Mons. Nosiglia: "Prima ci sono le persone"

Nella Prima Giornata Mondiale dei Poveri, mons. Nosiglia alla Piccola Casa della Divina Provvidenza ha lanciato un appello alla città perché ciascuno si faccia prossimo di chi fatica e si intervenga concretamente per ridare speranza, futuro e dignità a ogni povero  

Parole chiave: GIornata mondiale dei poveri (2), bisognosi (1), Nosiglia (114), Cottolengo (29), Torino (730)
Mons. Nosiglia: "Prima ci sono le persone"

Cari amici, desidero rivolgervi il mio saluto ed esprimere la mia amicizia e vicinanza a ciascuno di voi che oggi, grazie a Papa Francesco, siete posti al centro dell’attenzione, della riflessione e dell’impegno di tutta la Chiesa nel mondo. La Giornata mondiale dei poveri non è una semplice e passeggera occasione per parlare dei poveri e incontrarli, ma un preciso impegno da assumere in coscienza e nella nostra vita quotidiana, verso coloro che nella società sono meno fortunati e debbono affrontare condizioni di vita difficili e faticose. Vogliamo scuotere quel certo perbenismo di maniera che si riempie la bocca della parola “poveri”, ma non li ha mai avvicinati e guardati in faccia viso a viso, oppure si limita a dare qualche spicciolo di elemosina a chi lo chiede, senza perdere troppo tempo per parlare con le persone e aprire il proprio cuore, non solo il portafogli, per dare loro il calore dell’amicizia e dell’accoglienza.

Inoltre, credo che si debba superare un altro formalismo: quello di ritenere che, quando aiuto una persona, gli do comunque qualcosa che mi appartiene. Invece, non è così, perché niente di ciò che ho è mio, ma è dono di Dio, il quale mi ha dato la salute e la forza e la fortuna di possederlo, per cui tutto ciò che faccio per i poveri è una semplice restituzione a Dio stesso dei suoi doni. Ciò che gratuitamente ricevete, gratuitamente restituitelo – dice Gesù –, se volete essere figli di Dio e suoi imitatori nell’amore e ottenere da lui una ricompensa eterna. Per tanti, ciò che è loro è un assoluto che non è di nessun altro; e se dimostrano a volte di essere generosi verso il loro prossimo, lo fanno donando le briciole di ciò che hanno – il superfluo, come si dice –, che non incide troppo sul loro patrimonio e sul loro tempo e soprattutto sul loro cuore, mentre
invece il Signore ci avverte: «Chi scarsamente semina, scarsamente raccoglierà i frutti» (cfr. 2Cor 9,6). Più dai e più riceverai in cambio, perché fare il bene è un investimento dei più fruttuosi e permanenti.

Ma c’è anche un’altra cosa che mi sento di dire a me stesso e a tutti voi: vi dico “grazie”. Sì, vi ringrazio, cari amici, perché voi mi restituite molto di più di quello che posso darvi in beni e servizi: mi donate amicizia, bontà ed esempi di forza e di perseveranza, di coraggio nell’affrontare tante situazioni di disagio della vostra vita. È proprio vero che l’amore si condivide e non è mai a senso unico, ma esige la reciprocità, che promuove uno scambio di doni e arricchisce di umanità e di bene coloro che lo compiono con sincerità, gratuitamente e in modo disinteressato.

Vorrei infine rivolgere il mio appello a quanti hanno nella nostra Città, a cominciare da me stesso, un compito di servizio e di responsabilità verso gli altri. Dobbiamo smettere di immaginare e presentare la Chiesa e l’impegno sociale e civile verso i poveri della nostra Città anzitutto come una organizzazione di servizi: la Chiesa e la Città – e dunque ogni fedele e ogni cittadino – sono chiamate a diventare sempre più comunità di fratelli e sorelle, fondate sulla relazione e sulla vicinanza, capaci di farsi interpellare e di
accogliere l’altro come “uno di casa”. Le mense, i dormitori, le comunità di accoglienza, i centri di ascolto, le attività di orientamento al lavoro: tutte ottime cose, ma che vengono “dopo”.

Prima ci sono le persone, che vanno riconosciute nei loro diritti di giustizia e di umanità quali soggetti, come ogni altro fedele e cittadino, e messe in grado di poter contribuire alla vita comune con gli stessi diritti e doveri di ogni altro. Il primo passo è scendere sulla strada con chi è sulla strada della sofferenza e della emarginazione e anche sul strade della nostra Città, come i senza dimora… Occorre farsi vicini con gesti di amore sincero e non con elemosine che lasciano trasparire la superiorità; aprire anzitutto la propria casa all’altro, prima che incentivare – o delegare – ad altri il compito. La Giornata mondiale dei poveri non è un momento di contemplazione e riflessione “a distanza” sul fenomeno della povertà. È una dimensione di coinvolgimento personale, familiare, comunitario.

Conosciamo bene la situazione in cui viviamo: nel nostro territorio l’esercito dei poveri sta crescendo sempre più e si allarga con nuove forme di povertà, che colpiscono famiglie e persone che fino a ieri si consideravano esenti da questo problema; cresce il divario fra garantiti e bisognosi; la povertà e l’emarginazione estrema distruggono la dignità della persona e calpestano i suoi diritti di giustizia più elementari. E non esiste purtroppo un programma efficace di lotta a queste povertà. Si interviene per lo più sulle emergenze, ma le falle rimangono. I poveri e i nuovi poveri – che sono tanti giovani che non trovano lavoro e tanti cinquantenni che l’hanno perso – vivono come in un limbo, privi di speranza, tra l’indifferenza di chi dovrebbe per dovere politico e professionale occuparsene come primo problema da affrontare. Solo se questo atteggiamento cambierà, si riuscirà a imboccare strade di un welfare di inclusione sociale che unisce giustizia, carità e il sostegno adeguato per promuovere ogni persona a prendere in mano la propria situazione e trovare sbocchi appropriati alle proprie capacità e intraprendenza.

Ciò che si può fare concretamente – ciò che ciascuno di noi può fare! – è testimoniare la speranza, attraverso l’impegno di ogni fedele e cittadino verso chi necessita di segni concreti di incontro e di accoglienza. Preghiamo il nostro Dio, che si proclama il Dio dei poveri e degli afflitti, ma che ci dice che proprio loro sono beati ai suoi occhi e suoi figli prediletti: ci renda tutti più disponibili a metterci in gioco, uniti e concordi nell’affrontare concretamente e non solo a parole i problemi di questi nostri fratelli e sorelle
poveri, come ci hanno insegnato san Giuseppe Benedetto Cottolengo e tanti altri santi e sante del nostro territorio.

Arcivescovo di Torino

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