Mons Nosiglia, cristianesimo e umanesimo l'alleanza necessaria

"La sinodalità è il criterio del cammino della chiesa" con la prolusione dell'Arcivescovo di Torino e presidente del Comitato preparatorio nella sua prolusione si è aperto il V Convegno ecclesiale di Firenze 

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Mons Nosiglia, cristianesimo e umanesimo l'alleanza necessaria

«Non siamo qui per predisporre dei piani pastorali né per scambiarci informazioni, e neppure per partecipare a dotte conferenze o a un corso di aggiornamento: lo scopo del nostro appuntamento fiorentino è quello di fare il punto sul nostro cammino di fedeltà al rinnovamento promosso dal Concilio e aprire nuove strade all’annuncio del Vangelo».

Fedeltà al rinnovamento del Concilio Vaticano II, che si concludeva giusto cinquant’anni fa, e aprire «nuove strade al’annuncio del Vangelo». Sono i due scopi del V convegno della Chiesa italiana «In Gesù Cristo un nuovo umanismo», aperto a Firenze dalla prolusione di mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e presidente del Comitato preparatorio.

Egli  muove dal riferimento ai Convegni precedenti, al piano della Cei per il secondo decennio del XXI secolo incentrato sul tema «Educare alla vita buona del Vangelo». Nosiglia indica «alcune aree di impegno prioritarie per la vita della nostra gente e del Paese»: la famiglia, bisognosa di «un’accoglienza compassionevole e di un accompagnamento e sostegno della sua esistenza»; i giovani, con l’impegno a operare per qualificare la proposta della scuola e l’inserimento nel mondo del lavoro; l’ecologia, intesa – sulla scorta dell’enciclica «Laudato si’» - come cura della casa comune, in contrasto con ogni «cultura dello scarto». Attorno a queste aree, come ad altre ugualmente importanti – evidenzia l’arcivescovo di Torino – «è necessario attivare un adeguato supporto di pensiero e di azione concreta da parte dei laici, che hanno diritto e dovere di fare coscienza e operare uniti». Un’unità che si esprime in uno stile di ricerca comune e in un metodo preciso: quello della sinodalità che «sarebbe già un grande risultato se da Firenze divenisse lo stile di ogni comunità ecclesiale».

L’arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, nella splendida Cattedrale di Santa Maria in Fiore, accoglie i 2.200 partecipanti ai lavori. Erano partiti poco prima  da quattro famose basiliche fiorentine - Santa Croce, Santa Maria Novella, Santo Spirito, Santissima Annunziata – e processionalmente avevano raggiunto prima il Battistero di San Giovanni e poi la Cattedrale. Un percorso chiaramente battesimale, che sarà percorso anche da Papa Francesco e come hanno percorso quasi 50 anni fa Paolo VI quando, nel Natale 1966, era venuto a confortare questa città stravolta e sconvolta da una gravissima inondazione nell’autunno di quell’anno, e come fece anche Giovanni Paolo II venuto a Firenze il 18-19 ottobre 1986.

Firenze – dice Betori - è una città in cui «l'affermazione dell'umano, nelle sue espressioni migliori, ha saputo legare insieme il senso alto della cultura e dell'arte con la cura del debole e l'esercizio della misericordia. Questa città vi indica come un traguardo e una missione: una sintesi di ricerca sincera e intensa del vero, di espressione in superbe forme di bellezza, di passione generosa e multiforme di carità». Betori saluta le Chiese italiane con le parole con cui il poeta Mario Luzi pone in bocca alla Cattedrale, fatta figura della Chiesa, nel suo «Opus florentinum», composto in occasione del Giubileo del 2000: «È la mia voce che ora ascoltate,

sono Santa Maria del Fiore. Mi volle la città fervente alta sopra di sé […]. Grande mi concepirono i mercanti e il popolo minuto. Ebbero di me una visione grande Arnolfo, Giotto, ser Filippo, assistettero alla mia nascita, essi, propiziarono la mia crescita, un popolo di artefici si adoperò per me nei secoli, l’Opificio è ancora aperto, non sarò mai compiuta. […] Leggere e ahimè vivere i tempi, non misconoscerli o negarli è ancora parte del ministero mio sopra la terra. Che questo sia fatto degnamente in reciproca profferta di magistero e perenne apprendistato. Vengano a me per imparare gli uomini, vengano per insegnare e accrescere la dottrina mia, vengano, venite. Per questo spalanchiamo la porta che fu sempre aperta».

