmi rivestirlo».

Prima della morte ha la grande consolazione vedere Pio XI il 3 maggio 1925  beatificare lo zio, don Giuseppe Cafasso. Alla sera il nipote in San Pietro partecipa alla venerazione da parte del Papa. E un attento testimone annota: «Nell'uscire dalla basilica fu circondato da una vera marea di ammiratori, i quali lo portavano quasi in trionfo fuori della basilica e andavano a gara per baciargli la mano».

È il rettore della Consolata e del Convitto Ecclesiastico che il 10 febbraio 1903 scrive al Papa Pio X per chiedere la beatificazione, che avverrà il 2 giugno 1929, del suo antico maestro, don Giovanni Bosco: «Il Convitto Ecclesiastico di Torino si gloria di aver avuto per un triennio fra i suoi alunni il servo di Dio don Giovanni Bosco fondatore della Congregazione Sa­lesiana. È tuttora viva tra noi la memoria di tale permanenza, e delle virtù ivi eser­citate dal degno sacerdote; è specialmente ricordato il suo zelo per la salute delle anime e la cura che si prese dei giovanetti, i quali istruiva nella dottrina cristiana nella chiesa annessa al Convitto. Uscitone vi ritornava sovente per avere direzione dal santo rettore il servo di Dio don Giuseppe Cafasso, da cui prendeva in ogni sua opera consiglio e aiuto».

Poi confida al Papa: «Il sottoscritto si stima fortunato d'aver convissuto per quattro anni con il servo di Dio nell'Oratorio; durante il quale tempo ebbe ad ammirare le virtù singolari, e poté godere della direzione spirituale del medesimo nel Tribu­nale di penitenza. Per questi motivi e per la fama generale di santità di cui risplendeva il servo di Dio, il sottoscritto fa umili voti pressola SantitàVostraperché si degni d'introdurre la causa unitamente al maestro di lui il servo di Dio don Giuseppe Cafasso, essendo di ambedue già deposti a vostri piedi i processi diocesani».

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