"Nonviolenza, stile di una politica per la Pace": messaggio del Papa per la Giornata del 1 gennaio 2017

Nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace 2017 Francesco ricorda sei figure che si sono battute per la nonviolenza: santa Teresa di Calcutta, san Giovanni Paolo II, Gandhi, Martin Luter King, e altre due meno note, Abdul Ghaffar Khan e Leymah Gbowee

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"Nonviolenza, stile di una politica per la Pace": messaggio del Papa per la Giornata del 1 gennaio 2017

«La nonviolenza stile di una politica per la pace» è il tema della 50ª Giornata mondiale per la pace che si celebra il 1° gennaio 2017, solennità di Maria Madre di Dio. Nel messaggio Papa Francesco ricorda due santi contemporanei, Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II; e due figure associate alle battaglie non violente - il Mahatma Gandhi in India e Martin Luter King, il pastore battista ucciso a Memphis nel 1968 per le battaglie in difesa dei neri in America – e altri due nomi meno noti: Abdul Ghaffar Khan, associato a Gandhi nella liberazione dell’India, e la liberiana Leymah Gbowee.

Nato nel 1890 nel Peshawar – oggi Pakistan, allora India britannica - figlio del khan, un capo villaggio islamico molto rispettato, Abdul Ghaffar Khan riceve un’educazione inglese senza perdere le radici. Matura la convinzione che la risposta più forte all’ingiustizia non è la vendetta ma la rivolta non violenta. Nel 1929 Khan fonda i Khudai Khidmatgar, primo esercito non violento della storia. Ma deve fare i conti con una repressione inglese molto dura. Chiede ai seguaci di «astenersi dalla violenza e dal cercare vendetta e di perdonare coloro che mi opprimono o mi trattano con crudeltà». Dopo la fine del dominio inglese, Khan si schiera contro la divisione tra India e Pakistan, ma è accusato di tradimento dagli uomini forti del Pakistan che lo condannano a 30 anni di carcere e 7 in esilio. Muore il 20 gennaio 1988. 

Leymah Gbowee è citata da Bergoglio come esempio dell’impegno delle donne nella non violenza, in uno dei conflitti più sanguinosi dell’Africa, quello della Liberia, conosciuto soprattutto per l’orrore dei bambini soldato. Profondamente segnata dalle violenze della guerra, Leymah Gbowee - cristiana luterana - avvia un movimento di donne cristiane e musulmane che si riuniscono a pregare per la pace. Tanti i gesti pubblici, compreso lo «sciopero del sesso». Nel 2003, momento decisivo delle trattative in Liberia, Gbowee organizza una barriera umana di 200 donne che ad Accra impedisce ai «signori della guerra» di uscire dalla sala finché non raggiungono un accordo. Con la pace arriva l’elezione di una donna, Ellen Johnson Sirleaf, come nuovo presidente della Liberia. Nel 2011il Premio Nobel per la pace è assegnato a Leymah Gbowee e ad Ellen Johnson Sirleaf. 

Cinquant’anni fa, l’8 dicembre 1967, Paolo VI istituì la «Giornata mondiale della pace», celebrata per la prima volta il 1° gennaio 1968. Paolo VI parla esplicitamente di «dovere» per i cattolici per la pace e ne indica i motivi: 1) la necessità di difendere la pace dai pericoli che sempre la minacciano; 2) la prevalenza degli egoismi nei rapporti tra Nazioni; 3) il pericolo di violenze tra le popolazioni «per la disperazione nel non vedere riconosciuto e rispettato il loro diritto alla vita e alla dignità»; 4) «il pericolo, tremendamente cresciuto, del ricorso ai terribili armamenti sterminatori di cui alcune Potenze dispongono», gli armamenti atomici nei quali le superpotenze sprecano «enormi mezzi finanziari»; 5) la certezza che le controversie «siano risolvibili con la ragione e le trattative e non con forze micidiali».

Alla vigilia del Sessantotto, uno degli anni più turbolenti del dopoguerra, con profetica intuizione Paolo VI lancia un monito: «La pace non può essere basata sulla falsa retorica delle parole» che spesso «nascondono il vuoto di vero spirito e di reali intenzioni di pace, o coprono sentimenti e azioni di sopraffazioni o interessi di parte». Di pace non si può parlare se non se ne rispettano le fondamenta: sincerità, giustizia, amore nei rapporti fra Stati e fra cittadini, libertà «in tutte le espressioni: civiche, culturali, morali, religiose». Montini distingue: «Pace non è pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti e universali valori: verità, giustizia, libertà, amore», quelli che Giovanni XXIII aveva posto come «fondamenta della pace» nell’enciclica «Pacem in terris» (11 aprile 1963). Non poteva che essere un Papa dalla pensosa, ma non tormentata, personalità e dall’acutissima sensibilità come Paolo VI a inventare la «Giornata per la pace», come aveva istituito la «Giornata per le vocazioni» nel 1964 e la «Giornata delle comunicazioni sociali» nel 1967.

Il mondo era percorso dall’atroce guerra in Vietnam. Il 23 dicembre 1967 Paolo VI dice al presidente statunitense Lyndon B. Johnson, in visita in Vaticano: «Il nostro dovere è quello di far conoscere al mondo le nostre posizioni come quelle di amici della pace e nemici della guerra». Il 30 gennaio ’68 i vietcong comunisti lanciano l'«offensiva del Tet», Capodanno cinese, che li porta al potere, che non mollano da cinquant’anni. Contro l’intervento americano si schierano i cardinali arcivescovi di Bologna Giacomo Lercaro e di Torino Michele Pellegrino, il vescovo di Ivrea Luigi Bettazzi e altri vescovi.

Il 1°-4 novembre 1973 a Torino si svolge la 3ª «Assemblea internazionale di cristiani solidali con i popoli di Vietnam, Laos, Cambogia» organizzata da Pax Christi di cui Bettazzi è president, importante con­gresso internazionale nel quale hanno modo di manifestarsi le diverse tendenze dei cattolici italiani. L’ultranovantenne Bettazzi  ricorda la sua posizione intermedia tra l’eccessiva politicizzazione di sinistra e il disimpegno: «In tempi di con­trapposizione ideologica, occorreva accogliere quanto di buono c'era nelle due fazioni e soprattutto dimostrare al comunismo, che stava avviandosi verso la vittoria, che la Chiesa cattolica non si identificava con gli Stati Uniti. Questo per me era importante perché era l'unico modo per permettere alla Chiesa di mantenere la sua forza di lievito anche nel Vietnam unificato». Pellegrino e Bettazzi tengono due relazioni.

Al congresso partecipa padre Piero Gheddo, l’87enne missionario-scrittore vercellese: «Il cardinale Pellegrino, che era accusato di essere “rosso”, mise come condizione alla sua partecipazione che invitassero anche me: me l'ha rivelato più tardi. Andai a fare la mia relazione, dicendo ciò che pensavo, condannando chiaramente l'intervento ame­ricano e il regime di Thieu, senza tacere il carattere oppressivo della dittatura di Hanoi e rivalutando gli aspetti positivi della conte­stata Chiesa sudvietnamita. In sala ci fu molto dissen­so. In una  pausa padre Davide Maria Turoldo, mi disse: “Tu sbagli, sei fuo­ri strada. Tutti dicono il contrario di ciò che dici tu. E poi non capisci che il so­cialismo potrà fare degli sbagli, ma è il futuro del mondo”.  Io dicevo solo quello che avevo visto e di regimi socialisti ne ho visti tanti».

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