                                                   

In queste parole – spiega l’arcivescovo fiorentino - «si illumina la consapevolezza di mutua appartenenza tra Chiesa e città che trovate rappresentata nelle pareti di questa cattedrale e quella convinta apertura al dialogo tra ricerca dell’uomo e verità cristiana, che Papa Francesco traduce nella felice immagine di Chiesa “in uscita”. Siamo giunti qui dal Battistero, in cui abbiamo fatto memoria della nostra conformazione a Cristo, e usciremo nel mondo, nella storia, nella piazza in cui dal campanile di Giotto si apprendono i lavori dell’uomo insieme a quelli di Dio, il mestiere di vivere».                                                                                                       

L’arcivescovo ricorda che Giovanni Paolo II nella visita che fece nell’ottobre 1986 nel discorso in Palazzo Vecchio «ci richiamò a promuovere la verità sull’uomo, proponendolo come «un dovere improrogabile. “La verità che tanto ci sublima” (Dante Alighieri, «Paradiso» XXII, 42) è un valore incommensurabile. Lo è nei contesti storici proclivi alla menzogna, facili alla falsificazione, disinvolti nel culto delle mezze-verità». Siamo eredi di una storia – prosegue l’arcivescovo Betori - che, specialmente negli ultimi secoli «ha mostrato quanto feroce e brutale possa essere l’umanità. Solo se l’umanesimo riveste i caratteri della carità può sfuggire a questo destino. Ed è quanto mostra la storia di questa città, in cui l’affermazione dell’umano, nelle sue espressioni migliori, ha saputo legare insieme il senso alto della cultura e dell’arte con la cura del debole e l’esercizio della misericordia. Così la Firenze più vera si consegna a voi, pur nelle contraddizioni di una storia inquieta e tormentata, e questo orizzonte vi indica come un traguardo e una missione: una sintesi di ricerca sincera e intensa del vero, di espressione in superbe forme di bellezza, di passione generosa e multiforme di carità».                                                                              

 Infine Betori ricorda le parole di Papa Francesco nell’esortazione apostolica «Evangelii gaudium»: «Il sostrato cristiano di alcuni popoli, soprattutto occidentali, è una realtà viva. Qui troviamo, specialmente tra i più bisognosi, una riserva morale che custodisce valori di autentico umanesimo cristiano. Uno sguardo di fede sulla realtà non può dimenticare di riconoscere ciò che semina lo Spirito Santo. Non è bene ignorare la decisiva importanza che riveste una cultura segnata dalla fede, perché questa cultura evangelizzata, al di là dei suoi limiti, ha molte più risorse di una semplice somma di credenti posti dinanzi agli attacchi del secolarismo attuale».      

La Cattedrale, casa delle fede e della cittadinanza del popolo fiorentino, è il frutto della cultura di un popolo consapevole di quale fosse la radice che la faceva germinare e che alimentava l’umanesimo che andava costruendo per offrirlo come un dono all’intero mondo. Tale radice era così chiara alla coscienza di questo popolo che la fece incidere sul cielo a cui rivolgeva lo sguardo in questo luogo sacro, nel miracolo ardito e perfetto della cupola di Filippo Brunelleschi, dove volle fosse l’immagine della meta verso cui siamo in cammino, che ha al suo centro Gesù, in cui riconosceva la pienezza dell’umano. “Ecce Homo”, proclama l’angelo sopra il capo del Cristo glorioso, volto compiuto del disegno d’amore del Padre sull’umanità. In questa indicazione il Convegno ha già il cammino tracciato».                                      

Nella prolusione l’arcivescovo di Torino ha proprio indicato «la testimonianza cristiana dei credenti avrà il sapore e l’odore delle quotidiane sfide dell’esistenza: l’amore dell’uomo e della donna, la generazione dei figli, la cura dell’educazione dei giovani e della dignità dei vecchi, la coltivazione della bellezza, la verità dei sentimenti, la giustizia delle emozioni, la protezione delle fragilità, il senso del lavoro, la capacità di morire, la misura delle parole, la difesa quotidiana della speranza. Sì, un Paese che sta sempre più invecchiando, in cui la gente è sfiduciata e ripiegata su se stessa,dove le diseguaglianze sociali e le povertà non solo materiali  ma etiche e spirituali stanno crescendo  e dove secondo  le statistiche il 31 per cento della popolazione  vive da solo chi per scelta, chi per necessità e chi per naufragio esistenziale, ha bisogno di riappropriarsi della speranza che la fede cristiana ha seminato nella sua storia, dando vita a un patrimonio di umanità,santità e civiltà esemplare per il mondo intero».                                                                                               

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